Regime e figure di merda mondiali

Rapporto del commissario Hammarberger dopo la visita nel nostro Paese
“La criminalizzazione dei clandestini è spropositata, rivedete le vostre leggi”
Immigrati, il Consiglio d’Europa
‘In Italia norme incompatibili con diritti’
di VITTORIO LONGHI

DEEP CONCERN, ovvero “profonda preoccupazione”. È la formula diplomatica che indica situazioni di particolare gravità ed è l’espressione che ricorre con più frequenza nelle 25 pagine del rapporto sull’Italia scritto da Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Il rapporto, che esce oggi, fa seguito alla visita di Hammarberg a metà gennaio, quando ha incontrato esponenti del governo e delle amministrazioni locali, rappresentanti di organizzazioni governative e non, per verificare il rispetto dei diritti umani dei migranti e delle minoranze.

Dai campi Rom della periferia romana al sovraffollato centro di espulsione di Lampedusa, il Commissario ha voluto vedere con i propri occhi le condizioni in cui sono tenute queste persone e le conclusioni che ne ha tratto non sono affatto confortanti per il governo, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. Le preoccupazioni riguardano innanzitutto i nuovi provvedimenti in materia di immigrazione e asilo, già adottati o in discussione, che nel rapporto sono definiti “draconiani”, come l’aumento della pena per i migranti irregolari, il cosiddetto aggravante di clandestinità, oppure l’obbligo per i medici di denunciare chi ha bisogno di cure ma non ha i documenti.

“La criminalizzazione dell’immigrazione irregolare è una misura sproporzionata che va oltre gli interessi legittimi di uno stato a tenere sotto controllo i propri confini, una misura che erode gli standard legali internazionali”, spiega Hammarberg, avvertendo che una simile politica finisce per provocare “ulteriore stigmatizzazione ed emarginazione dei migranti, nonostante la maggioranza di questi contribuisca allo sviluppo degli stati e delle società europee”. Pertanto rivolge la richiesta al governo di “rivedere le parti della nuova normativa che sollevano serie questioni di compatibilità con gli standard dei diritti umani”.

Tra i casi più clamorosi presi in esame, quello di alcuni immigrati tunisini che avevano tentato di opporsi ai rimpatri, per il rischio di tortura, appellandosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il governo italiano ha proceduto lo stesso con l’espulsione, ignorando la richiesta formale della Corte di sospendere il provvedimento in attesa di una valutazione del caso. Il Commissario si dice “decisamente contrario ai rimpatri forzati verso paesi con precedenti di tortura provati e di lunga durata, anche se le espulsioni avvengono sulla base di rassicurazioni diplomatiche” e invita il governo a “riconsiderare urgentemente la propria politica” anche su questa materia, conformandosi invece alle misure sospensive intimate dalla Corte europea.

Oltre ai casi specifici, il rapporto mette in evidenza una crescente tendenza al razzismo e alla xenofobia, a volte alimentata dalle stesse autorità locali, che ha provocato atti di violenza verso migranti, Rom e Sinti oppure verso cittadini italiani di origine straniera. E gli esempi citati vanno dalle esternazioni del sindaco di Treviso, definite “discorsi di incitamento all’odio”, alla storia dello studente ghanese percosso e insultato dai vigili di Parma. Riguardo alle comunità Rom e Sinti, in particolare, vengono ribadite le perplessità già espresse a luglio dal Parlamento europeo dopo l’annuncio del censimento dei Rom su base etnica e il presunto “stato di emergenza” invocato da Berlusconi per la situazione dei campi di Napoli, Roma e Milano.

Ovvia la raccomandazione di prestare la massima attenzione ai dati “sensibili” raccolti, che nelle intenzioni dichiarate dal governo dovrebbero servire solo a facilitare l’assistenza e l’integrazione dei Rom, comunque cittadini italiani nella maggior parte dei casi secondo quanto rilevato dallo stesso censimento. In merito agli sgomberi dei campi, invece, nel documento si denuncia la mancanza di qualsiasi consultazione con i rappresentanti delle comunità Rom e si chiede la preventiva individuazione di luoghi alternativi adeguati, secondo un vero piano d’azione nazionale.

Un’altra raccomandazione è rivolta a una maggiore severità nella legislazione contro le discriminazioni e richiede la creazione di organi di controllo appositi, autonomi e indipendenti. Invece l’attuale Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, Unar, non è affatto indipendente, dato che fa capo al Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio.

Il governo italiano ha già risposto, a marzo, alla prima bozza del rapporto del Commissario Hammarberg, con rassicurazioni varie sulle misure di contrasto al razzismo e alla xenofobia, tra cui spiccano corsi di formazione, pubblicazioni e siti web. Invece, di fronte alle accuse di violazione dei diritti umani e di non conformità agli standard europei, l’esecutivo giustifica le proprie leggi usando l’argomento della sicurezza, secondo la prevedibile equazione tra immigrazione irregolare e criminalità.

immigrati

larussarazzista

razz

razzisti

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Come la mettiamo?

