RAI. La volgarità ridicola dei servi sciocchi: masi, minchiolini, vespa, paragone, ecc.

La voce del padrone

di CURZIO MALTESE

 

 UNA premessa. In molte aziende italiane, anche piccole, è ormai una prassi, mutuata dagli americani, quella di sottoporre il personale da assumere a test attitudinali e d’intelligenza. E ora passiamo alla prima azienda culturale italiana, la Rai, e al suo direttore generale, Mauro Masi.

Dopo aver provato senza successo la chiusura di Annozero, con il maldestro alibi di una sanzione a Michele Santoro, e dopo gli sfortunati tentativi di non far andare in onda Report di domenica scorsa, l’intraprendente massimo dirigente di viale Mazzini è stato colto da un’altra idea geniale: fermare il programma di Fabio Fazio e Roberto Saviano. Con un altro dei suoi astutissimi e infallibili artifici, il blocco dei contratti degli ospiti. A cominciare dal primo, un nome di scarso richiamo, Roberto Benigni. Pensate l’acutezza dell’uomo. Non potendo cancellare dal palinsesto un programma che si presenta come l’evento dell’anno e un formidabile affare pubblicitario per l’azienda, in tempi di vacche magrissime, il direttore generale agisce indirettamente, boicottando i compensi agli ospiti, giudicati incongrui. Si tratta infatti di un pugno di premi Nobel o alle brutte premi Oscar, più qualche rockettaro come Bono, i quali pretendono di essere pagati come e addirittura più di veline, tronisti, ospiti della casa del Grande Fratello o artisti del circo di Lele Mora. Con questo movente di forte impronta etica, ipotizza il Masi, nessuno sospetterà che lui invece voglia semplicemente censurare i contenuti del programma di Fazio e Saviano. Che vertono su temi quali la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, la corruzione, le speculazioni sui terremoti, l’evasione fiscale. Tutti argomenti, al solo nominarli, grondanti un implicito e odioso antiberlusconismo. Purtroppo, caro direttore generale, non sarà facile sviare i sospetti. La gente, si sa, è maliziosa.

Esaurita la riserva di indignazione, si seguono gli esperimenti di censura di Mauro Masi con sincera curiosità. Ce la farà stavolta il nostro di viale Mazzini ad adempiere agli ordini dei suoi superiori? Masi si muove infatti su una linea sottile e sospesa nel vuoto. Dietro lo spinge il padrone, che vorrebbe cancellare i programmi con uno schiocco delle dita, come avrà visto fare dai governi modello dei paesi a lui più cari, dalla Bielorussia alla Libia ad Antigua (lo Zimbabwe ha smentito). Davanti il povero Masi deve affrontare alcuni impacci, dalla Costituzione ai regolamenti interni Rai, dal codice civile alla Corte dei Conti. L’ultima, per esempio, un giorno potrebbe interessarsi dell’operato e della responsabilità personale di un dirigente di un’azienda pubblica la cui mission, come si dice fra manager, sembra essere la guerra agli unici programmi Rai di qualità e di altissima resa economica.

Come un povero Mephisto, il direttore generale finora, cercando di ottenere il male, ha comunque operato per il bene. Nel senso che oltre a non chiudere un bel nulla ha garantito alle trasmissioni messe all’indice un formidabile lancio. Il caso più recente e meritevole ha riguardato la puntata di Report con il servizio sulla villa da Scarface di Berlusconi ad Antigua. Senza l’affannosa richiesta di non mandare in onda nulla, partita dalla corte di Berlusconi, cinque milioni e mezzo d’italiani non avrebbero mai seguito un magnifico programma di autentico giornalismo. Un’oasi di serietà nella melma di dossier confezionati ad arte che si tenta di far passare per informazione. Dopo mesi e mesi trascorsi a discutere di pettegolezzi mai provati sulla casetta di 55 metri quadri a Montecarlo venduta (forse) sottocosto da Fini al cognato (sempre forse), ecco un bel villone da almeno venti milioni comprato sicuramente dal presidente del Consiglio, sicuramente attraverso società off shore, in un paradiso fiscale e con i fondi depositati in una banca svizzera indagata per riciclaggio. Pochi minuti di libero giornalismo sulle reti di Stato sono bastati per riportare l’Italia fra le nazioni normali.

Certo, un paese normale non lo siamo. Il sogno è durato lo spazio di una serata televisiva. Sappiamo tutti che Berlusconi non sarà mai costretto a spiegare in Parlamento o su Internet lo scandalo di Antigua. Così come sappiamo che tutti i telegiornali e i giornali che hanno chiesto per tre mesi a Gianfranco Fini di chiarire il piccolo affare di Montecarlo, nel nome della trasparenza delle istituzioni, non avranno mai il coraggio di rivolgere la stessa richiesta al premier, per una vicenda cento volte più grave. Secondo la natura ipocrita del doppiopesismo, gli scandali di Berlusconi non sono scandali, da chiarire nel merito, ma complotti della Spectre.

Ma forse non siamo (ancora) un paese come la Bielorussia o la Libia. Le censure di Masi-Berlusconi naufragano nel ridicolo e il programma di Saviano, piaccia o no, andrà in onda lo stesso. Poi magari ci penserà il solerte Bruno Vespa a metterlo sotto processo, come ha fatto ieri sera con Annozero, in una grottesca trasmissione alla presenza di Masi e, questa sì, senza contraddittorio. “Fuori luogo”, secondo lo stesso presidente Rai, Garimberti. Un po’ anche fuori di testa.

b.duce

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