L’Italia spaccata

A Firenze si sta sgretolando l’asse tra sinistra e borghesia. I fiorentini sono insofferenti, c’è grande voglia di cambiamento. Renzi è vecchio politicamente, il volto nuovo è Giovanni Galli. L’ex portiere è quadrato, uno che sente forte l’impegno per la sua città. Ce la farà. La vittoria a Firenze è nell’aria”. (Paolo Bonaiuti, Pdl, Il Giornale, 5 giugno 2009).

“Firenze, l’Obama del Pd finisce al ballottaggio. Renzi non conquista nemmeno il suo feudo rosso”.
(Il Giornale, 9 giugno 2009. Risultato: Renzi al 60% e Galli al 40).

“La gente torinese ha capito la qualità del nostro programma elettorale”.

(Claudia Porchietto, candidata Pdl alla provincia di Torino, Il Giornale, 27 maggio 2009. Risultato: Saitta del Pd al 57,4% e Porchietto al 42,6).

°°° Ecco come sono finite quasi ovunque le certezze di vittoria di questa destra malavitosa e arrogante. L’Italia è spaccata, amici miei. Da una parte la malavita, il potere mediatico e finanziario, i furbetti, i faccendieri, gli evasori fiscali, gli speculatori, i pasticcioni, i corruttori e i malversatori… dall’altra noi, persone per bene, mediamente colte e informate, senza visibilità mediatica ma con le palle che fumano.

(23 giugno 2009)

brutto

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Bandito corruttore, DIMETTITI!!!

Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D’AVANZO

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la “legge Alfano”, sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso “All Iberian/Mills” con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: “Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario” (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: “Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia” (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, “responsabile di fronte agli elettori”, e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della “società dell’incanto” che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un “comparto estero riservato della Fininvest”, chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda “non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana” (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: “All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità”.

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo “All Iberian” (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che “non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato”, le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento “diretto e personale” di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di “64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”. Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle “fiamme gialle” corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio “enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali”, come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del “group B very discreet della Fininvest” sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come “i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì”). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il “corpo mistico” dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno “questi giudici” a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento “dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura”, come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno “spettacolo”, ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S’aggrappa al solito refrain, “gli italiani sono con me”, come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene “irresponsabile” può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

ber-galera

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Ora ti spiego…

Mi alzo, mi lavo anche se non siamo a Giugno, scendo, faccio uscire i cagnolini ed esco anch’io con la tazzina del primo caffé: è scaldato, troppo, e si intiepidisce meglio alla brezza algida delle dieci. Guardo il cielo, dato che lui guarda me, e vedo cirri, cumuli, nembi… Piove, governo galantuomo! Accendo la prima Stuyvesant e torno su, in bagno. Relax e concentrazione. Due ragazzi portano la legna. Mia moglie esce e dal giardino urla: “Quanto volete per mettermela dentro?” Mollo l’enigmistica e mi alzo. Apro la finestra e mi faccio vedere in tutta la mia possanza: ” Ma che dici?!” dico a mia moglie. E poi urlo ai ragazzi:”Scusate, è straniera. Lasciatela lì, adesso scendo.” Pago gli energumeni che mi guardano oltre: sperano di rivedere la dea bionda della gaffe, ma lei è tornata dentro a fare la cuccuma grande. Faccio colazione, accendo il pc e un’altra cicca: minca! già 236 messaggi! Vabboh, ci sono anche quelli di facebook. Leggo alla svelta qualche titolo della stampa online e posto qualcosa, per non morire. E’ ora: “il cielo si è schierato”… come dice il maresciallo dei carabinieri, devo andare a prendere l’acqua. Oggi vado alla fonte della strada per Seui. Dicono che sia la più leggera. Bisogna cambiare spesso la fonte: dicono che tutte le acque abbiano diverse proprietà organolettiche. Dicono. Guido, ondeggio allegro seguendo l’andazzo delle curve, e penso alle teste di minchia che ANCHE QUI, nel paese dell’acqua e tra cento sorgenti, comprano l’acqua minerale che costa quanto il tavernello. Bello! hanno fatto un bello spiazzo ed è agevole per le manovre dell’auto. Fino a pochi mesi fa era un vero autocross nel pantano, col pericolo di restare immobilizzati nel fango. Scendo. Guardo su… nuvolette bianche come piccoli spari nel cielo turchese. Va meglio. Riempio i boccioni da un tubo che disperde almeno un km quadro d’acqua pregiata al minuto… siamo in Sardistan. Aspettiamo che arrivi Ciarrapico e si fotta anche questa. Qui ci dev’essere una qualche religione che impedisce ai giovani sardegnoli di pensare, di rimboccarsi le maniche e i coglioni, e fare una cooperativa per imbottigliarla, almeno l’acqua di una delle mille fonti salubri che la natura ci regala. Compro le verdure e torno a casa. E’ ancora presto per andare a prendere Melina. Scarico la macchina e poggio due boccioni sul grande tavolo dell’ingresso. Ho un tavolo di mia creazione, ottenuto da una grande tinozza rovesciata: dove ho fatto sistemare uno sportello e due piani di mensole all’interno… giusto per risparmiare e ottimizzare lo spazio della living room. Sopra, c’è un grande pianale ovale, che puà ospitare agevolmente otto persone smanaccianti. Ho un bagnetto, il camino tribale: dove posso arrostire mezzo vitello consenziente senza trovare ostacoli, e un prodigioso angolo cottura. Tavolino per il pc e le mie cose, una mensola d’angolo, rimasta così dal ‘700, e una palchetto in canne e muratura per il televisore. Un gaudio. La mia donna polemizza, con le mani a brocca sui fianchi. Lei russa, ma anche io non scherzo, ma è più permalosa dei sardi. E polemica. ” Pirché tu hai detto quella cosa, prima.” Capisco al volo. “Perché, amore, in Sardegna NON si dice ai primi venuti: “QUANTO VOLETE PER METTERMELA DENTRO.”
“Ma pirché? Se tu da quando sei caduto e ti sei rotto le costole devi stare attento e non puoi fare troppi sforzi… e blablabla…”
“Ok… Ok… – faccio io, accomodante – Sparecchia quel pezzo di tavolo. Leva tutto. Ora te lo spiego meglio.” Gliel’ho spiegato per una mezzoretta. Forse ha capito. Quando si riprende glielo chiedo.