L’ITALIA RIPUDIA LA GUERRA, MA VENDE ARMI A GO-GO – BOOM NEL SETTORE (+220%) NEL 2008 AUTORIZZATE VENDITE PER 4,3 MLD – LA TURCHIA IL CLIENTE MIGLIORE, MA NON MANCANO CINA, NIGERIA E ANCHE NEI BALCANI…
(Raphaël Zanotti La Stampa)
L’Italia ripudia la guerra, è scritto nella Costituzione. Eppure, di armi italiane, è pieno il mondo. L’Italia vende un po’ a tutti. Paesi belligeranti compresi. Un comparto che non conosce crisi, flessioni. Nel 2008 il volume d’affari è cresciuto del 222% rispetto all’anno precedente, con le transazioni bancarie schizzate da 1.329.810.000 a 4.285.010.000. Scrive la Presidenza del Consiglio nel suo ultimo rapporto sulle esportazioni, importazioni e transito dei materiali d’armamento: «Tale comparto rappresenta un patrimonio tecnologico, produttivo e occupazionale non trascurabile per l’economia del Paese». L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, è anche scritto nella Costituzione.

Il maggior acquirente di armi italiane è la Turchia, programmi intergovernativi eslcusi. Le imprese italiane hanno ottenuto dal governo 11 autorizzazioni a stringere affari con Ankara. Si tratta del 35,86% del totale, per un valore di 1092 milioni di euro (quattro volte il Regno Unito, al secondo posto con 254 milioni). Il primato della Turchia è dovuto all’acquisto di elicotteri da combattimento dell’Augusta che saranno utilizzati, secondo il ministro della Difesa turco, per «ricognizione tattica e attacco bellico».

La Turchia non rientra nell’elenco dei Paesi per cui vige un embargo Onu o Ue. Non è considerato Paese in conflitto o dove si verificano gravi violazioni dei diritti umani. Eppure, per Amnesty International, non è così. A dicembre 2007 le forze armate turche hanno effettuato operazioni militari nell’Iraq settentrionale alla ricerca di basi del Pkk. Attentati a Smirne, nel distretto di Ulus ad Ankara e a Sirnak hanno provocato numerosi morti. Condanne e omicidi per chi parla di «Kurdistan» o «denigra l’identità turca». Una guerra a bassa intensità, che va avanti da anni.

Esclusa dalla lista nera anche la Cina, a cui l’Italia ha venduto apparecchiature elettroniche per 147.000 euro. Le sentenze di morte emesse quell’anno da Pechino sono state 1860, di cui 470 eseguite. La repressione di tibetani, uiguri e mongoli non si è allentata. Fuori lista anche l’India che da 50 anni combatte con il Pakistan per il controllo del Kashmir.
Armi

Passati sotto silenzio i 179 morti dell’attentato a Mumbai e i movimenti di decine di migliaia di uomini sul confine, Delhi risulta il miglior partner economico per l’industria armiera italiana tra i Paesi non Ue. Armi di grosso calibro, munizioni, bombe, missili, apparecchiature per la direzione del tiro, navi da guerra, aerei, apparecchiature elettroniche, software e tecnologia: in tutto sono state autorizzate esportazioni per quasi 173 milioni di euro. Ma se la guerra non c’è, perché non vendere armi anche al «rivale»? Il Pakistan ha così acquistato da noi apparecchiature per la direzione del tiro, veicoli terrestri, navi da guerra, aerei e apparecchiature elettroniche per 30 milioni.
Anche Israele è «esente» da conflitti. Vendiamo così a Tel Aviv aerei, sistemi d’arma a energia diretta, software e tecnologia per 1,9 milioni. Fra i clienti non abbiamo Palestina, Iraq o Iran, ma la Siria compra da noi i suoi sistemi di puntamento per 2,8 milioni.

Trovare nuovi clienti non sembra difficile. A febbraio 2008 una fiammata investe i Balcani. Il premier Hashim Thaci proclama l’indipendenza del Kosovo. Il Capo di Stato serbo Boris Tadic dichiara: «La Serbia non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo». Quell’anno l’Italia vende al neonato Stato balcanico agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi. Alla Serbia apparecchiature elettroniche per quasi 7 milioni di euro.

Altre zone calde dove sono presenti armi italiane sono la Nigeria (aerei e tecnologia, 60 milioni di euro), il Kenia delle violenze elettorali tra Pnu e Odm (navi da guerra e apparecchiature elettroniche, 21 milioni), il Messico dei 2500 morti all’anno delle organizzazioni criminali (armi leggere e armi pesanti, 10 milioni), il Vietnam (apparecchiature elettroniche, 108 mila euro).

Un mercato che tira e non solo nelle aree del mondo a rischio. I programmi intergovernativi hanno registrato un incremento del 45% tra il 2007 e il 2008 passando da un valore di 1846 a 2689 milioni di euro. Il segmento copre ormai il 65% dell’intero comparto italiano ed è sempre più difficile da controllare. Quest’anno, dal rapporto, è sparito l’elenco delle banche attraverso cui passavano le transazioni finanziarie per la compravendita di armamenti.

guerra

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter