Poppe… da Marco Travaglio

Le Poppe della Libertà

Poi dicono che in Italia manca un’accurata selezione della classe dirigente. Sentite qua: Marcello Vernola, ex Dc, ex Dl, ex Fi, ora Udc, viene defenestrato dai berluscones alle Europee per far posto a Barbara Matera, già letteronza. Ubi maior. Insegue Denis Verdini, lo raggiunge al “seminario delle 30 veline da candidare alle europee”, il corso intensivo serale di tre giorni tenuto da Brunetta e La Russa, e chiede spiegazioni. Risposta: “Caro, tu non c’hai le poppe”. Allora insegue Berlusconi fino all’Aquila: “Mi spiegò il suo progetto di ringiovanire le liste europee con belle fanciulle e scherzò sul fatto che non gli presentavo mai belle e giovani ragazze. Ovviamente non lo presi sul serio”. E fece molto male: Al Tappone va preso sul serio solo quando scherza. Scartato il molesto postulante che non ha le poppe e non presenta mai ragazze, entrò in lista ­ma solo alle comunali ­ la escort Patrizia, al seguito dei Matarrese. Sempre per ringiovanire. Ora, poverina, fingono tutti di non conoscerla. Tato Greco, nipote di Matarrese, spiega che lei arrivò un giorno, chiese di entrare in lista, e ci entrò subito “perché eravamo sotto con le quote rosa”. Ecco, le loro quote rosa. Come dice Mavalà Ghedini, “Berlusconi ha grande rispetto per il mondo femminile”: infatti, in veste di “utilizzatore finale” della merce, “non ha bisogno di pagare 2000 euro per una ragazza…potrebbe averne grandi quantitativi, gratis”. Notare la soavità dell’espressione “grandi quantitativi gratis”. Ponti aerei di gnocca. A’ dotto’, c’avemo ‘n grande quantitativo de poppe gratis: che famo, scaricamo?

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IL CAZZARO ALEMAGNO

IN CAMPAGNA ELETTORALE AVEVA ANNUNCIATO: È UN INUTILE CARROZZONE, LO CHIUDEREMO – MA ALLA VIGILIA DEL VOTO “RISORSE PER ROMA”, IN PROFONDO ROSSO, VARA BEN 16 ASSUNZIONI, TRA CUI AD E VICEPRESIDENTE IN QUOTA FI E AN…

Giovanna Vitale per “La Repubblica – Roma”

In campagna elettorale era uno dei suoi cavalli di battaglia. Quando si trattava di attaccare «il sistema clientelare costruito dal centrosinistra in quindici anni di governo della città» il non ancora sindaco Alemanno citava sempre “Risorse per Roma” come esempio di «inutile carrozzone» da smantellare appena insediato in Campidoglio.

Un anno dopo, però, non solo l´azienda in house nata nel ‘95 per gestire la dismissione e la valorizzazione degli immobili comunali è ancora là, ricapitalizzata per ben due volte con oltre 12 milioni di euro, ma ha appena proceduto a 14 nuove assunzioni in pianta stabile, che diventano 16 se si contano anche quelle a termine dell´amministratore delegato Maurizio Bonifati (area Forza Italia) e del vicepresidente Alfredo Tirrò (già dirigente provinciale di An). Niente male per una società che doveva essere chiusa. E per di più a un passo dall´insolvenza a causa della perdurante mancanza di commesse da parte del Campidoglio.

A denunciarlo, in un´informativa consegnata alla giunta e ai sindacati, è stato l´assessore al Bilancio Ezio Castiglione. Il quale, l´8 aprile, scrive che «l´importo della ricapitalizzazione, in assenza di ricavi contabilizzati dall´azienda e considerato un costo mensile di 1,5 milioni di euro, è sufficiente a tenere in vita Risorse per Roma fino a metà maggio». Termine entro il quale il Campidoglio avrebbe dovuto intervenire – con nuovi fondi, nuove commesse o stipulando un contratto di servizio – per evitare di portare i libri in tribunale.

Tuttavia, proprio in quei giorni difficili, cosa fa il cda? Stabilisce di assumere nuovi dipendenti, in aggiunta ai 216 già in organico e ridotti a far nulla. Nell´ordine: 2 autisti (sebbene Risorse ne abbia già 3), 6 quadri, 4 addetti alle relazioni esterne, persino un´hostess e un´assistente dell´amministratore delegato. La quale si dimette da AceaElectabrel (società quotata) per entrare nell´azienda comunale. Ciliegina sulla torta? Il contratto di consulenza a una esperta di comunicazione che, guarda caso, pochi giorni prima aveva firmato un´intervista al presidente Kappler su un periodico del Rotary club.

°°° Vedete, amici? Questi magnaccia sparano cazzate su cazzate contro gli amministratori seri, imputandoli calunniosamente di azioni che POI LORO COMMETTONO DAVVERO! Io ricordo dei “dieci miliardi di buco” che, secondo Mafiolo e Alemanno, avrebbe lasciato Veltroni. Ovviamente, non è assolutamente vero. Quei soldi sono investiti in infrastrutture monumentali (di cui Roma aveva assoluto bisogno) e che sono in via di ultimazione. Mentre DIECI MILIARDI VERI di rosso, quelli sì, li ha lasciati francesco storace, allora an, quando era l’allegro presidente della regione Lazio… solamente in campo sanitario! E credo che esista ancora un’indagine aperta che lo riguarda, insieme all’ex segretario particolare di Fini e anche alla ex signora Fini. Questi sono fatti.

