BUONANOTTE A TUTTI! Ecco la giunta (abusiva) Cota.

L’ASSESSORE E IL CAPO-CRIMINE

Claudia Porchietto, responsabile del Lavoro nella giunta piemontese di Cota, annuncia querela
contro ilfattoquotidiano.it che ha raccontato un caso definito dai magistrati “rappresentativo
dell’influenza che la ‘ndrangheta ha nella vita democratica”: un suo incontro con due superboss

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Buonanotte a tutti! Leggete questo ultimo, immenso, crimine di silvio berlusconi. Quello che denuncia Gabbanelli

Lodo Antigua: il miracolo di Berlusconi via il debito

di Umberto De Giovannageli

 Un «paradiso fiscale» sgravato del 90% del suo debito. E, di contro, un Paese tra i più poveri al mondo che per ottenere lo stesso trattamento, sei anni dopo, deve essere devastato da un immane terremoto. Storia di una vergogna. Una vergogna targata Silvio Berlusconi. Report ha denunciato il «caso Antigua» e le società offshore riferibili al Cavaliere. Storia di debiti cancellati (dall’Italia) e di ville acquistate (dal premier). Ma c’è un aspetto di questa vicenda che non ha avuto il dovuto rilievo. L’Italia è da tempo maglia nera per ciò che riguarda gli impegni disattesi nelle più importanti campagne internazionali: dagli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite al Global Fund per la lotta all’Aids, dall’Aiuto allo Sviluppo alla Campagna mondiale per la Cancellazione del debito.

Ebbene, questo Paese inadempiente governato da un Premier-Pinocchio, ha avuto la faccia tosta, nel dicembre 2004, di cancellare il 90% del prestito e degli interessi maturati pari a circa 160 milioni di euro, accontentandosi di un «pagherò» di 14 milioni di euro. L’allora titolare della Farnesina era Gianfranco Fini, il sottosegretario agli Esteri che negoziò l’«l’affaire» era Mario Baccini. Si dirà: ma forse questo provvedimento è stato preso per favorire un Paese povero, Antigua e Barbuda.

STORIA DI UNA VERGOGNA
Non è così. Da statistiche inoppugnabili risulta che negli anni a ridosso della decisione del Governo Berlusconi ter, il reddito pro capite ad Antigua e Barbuda superava abbondantemente i diecimila dollari, ponendo il «paradiso fiscale» caraibico ben al di sopra di altri 90 Paesi al mondo, tra i quali Tunisia, Marocco, l’intero continente africano, una parte significativa dell’Asia…Una vergogna, per l’appunto. Tanto più evidente se si pensa che per la cancellazione dei soli 40 milioni di euro di debito di Haiti (155mo Paese su una statistica di 180 per ciò che concerne il reddito pro capite) si è dovuto attendere il devastante terremoto del 2010. Ad aggiungere vergogna a vergogna è il fatto, ricostruito da l’Unità attraverso fonti diplomatiche attendibili, in quello stesso periodo l’Italia si dichiarò «impossibilitata» a operare una rescissione del debito per «Paesi di gran lunga in condizioni peggiori di Antigua…».

L’Italia fu allora l’unico Paese al mondo che andò in soccorso del «paradiso fiscale» caraibico. La storia del debito cancellato al paradiso fiscale caraibico risulta ancora più incredibile, e vergognosa, se si rapporta, come rileva Giulia Alliani in un documentato articolo sul sito www.osservatoriosulla legalita.org, che «al Summit del G8 a Gleneagles, il Governo italiano ha confermato che non è in grado di assicurare le risorse per la lotta alla povertà più volte promesse per tenere fede agli impegni internazionali» e che «oggi l’Italia investe meno di 10 centesimi al giorno per ogni cittadino nella lotta alla povertà nel mondo…» Il summit del G8 di Gleneagles si tiene dal 6 all’8 luglio 2005, vale a dire solo 8 mesi dopo la decisione del Governo italiano di cancellare il 90% del debito, e dei relativi interessi, ad Antigua e Barbuda.

Si dirà: ma chi negoziò l’accordo non sapeva che i beneficiari erano nella lista dei «paradisi fiscali» e non tra quella dei Paesi più poveri. Sarà. Resta il fatto che i paradisi fiscali, identificati sulla base dei criteri Ocse, nel Rapporto (Progress in identifying and eliminating harmful tax pratices ) del 2000 erano 35. Fra questi comparivano, anche Antigua e Barbuda. Torniamo all’anno cruciale: il 2005. Un anno in cui, rileva ancora Alliani, «secondo i dati dell’Ocse-Dac, siamo l’ultimo tra i Paesi donatori, con lo 0,15% del Pil per il 2005, contro lo 0,33% che, secondo il Dpef 2003-2006, dovremmo raggiungere entro il 2006». Ancora più curiosa risulta la generosità italiana nei confronti delle isole dei Caraibi quando si legge che «il contributo per il 2004 di 100 milioni di euro al Fondo Globale per la lotta all’AIDS tubercolosi e Malaria è stato versato con oltre un anno di ritardo e per il 2005 risulta ridotto a 80 milioni, mentre non sono stati ancora quantificati i nuovi contributi per il 2006-2007». Le statistiche degli anni seguenti indicano che le inadempienze italiane si sono ulteriormente aggravate.

