Marco Travaglio

Marco Travaglio

Truppe mammellate

Se Gino Flaminio fosse un politico, si direbbe che la sua condanna in primo grado non vale: c’è la presunzione d’innocenza. Se fosse del Pdl, si direbbe che è un perseguitato politico. Invece ha osato raccontare la sua storia con Noemi, la ragazza «allevata fin da piccola da papi Silvio», che fa a pugni con quella raccontata da papi Silvio e papà Elio. Ecco dunque scatenarsi le Truppe Mammellate a protezione dell’anziano satiro brianzolo: Belpietro e i servi del Giornale spiegano che «il supertestimone è un rapinatore» (rubò un telefonino e picchiò un poliziotto), dunque mente. Ora, a parte che anche un condannato può dire la verità, qui nessuno è riuscito a smentire nulla. Anzi, dopo l’intervista a Repubblica, Al Pappone ha dovuto ammettere la vacanza di 10 giorni a Capodanno con Noemi minorenne e altre 30 squinzie. Una cosina da niente, per chi aveva giurato: «Ho incontrato Noemi 3-4 volte, sempre coi genitori». Del resto, chi si dovrebbe intervistare su Noemi, se non il fidanzato che è stato con lei giorno e notte per un anno e mezzo? Il problema semmai riguarda i coniugi Letizia, amiconi di Al Pappone, che per 18 mesi hanno affidato la figlia a un rapinatore, che spesso dormiva in casa loro. Papi Silvio sapeva? Ma non tutto il male viene per nuocere. Se i condannati non han più diritto di parola, Giornale e Panorama smetteranno di intervistare tre quarti del Pdl, o peggio ancora Bobo Maroni, condannato per aver picchiato un poliziotto, dunque ministro dell’Interno. Gino si sbrighi a farsi condannare in Cassazione: un posto di sottosegretario non glielo leva nessuno.


°°° LE MINCHIATE DI BURLESQUONI CAMPATE IN ARIA…

volo

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Bella notizia

Non mi arrivano solo foto di belle amiche al mare, amici miei, ma anche notizie come questa, che pubblico immediatamente. Anche perché, mentre il regime spara minchiate e annunci, gli amministratori VERI e SERI lavorano:

Caro Lucio, puoi pubblicare sul tuo blog? Grazie.

Toscana Notizie

Agenzia di informazione della Giunta Regionale
http://www.toscana-notizie.it

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Sanità toscana, arriva la norma anti-nepotismo
Vale per coniugi, conviventi, parenti e affini fino al terzo grado

Un anno di tempo per cancellare la “conduzione familiare” nella sanità toscana. E’ quanto stabilito dall’attesa modifica della legge regionale n.40 (Disciplina del servizio sanitario regionale) approvata dalla giunta toscana su proposta dell’assessore per il diritto alla salute. La nuova norma “anti-nepotismo”, come è stata chiamata, intende mettere fine all’imbarazzante presenza di persone comunque unite da stretti legami personali o familiari, all’interno di una stessa struttura o reparto: figli, nipoti, coniugi, conviventi, parenti e affini fino al terzo grado .

L’articolo, che sarà sottoposto al voto del Consiglio, indica ai direttori generali come comportarsi nell’assegnazione del personale per evitare appunto questo tipo di situazioni, nell’intento di preservare la credibilità e affidabilità dell’azienda sanitaria.

Si procederà quindi, ove necessario, ad assegnare l’operatore sanitario ad altra struttura organizzativa gia’ es! istente presso la stessa azienda sanitaria, “in posizione compatibile con i requisiti professionali posseduti”.

Sono previste anche procedure di mobilità tra le varie Aziende che compongono il sistema sanitario regionale, sempre nel rispetto delle norme contrattuali in atto.

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Toscana Notizie
Agenzia di informazione della Giunta Regionale
Registrazione 5101/2001 presso il Tribunale di Firenze.
Direttore responsabile Daniele Pugliese
telefono +39 055/4384714 – fax +39 055/4384800
e.mail web@toscana-notizie.it

lucio8

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I tempi cambiano

In aumento le donne che versano l’assegno. In 10 anni +74% di addii
Pochi i grandi patrimoni. In media gli sposi si spartiscono 2300 euro
Il divorzio all’italiana è più rosa
adesso è lei a mantenere l’ex

L’85% dei coniugi si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese
“Trent’anni fa le mogli cercavano di riavere il marito, ora chiedono di soffrire di meno”
di MARIA NOVELLA DE LUCA

Il divorzio all’italiana è più rosa adesso è lei a mantenere l’ex
ROMA – C’è un giorno in cui si dividono vite e patrimoni, figli e ricordi, elettrodomestici e sentimenti. Sono le donne a dire addio se le cose non vanno, se l’amore è svanito, se qualcuno ha tradito, ma poi è l’uomo a chiedere il divorzio, e a riallacciare nuove nozze. Mentre i figli, nel mezzo, sperimentano oggi l’affido congiunto a mamma e papà. Fotografia dell’instabilità coniugale nell’Italia che cambia, a 35 anni dal referendum che con 19 milioni di voti rese definitiva la legge sul divorzio, mentre il numero delle famiglie che si rompono è in vertiginosa ascesa. In 10 anni i divorzi sono aumentati del 74% e le separazioni del 57,3%, dal 2000 in poi la salita non s’è mai arrestata, nel 2006 ogni mille matrimoni ben 3 si sono chiusi in modo definitivo.

