Diplomatiche irregolarità: il bestiario dei magheggi di chi rappresenta il Belpaese

Ambasciatori, consoli e funzionari, in missione con stipendi d’oro, spesso finiscono al centro di inchieste per tangenti, errori contabili, sottrazione di fondi e così via. Emblematico il caso della falsa residenza all’ex senatore Di Girolamo, poi condannato per riciclaggio

L’ex ministro Gianni De Michelis, assolto dall’accusa di aver preso tangenti per favorire commesse nella cooperazione allo sviluppo
Strapagati, certo. Ma in molti casi pasticcioni, a volte furbi e non di rado disonesti. Ambasciatori, consoli, diplomatici e funzionari lasciano l’Italia per andare in missione con stipendi d’oro per rappresentare degnamente il Belpaese nel mondo. E tuttavia quando vi arrivano spesso fanno proprio il contrario, finendo al centro di inchieste per tangenti, errori contabili, sottrazione di fondi e così via. L’ultima, emblematica, vicenda giudiziaria ha travolto l’ex ambasciatore italiano a Bruxelles, Sandro Maria Siggia, per aver aiutato l’ex senatore Nicola Di Girolamo (Pdl) a ottenere una finta residenza e quindi il via libera a candidarsi in un collegio elettorale estero. L’ex parlamentare ha patteggiato cinque anni per riciclaggio e violazione della legge elettorale con aggravante mafiosa e il diplomatico è stato richiamato a Roma e destituito.

Ma per un caso che balza agli onori della grande cronaca, ce ne sono decine che nessuno racconta. Che sia sui fondi, sulle indennità, sulla gestione di cassa, sulle spese correnti e perfino sulle marche da bollo dei passaporti. Cose scoperte solo dopo dalla giustizia contabile, che verifica i bilanci a caccia di irregolarità. A distanza di anni per ottenere la refusione del danno la Procura Regionale e la Corte dei Conti bussano alle porte, che nel frattempo hanno cambiato insegna. E nelle sentenze, alcune definitive, altre pendenti in appello, si può fare il giro intorno al mondo passando di capitale in capitale attraverso cinque Continenti.

Si può partire ad esempio dal Madagascar. Proprio lo scorso maggio, ad esempio, la Corte dei Conti ha condannato il contabile dell’ambasciata Ludovico Maria Vaglio a restituire allo Stato 13mila euro per spese in assenza di rendiconto e ammanchi di cassa. Certo spiccioli rispetto ad altre lunghe e ben più pesanti vicende giuridiche con al centro diplomatici e loro funzionari. Clamorosa quella che relativa a un giro di tangenti in quota Psi che a metà degli anni Novanta ha coinvolto diverse ambasciate africane e perfino l’ex ministro Gianni De Michelis e la sua segretaria (poi assolti). L’accusa partita in sede penale era pesantissima: aver preso tangenti per far ottenere commesse nella cooperazione allo sviluppo utilizzando i relativi fondi europei. Le cifre contestate variavano da 350 milioni di vecchie lire a 2,7 miliardi. Seguono svariate fasi processuali con condanne, appelli, assoluzioni e patteggiamenti sotto il profilo penale. Dieci anni dopo, con sentenza del 24 aprile 2008, la Corte dei Conti dispone la condanna per alcuni dei protagonisti della vicenda. Dovrà risarcire 2 milioni di euro l’ex ambasciatore in Senegal Giuseppe Santoro, 30mila euro Domenico Molinaro, già segretario particolare del sottosegretario Andrea Borruso a sua volta condannato a rifondere 20mila euro.

Un’altra vicenda porta in Kenia. Oltre ai fondi oggetto di malversazione sono state le indennità di sede, cioé gli importi addizionali ricevuti dal personale di ruolo distaccato all’estero. Due anni fa il cancelliere capo della delegazione diplomatica a Nairobi, Antonino Caminiti, è stato condannato a pagare 21mila euro e l’ambasciatore Carlo Ungaro altri 30.826 euro. La ragione? Secondo la giustizia contabile applicavano al proprio conto economico i coefficienti di indennità di sede maggiorati previsti per le ambasciate, di gran lunga superiori rispetto a quelli previsti per le sedi diplomatiche come era, ai tempi, quella di Nairobi.

E si torna in Europa dove c’è chi ha infilato nel capitolo spese anche quello che non poteva legittimamente entrarci. A febbraio del 2010 l’ex ambasciatore a Parigi Giacomo Attolico è stato condannato a risarcire lo Stato per 7.803 euro per una vicenda che risale al 1988 relativa a spese non imputabili all’ambasciata e quindi non ammissibili a rimborso: cartoncini da invito per 3.226 franchi, spese per forniture e servizi di ricevimento in occasione di manifestazioni culturali per altri 65.423 frachi. Spese poste a carico dell’ente diplomatico ma che non potevano essere fatte a suo carico o anticipate e poi pretese, avendo l’ambasciatore già un’indennità di rappresentanza a coperta di questo tipo di spese. Nella motivazione della sentenza, depositata a maggio di quest’anno, si comprende meglio quanto accaduto. Al centro della vicenda c’è un sontuoso banchetto per fortunati ospiti che non si è neppure tenuto in ambasciata ma all’Istituto italiano di cultura che – ovviamente – riceve fondi e ha capitoli di bilancio proprio per questo tipo di eventi di “promozione”. Visto il conto l’ambasciatore ha preferito metterlo in nota spese quando avrebbe dovuto sostenerne in proprio i costi essendo questi già coperti dall’indennità di rappresentanza.