FUORI DAL G8
«È noto a tutti che in tempi recenti ho avuto delle divergenze con il vostro primo ministro, a causa di alcune promesse non mantenute. Questo non significa per me mancare di rispetto agli Italiani, o al suo partito, o al premier stesso. Ma non ho rispetto per le sue promesse non mantenute…”. Così il leader degli «U2», Bono, si rivolge al Cavaliere-Pinocchio dal palco di San Siro (7 luglio 2009). Lo stesso leader degli U2 assieme a Bob Geldof, si era fatto promotore di un appello per lasciar fuori Berlusconi dal G8 del Canada: « I leader del G8 si incontreranno in Canada il prossimo giugno. Quasi tutti i Paesi del G8 hanno cancellato il debito e aumentato gli aiuti concreti all’Africa. Ciò ha permesso ad altri 42 milioni di bambini di andare a scuola e ha reso possibile la somministrazione di trattamenti salvavita a oltre tre milioni di soggetti affetti da Aids. Solo una persona non ha mosso un dito. Anzi, il premier Berlusconi sta facendo persino meno ora di quanto non facesse cinque anni fa. Berlusconi andrebbe espulso dal G8…», era la motivazione. Affari privati e «sgravi pubblici». Debiti cancellati e immobili acquisiti. L’«affaire-Antigua», visto in questa ottica, appare come il laboratorio politico di quella «diplomazia degli affari» (pubblici e privati) che il Cavaliere ha riproposto in grande stile qualche anno dopo con la Libia del Colonnello Gheddafi.

b-arrestato

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Buonanotte a tutti! Russia: grave potente boss crimine°°° Qui pure, gravissimo, ma solo per la cocaina che gli ha spappolato il cervello.

Russia: grave potente boss crimine

(ANSA) – MOSCA – Lotta tra la vita e la morte uno dei piu’ potenti e famosi boss del crimine russo, il 73enne Aslan Usoyan detto ‘Nonno Hassan’. E’ stato raggiunto da un colpo di arma da fuoco mentre scendeva dalla sua auto, a un solo km di distanza dal Cremlino. L’agguato e’ un nuovo episodio nella guerra tra bande locali che si contendono il territorio. Non accadeva da tempo: nel caos seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, attacchi del genere erano all’ordine del giorno.

°°° Indovinate un po’ chi è -in Russia – il capo assoluto della mafia vincente?  Piccolo aiutino: regala letti al suo collega italiano; è basso come lui; gli piace circondarsi di servi-cocaina- e puttanelle; odia i giornalisti e fa di tutto per farli sparire… Si vince una bambolina, gonfiabile.

silviosvenuto

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Toc toc! Napolitano?!

La legge
del bavaglio

di GIUSEPPE D’AVANZO

L’agenda delle priorità di Silvio Berlusconi continua ad essere ad personam. Quindi, che la ricreazione continui, con buona pace di Emma Marcegaglia. Sostegno alle imprese e a chi perde il lavoro? Possono attendere. Per la bisogna sono sufficienti, al premier, un paio di bubbole nel tempio di cartapesta di Porta a porta (4 giugno): “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Il Cavaliere diventa meno fantasioso quando si muove nel suo interesse. Teme le intercettazioni (non si sa mai, con quel che combina al telefono) e paventa le cronache come il diavolo l’acqua santa. Si muove con molta concretezza, in questi casi. Prima notizia post-elettorale, dunque: il governo impone la fiducia alla Camera e oggi sarà legge il disegno che diminuisce l’efficacia delle investigazioni, cancella il dovere della cronaca, distrugge il diritto del cittadino di essere informato. Con buona pace (anche qui) della sicurezza dei cittadini di un Paese che forma il 10 per cento del prodotto interno lordo nelle pieghe del crimine, le investigazioni ne usciranno assottigliate, impoverite.

L’ascolto telefonico, ambientale, telematico da mezzo di ricerca della prova si trasforma in strumento di completamento e rafforzamento di una prova già acquisita. Un optional, per capirci. Un rosario di adempimenti, motivazioni, decisioni collegiali e nuovi carichi di lavoro diventeranno sabbia in un motore già arrugginito avvicinando la machina iustitiae al limite di saturazione che decreta l’impossibilità di celebrare il processo, un processo (appare sempre di più questo il cinico obiettivo “riformatore” del governo). Ancora. Soffocare in sessanta giorni il limite temporale degli ascolti (un’ulteriore stretta: si era parlato di tre mesi) “vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell’ordine e degli uffici di procura”, come inutilmente ha avvertito il Consiglio superiore della magistratura.