All’ombra delle star, mentre la questione Lario-Berlusconi è soltanto all’inizio, l’istituto del divorzio in Italia cambia pelle. Gli esperti dicono che per fortuna il tabù sociale è (quasi) morto e sepolto, l’85% delle coppie si lascia in modo consensuale per dimezzare tempi e spese, con la novità che in misura crescente anche le donne, se si trovano ad essere il coniuge “più forte”, iniziano a versare l’assegno di mantenimento all’ex marito. Attenzione, però: la società si evolve ma il crac emotivo è sempre lo stesso. Più lungo è stato il matrimonio più dura è riprendersi, e per i figli, avverte Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo, “la separazione resta un terremoto, e spetta ai genitori aiutarli a superare un cambiamento così radicale”.

“Non siamo ancora ai livelli francesi, dove 4 matrimoni su 10 vanno in frantumi – spiega il demografo Massimo Livi Bacci – di certo però in Italia l’instabilità coniugale cresce di anno in anno, cambiando profondamente la struttura stessa della famiglia. Da un matrimonio che si rompe nasce infatti una “galassia” di nuove unioni.
Dal nucleo monoparentale alla famiglia allargata fino al bambino-staffetta, affidato ad entrambi i genitori, con il suo tempo diviso tra due case, due situazioni, due realtà”.

Cambiano le relazioni, i sentimenti, piuttosto che sposarsi si preferisce convivere, dire “per sempre” fa paura a molti, le nozze sono diminuite del 32,4% negli ultimi trent’anni, in particolare il rito religioso. “Eppure – ragiona Livi Bacci – nonostante uno scenario così cambiato la Chiesa mantiene ferma la sua posizione di condanna nei confronti del divorzio”, vietando ad esempio l’eucarestia ai divorziati che non abbiano scelto di “vivere in castità”, e facendo affondare nel 2003 la legge sul “divorzio breve”, che puntava ad abbassare da tre a un anno il periodo della separazione legale, al termine del quale è possibile chiedere il divorzio.

“L’impennata di separazioni e divorzi, – precisa Marina Marino, avvocato matrimonialista e presidente dell’Aiaf, l’Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori – non vuole dire che si arrivi alla fine di un matrimonio con meno sofferenza. E tra le coppie che si siedono nel mio studio vedo che la fascia d’età in cui è più doloroso lasciarsi è quella tra i 55 e i 65 anni, in particolare per le donne, che spesso restano isolate nella vita sociale, e per le quali è più difficile ricominciare”.

Con l’affido congiunto, precisano gli avvocati, le conflittualità sulla custodia dei figli si sono attenuate. Non così i contenziosi sulla divisione dei patrimoni. “Mi è capitato decine di volte di incontrare uomini notoriamente facoltosi che poi presentavano dichiarazioni dei redditi da nullatenenti quando si doveva decidere l’assegno per la moglie e i figli. Ma il problema dei grandi patrimoni riguarda una ristrettissima élite. La realtà è la famiglia media dove in caso di divorzio si devono spartire 2.300 euro di reddito. Allora sì che si diventa poveri”.

Racconta Gianna Schelotto, psicoanalista e psicoterapeuta, che è sulla separazione che ci si deve soffermare “perché il divorzio arriva dopo, quando i momenti più strazianti sono passati”. “Ci si lascia per molti motivi, ma il più duro da sopportare è il tradimento. E’ una ferita quasi insopportabile, un sentimento comune sia ai maschi che alle femmine, ma diversa è la reazione. Trent’anni fa le donne arrivavano da me chiedendomi: “Come faccio a riportarlo a casa”, oggi vogliono riuscire a non soffrire, sono quasi sempre loro a pretendere la separazione, e si aggrappano al lavoro, ai figli. Trent’anni fa erano indifese, sole di fronte al dolore e colpevolizzate dalla società, oggi sono sostenute, salvaguardate dalle leggi”.

Del resto seppure con i numeri di un’avanguardia, le donne hanno oggi un ruolo “paritario” nel divorzio. A volte, addirittura, predominante. “Si tratta di un’élite benestante, spesso di libere professioniste – ha spiegato di recente Gian Ettore Gassani, presidente dell’Associazione matrimonialisti italiani – che alla fine di un matrimonio si ritrovano ad essere il coniuge più forte e più ricco. E sono loro, se l’ex partner ne ha diritto, a dover versare l’assegno…”. Nel 2007 e nel 2008, secondo i dati del centro studi Ami, il 3,5% delle sentenze ha dichiarato che spettava alle mogli il mantenimento dell’ex marito. “Nella mia carriera finora ne ho viste poche – dice però Marina Marino -ma di certo è una tendenza”.

Aggiunge Anna Oliverio Ferraris: “Oggi è difficile far durare una coppia. Per le attese implicite, perché si cerca il partner perfetto, perché si fugge dall’idea che la famiglia sia anche una costruzione. Con l’affido congiunto i genitori sono responsabili in egual modo della crescita dei figli e questa è stata una vera rivoluzione. Finora infatti il genitore non affidatario restava sullo sfondo, i padri si trasformavano nei papà della domenica. I figli si sentono abbandonati da chi se ne va, la chiave invece è non farli sentire soli, fargli capire che seppure non più coppia, i genitori restano genitori”.

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