Altro denaro scorre per il rilascio dei passaporti sotto forma di marche. Succede in Israele. Il 3 marzo scorso è stato condannato al risarcimento di 17.431 euro Marco Esposto, dipendente contabile dell’ambasciata italiana di Tel Aviv per aver causato un danno non aggiornando la tariffa consolare relativa alla tassa di concessione governativa e al costo dei libretti passaporto nel periodo giugno 2005 – ottobre 2006.

Si torna in Senegal per una vicenda che ha avuto al centro un altro contabile. Si chiama Marcello Marcelli ed era stato condannato per aver alterato i dati di bilancio a cavallo tra 2000 e 2001. L’accusa sosteneva che Marcelli non avesse versato 81mila euro sul conto corrente del Tesoro. Poi la somma fissata equitativamente e ridotta rispetto a quella chiesta dalla magistratura contabile era arrivata a 20mila euro ma avverso la sentenza il contabile ha presentato appello che si è concluso a maggio del 2009 con una condanna a risarcire 40mila euro.

In centro America, a Città del Messico, un altro guaio legato alla gestione dell’ambasciata d’Italia. Finiscono a giudizio l’ambasciatore Sergio Cattani (poi assolto) e il cancelliere contabile Fabrizio Calabresi che invece è stato condannato a pagare 147,448 euro. La contestazione riguarda un ammanco di pari valore legato alle mancate registrazioni contabili degli anni 1989-1992. Mancano fascicoli relativi alla rendicontazione, scritture contabili, bordereau di cambio necessari a riscontrare le operazioni di conversione delle valute, discordanza tra emolumenti corrisposti al personale locale e relativi contratti e uso dei conti correnti per spese di natura privata.

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Siamo (Pdl) la vergogna d’Europa

europarlamento
Italiani a Strasburgo: assenze record
Tra i 20 peggiori metà sono «nostri»
La ricerca (privata) di un assistente parlamentare. Basse anche le presenze in commissione

di GIAN ANTONIO STELLA

L’onore dell’Italia in Europa lo salva un tedesco. Si chiama Sepp Kusstatscher, è sudtirolese, fa parte del gruppo dei Verdi e su 270 sedute plenarie ne ha bucate 2. Evviva. Su gran parte degli altri è meglio stendere un velo. Basti dire che tra i primi cento eurodeputati più presenti a Strasburgo i nostri sono 3. Meno di un terzo dei tedeschi e degli inglesi, un quinto dei polacchi. In compenso, sono nostri 10 dei 20 più assenteisti. Da arrossi­re. I dati sono stati raccolti da Fla­vien Deltort, un giovane assisten­te che, dopo avere lavorato in pas­sato con Marco Pannella, si è mes­so cocciutamente a raccogliere uno dopo l’altro tutti i documen­ti ufficiali a disposizione. Con l’in­tento di metterli on-line.
Un lavo­ro certosino. Interminabile. Deci­so per supplire alla riluttanza di­mostrata dall’Europarlamento nel fornire i dati che potrebbero consentire ai cittadini dell’Unio­ne di vedere come lavorano i loro rappresentanti a Bruxelles e a Strasburgo. Riluttanza confermata nell’otto­bre scorso quando il radicale Mar­co Cappato chiese ufficialmente, per avere infine un panorama chiaro, le tabelle delle presenze di tutti gli europarlamentari. Richie­sta respinta dal segretario genera­le Harald Rømer, che gli spiegò: lei, come deputato, può chiedere solo i dati suoi. E basta: «Non esi­ste alcun documento consolidato che riporti il numero totale di pre­senze per Deputato alle diverse riunioni ufficiali» e il regolamen­to «non obbliga in alcun modo le Istituzioni a creare documenti per rispondere ad una richiesta». Una scelta da più parti contesta­ta. E corretta tre mesi fa, nelle in­tenzioni, dal voto di una risoluzio­ne presentata dallo stesso Cappa­to e approvata dall’assemblea a larga maggioranza: 355 a favore, 18 astenuti e 195 contrari, tra i quali quasi tutti i membri del Po­polo delle libertà. Si trattava solo di una dichiarazione d’intenti. Ma esplicita: impegnava infatti l’assi­se continentale a «varare, prima delle elezioni europee del 2009, un piano d’azione speciale per as­sicurare sul proprio sito web, ad esempio nel quadro dell’iniziati­va e-Parlamento, una maggiore e più agevole disponibilità di infor­mazioni ».