Sistemata in questo modo l’attività d’indagine, il lavoro non poteva dirsi finito se anche l’informazione, il diritto/dovere di cronaca, non avesse pagato il suo prezzo. Con un tratto di penna la nuova legge estende il regime che oggi regola gli atti giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto “fino alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Prima di questo limite “sarà vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione e degli atti delle conversazioni telefoniche anche se non più coperti dal segreto”.

Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si potrà dire qual è quell’inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci.

Addio al giornalismo come servizio al lettore e all’opinione pubblica. Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società. È vero, in alcuni casi l’ostinazione a raccontare le opacità del potere ha convinto il giornalismo ad andare oltre i confini del codice penale violando il segreto. È il suo mestiere, in fondo, perché la libertà di stampa è nata nell’interesse dei governati e non dei governanti e quindi non c’è nessuna ragione decorosa per non pubblicare documenti che raccontano alla pubblica opinione – ricordate un governatore della Banca d’Italia? – come un’autorità di vigilanza protegge (o non protegge) il risparmio e il mercato.

Naturalmente violare la legge, anche se in nome di un dovere professionale, significa accettarne le conseguenze. È proprio sulle conseguenze di violazioni (finora comunemente accettate) che la legge del governo lascia cadere un maglio sulla libertà di stampa. I cronisti che violeranno la consegna del silenzio saranno sospesi per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti (sarà questa la vera punizione) e subiranno una condanna penale da sei mesi a tre anni di carcere (che potrà trasformarsi in sanzione pecuniaria, però). Ma non è questo che conta davvero, mi pare. Che volete che sia una multa, se si è fatto un lavoro decente?

La trovata del governo che cambia radicalmente le regole del gioco è un’altra. È la punizione economica inflitta all’editore che, per ogni “omesso controllo”, potrà subire una sanzione pecuniaria (incarognita nell’ultimo testo) da 64.500 a 465mila euro. Come dire che a chi non tiene la bocca cucita su quel che sa – e che i lettori dovrebbero sapere – costerà milioni di euro all’anno la violazione della “consegna del silenzio”, cifre ragguardevoli e, in molti casi, insostenibili per un settore che non è in buona salute.

L’innovazione legislativa – l’abbiamo già scritto – sposta in modo subdolo e decisivo la linea del conflitto. Era esterna e impegnava alla luce del sole la redazione, l’autorità giudiziaria, i lettori. Diventa interna e vede a confronto, in una stanza chiusa, le redazioni e le proprietà editoriali. La trovata trasferisce il conflitto nel giornale. L’editore ha ora un suo interesse autonomo a far sì che il giornale non pubblichi più quelle cronache. Si portano così le proprietà a intervenire direttamente nei contenuti del lavoro redazionale. Le si sollecita, volente o nolente, a occuparsi della materia informativa vera e propria, sindacando gli atti dei giornalisti. Il governo, nel progetto inviato al Parlamento, pretende addirittura che l’editore debba adottare “misure idonee a favorire lo svolgimento dell’attività giornalistica nel rispetto della legge e a scoprire ed a eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. È evidente che solo attraverso un controllo continuativo e molto interno dell’attività giornalistica è possibile “scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. Di fatto, l’editore viene invitato a entrare nel lavoro giornalistico e a esprimere un sindacato a propria tutela.

Ecco dunque i frutti intossicati della legge che oggi sarà approvata, senza alcuna discussione, a Montecitorio: la magistratura avrà meno strumenti per proteggere il Paese dal crimine e gli individui dall’insicurezza quotidiana; si castigano i giornalisti che non tengono il becco chiuso anche se sanno come vanno le cose; si punisce l’editore spingendolo a mettere le mani nella fattura del giornale. E quel che conta di più, voi – cari lettori – non conoscerete più (se non a babbo morto) le storie che spiegano il Paese, i comportamenti degli uomini che lo governano, i dispositivi che decidono delle vostre stesse vite. Sono le nuove regole di una “ricreazione” che non finisce mai.

°°° Se Napolitano, contro ogni legge terrena e divina, dovesse firmare questa ulteriore porcata, sarebbe come se silvio berlusconi e la sua cosca al potere girassero impunemente con la parola MAFIA tatuata sulla fronte. Spero che il capo dello Stato lo mandi a cagare malamente e che le opposizioni si dimostrino tali. UNA MOSTRUOSITA’ DEL GENERE NON PUO’ PASSARE!

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