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IL GATTO TERRORISTA DI ALEMAGNO

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Il mafioso dell’utri

Un uomo colto. Sul fatto
di Marco Travaglio

Ci sia consentito di ringraziare dal più profondo del cuore il sen. Marcello Dell’Utri, noto pregiudicato e soprattutto bibliofilo tra i più raffinati. Grazie perché non delude mai: trent’anni dopo la prima intercettazione che lo immortalò a colloquio con l’eroico Mangano, continua a ricevere mafiosi e a farsi beccare al telefono senza usare precauzioni. L’altro giorno, quando girava voce di un misterioso senatore sorpreso a colloquio con uomini della ‘ndrangheta, ci siamo detti: no, non può essere ancora lui. Basta con questa cultura del sospetto che associa il suo nome a qualunque scandalo dell’orbe terracqueo. Ogni tanto si riposerà anche lui, che diamine. Invece s’è scoperto che l’uomo al telefono col bancarottiere Aldo Miccichè, latitante in Venezuela, era Dell’Utri. L’uomo che riceveva nel suo studio Antonio Piromalli, reggente del clan calabrese impegnato nei brogli esteri, e suo cugino Gioacchino, avvocato radiato dall’Ordine per una condanna di mafia, era ancora lui. L’uomo che poi ringraziava Miccichè per avergli mandato a casa quei «due bravi picciotti», era sempre lui. Grazie senatore per agevolare, con la sua sostenibile leggerezza dell’essere, gl’investigatori. La prima volta fu nel 1980, quando si fece sorprendere al telefono con Vittorio Mangano a parlare di «cavalli». La seconda nel 1986, quando il Cavaliere lo chiamò per informarlo di una bomba appena esplosa nella villa in via Rovani: ma «fatta con molto rispetto, quasi con affetto», un «segnale acustico» tipico dell’eroico Mangano (che fra l’altro non c’entrava perché era in galera). La terza un mese dopo, quando il mafioso Tanino Cinà gli telefonò per annunciargli l’arrivo di quattro cassate: una per lui, una per suo fratello, una per Confalonieri, una extralarge da 10 chili per Silvio. Le rare volte in cui non parla al telefono, le sue agende parlano per lui: due appunti del novembre ’93 («2-11, Mangano Vittorio sarà a Milano per parlare problema personale»\, «Mangano verso il 30-11») rivelano che, mentre dava gli ultimi ritocchi a FI, riceveva a Publitalia il solito Mangano, reduce da 11 anni di galera per mafia e droga. Altre volte, al telefono, parlano di lui gli amici degli amici. Come due uomini legati alla mafia catanese, Papalia e Cultrera, che il 25 marzo ’94 si preparano alla prima vittoria azzurra: «Il giorno in cui Berlusconi salirà, come ho detto in una cena alla presenza anche di Marcello, si dovranno prendere tante soddisfazioni… fra cui l’annientamento dell’amministrazione (la giustizia, ndr), perché sono gruppi di comunisti!». Marcello è lo stesso che il 12 ottobre ’98 riceve nell’ufficio di via Senato a Milano Natale Sartori (socio della figlia di Mangano in una coop di pulizie), pedinato dalla Dia in un’indagine per droga. Due mesi dopo, 31 dicembre, la Dia filma Dell’Utri mentre incontra a Rimini il falso pentito Pino Chiofalo, che organizza un complotto per calunniare i veri pentiti che accusano Marcello. Maggio ’99: Dell’Utri è candidato in Sicilia all’Europarlamento: un picciotto di Provenzano, Carmelo Amato, vota e fa votare: «Purtroppo dobbiamo portare a Dell’Utri, se no lo fottono. Pungono sempre, ‘sti pezzi di cornuti (i giudici, ndr). Questi sbirri non gli danno pace». Maggio 2001: il boss di Brancaccio, Giuseppe Guttadauro, parla col mafioso Salvatore Aragona: «Con Dell’Utri bisogna parlare», «alle elezioni ’99 ha preso impegni» col boss Gioacchino Capizzi «e poi non s’è fatto più vedere». Aragona rivela: «Io sono stato invitato al Circolo, che è la sede culturale e intellettuale di Dell’Utri in via Senato, una biblioteca famosa». Nel 2003 Vito Roberto Palazzolo, condannato per narcotraffico, imputato per mafia e rifugiato in Sudafrica, aggancia Dell’Utri e la moglie perché premano sul ministro di Giustizia – scrivono i pm – «per ammorbidire le richieste di rogatoria e di estradizione». Nel 2005 la Procura di Monza intercetta due finanzieri, Savona e Pelanda, che parlano del Ponte sullo Stretto e il secondo ha appena saputo dall’amico Dell’Utri che «la gara d’appalto la vince l’Impregilo». Profezia puntualmente avverata. Nel 2005, scandalo scalate & furbetti. Mica c’entrerà Dell’Utri anche lì? No, nelle intercettazioni lui non parla e nessuno parla di lui. Ma poi arrestano Fiorani, e questo parla di 200 mila euro da sganciare ai senatori forzisti Grillo e Dell’Utri. Nessun reato, stabiliscono i giudici. Ma il suo motto è quello di Piercasinando: «Io c’entro». Sempre. Come diceva Montanelli, « Dell’Utri è un uomo colto. Soprattutto sul fatto».

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