Ci si arriverà davvero? Difficile. Anzi: ormai, agli sgoccio­li della legislatura, sembra pratica­mente impossibile. Peccato. Perché solo quei dati ufficiali potrebbero spazzare via polemiche, contestazioni e accu­se di assenteismo e «fannulloni­smo » che si trascinano da anni un po’ in tutti i paesi. Ma soprat­tutto in Italia. Basti ricordare, tra i tanti, lo studio dell’Università tedesca di Duisburg che nel 2004 accertò co­me nella legislatura che si chiude­va, la presenza italiana alle sessio­ni di voto fosse stata del 56,2%, contro l’80,9 dei greci o l’ 82,5% dei tedeschi. Capiamoci: non c’è stata occa­sione in cui i dati siano stati ac­cettati senza rivolte corali. «Non contano le presenze alle assem­blee plenarie, conta il lavoro in commissione!». «Non conta il nu­mero degli interventi in aula, conta il loro peso politico!». «Non contano le interrogazioni in aula, contano i risultati che si ottengono magari con un solo dossier!». Per carità, osservazio­ni legittime. Come è legittima la prudenza nel maneggiare lo stu­dio dal quale attingiamo i dati di oggi. La sostanza delle cose, pe­rò, è inequivocabile. Prendiamo il lavoro nelle com­missioni. I deputati che ne fanno parte possono provare la loro pre­senza mettendo la firma su due diversi registri: quello della com­missione o quello generale. Ma tra i due c’è una differenza sostan­ziale. Il primo è pubblico e con­sultabile (con un po’ di pratica) da tutti, il secondo no: segreto.

Ri­sultato: ogni parlamentare becca­to con un numero di presenze basso può sempre cavarsela giu­rando di avere partecipato molto più di quanto risulti. Anche a prendere i numeri con le pinze, però, ci sono domande che non trovano risposta. Come è possibile che pur avendo l’Italia un decimo dei seggi europei (78, come la Francia e la Gran Breta­gna: solo la Germania coi suoi 82 milioni di abitanti ne ha di più: 99) ci ritroviamo con soli 6 rap­presentanti nella classifica dei 250 più presenti nelle varie com­missioni? Come mai possiamo schierare solo Vittorio Prodi (345 presenze), Umberto Guidoni (270), Patrizia Toia (255), il solito Kusstatscher (195), Pia Elda Loca­telli (192) e Pasqualina Napoleta­no (155) per un totale appunto di sei parlamentari contro 13 del­l’Olanda (che ha poco più d’un terzo dei nostri seggi), 22 della Spagna, 26 della Gran Bretagna e addirittura 49 della Germania? Gli italiani che in questa legislatu­ra fino al 31 dicembre scorso si so­no avvicendati sulle 78 euro-pol­trone (una girandola pazzesca, frutto del disinteresse che la no­stra classe politica prova nei con­fronti dell’Europa, vista troppo spesso soltanto come fonte di sti­pendi e prebende e benefit spetta­colari) sono stati 109: è un disgui­do se solamente 25 risultano fra i 500 (cinquecento!) deputati più presenti nelle commissioni?

È un disguido se su 921 euro-deputati transitati per Strasburgo in que­sta legislatura (anche negli altri paesi capita che alcuni scelgano di abbandonare, sia pure molto meno che da noi) quelli che risul­tano oltre la 800esima posizione sono addirittura 37 e oltre la 900esima ben 9? Quanto alle pre­senze alle sedute plenarie, come dicevamo all’inizio, la situazione è forse ancora più pesante. Non solo abbiamo solo tre parlamenta­ri (Kusstatscher, Francesco Ferra­ri e Pasqualina Napoletano) tra i primi cento più assidui ma ne ab­biamo soltanto 10 tra i primi tre­cento. Contro 17 spagnoli (che hanno ventidue seggi in meno), 25 britannici, 39 tedeschi. In com­penso dominiamo le posizioni di coda, quelle oltre il 900esimo po­sto, con Fabio Ciani, Gianni De Michelis, Gian Paolo Gobbo, Ar­mando Veneto, Alessandra Mus­solini, Rapisardo Antinucci, Pao­lo Cirino Pomicino, Raffaele Lom­bardo, Adriana Poli Bortone e Um­berto Bossi. Qualcuno, come ad esempio Pomicino e Bossi, può invocare problemi di salute. Altri no. «Pesati» i valori massimi e i va­lori minimi, i più presenti e i più assenti, i più loquaci e i più muti, i più attivi nel presentare interro­gazioni e i più pigri, le tabelle of­frono anche una specie di classifi­ca finale. Da cui viene fuori che, tra i primi cento deputati euro­pei, ne abbiamo otto. Con in te­sta, unica tra i primi dieci, Luisa Morgantini. Può bastare, insieme con la presenza di un po’ di «me­diani » che fanno dignitosamente il loro lavoro, per consolarci?


°°° Peoprio i destronzi nostrani, c’era da stupirsene? sono i più fannulloni e i più magnaccia d’Europa. Buoni solo a sparare cazzate e a rubare stipendi e mazzette. E adesso Mafiolo prepara un’ennesima infornata di zoccole ignoranti, che servno solo da sollazzo per qualche potente impotente. Come al solito. Spero che le puttane di professione di stanza a Strasburgo e a Bruxelles si oppongano clamorosamente alla concorrenza sleale.BLEAH!

EUROPA SEDE

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