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Giochi sporchi sulle nostre teste

Lega in tensione: si rischia grosso. La scelta dopo Pasqua
E nel Pdl c’è chi avverte: fantapolitica le elezioni anticipate
Referendum, mina nel centrodestra
Berlusconi tentato dal 7 giugno
di FRANCESCO BEI

Referendum, mina nel centrodestra Berlusconi tentato dal 7 giugno

Bossi e i leghisti in visita ai terremotati
ROMA – Accorpare Europee e referendum, risparmiare 400 milioni e rompere con la Lega? Oppure rimandare il referendum al 21 giugno, lasciandolo morire per mancanza di quorum, e salvare il rapporto con Bossi? Silvio Berlusconi si è preso tre giorni per decidere – “ne riparliamo martedì, adesso non è il momento”, ha detto ieri a chi ha provato a chiedere lumi – ma i suoi sostengono che non si tratti soltanto di una tattica attendista per tenere il Carroccio sulle spine. “Oggi davvero tutto è possibile”, confida il portavoce del Pdl Daniele Capezzone, che insieme a Gianni Alemanno, Gaetano Quagliariello e ai ministri Alfano, Brunetta e Prestigiacomo figura addirittura nel comitato promotore. “Lo stato dell’arte – spiega Capezzone – è “si apra la discussione”, come ha detto il premier.
L’argomento del risparmio dei soldi è forte”.

Certo, se davvero Berlusconi scegliesse il 7 giugno come data, le conseguenze sarebbero atomiche. A rischio della sua stessa sopravvivenza come movimento politico autonomo, la Lega sarebbe spinta a far saltare il banco. E lo stesso Berlusconi (che ha in mano un nuovo sondaggio che lo vedrebbe schizzare al 73% di fiducia per il dopo terremoto) potrebbe lucrare da elezioni anticipate per coronare il suo sogno di sempre: il Quirinale. Ma, come fa notare un esponente di primo piano del Pdl, “questa è fantapolitica, non si può andare al voto anticipato con la più grave crisi economica da governare”.

I segni di nervosismo comunque ci sono già tutti, visto che proprio ieri Roberto Maroni, al Sole 24 Ore, ha dichiarato che con un altro voto contrario sulla questione dei clandestini “la sorte del governo sarebbe a rischio”. Così, consapevole della temperatura in salita, l’ordine che Bossi ha impartito ai suoi è stato quello di “evitare polemiche in giorni di lutto nazionale” per il terremoto. Con la sicurezza che, da qui al prossimo consiglio dei ministri che dovrà prendere la decisione definitiva, basterà un colloquio con il Cavaliere per risolvere la questione. E l’ipotesi che si affaccia sempre più forte, sia da parte del Pdl sia da quella della Lega, è un accorpamento del referendum con i ballottaggi per le amministrative. Ci sarebbero, a dire il vero, altre due alternative. Una è quella suggerita ieri da Ignazio La Russa, che propone un’unica data per Europee, amministrative e referendum, abolendo però il ballottaggio “nei casi in cui almeno un candidato raggiunga il 40 per cento”. L’altra idea appartiene a Giorgio Stracquadanio (nel ’95 fu il portavoce del “no” ai referendum che salvarono le tre reti del biscione), che vorrebbe “rinviare di un anno il referendum, con l’accordo del comitato promotore”.

Ma è la data del 21 giugno, al momento, l’unica che sancirebbe il compromesso tra Bossi e il Cavaliere. “Berlusconi non ha interesse a rompere con un alleato – osserva il pdl Osvaldo Napoli – e, se si va al 21 giugno, si risparmiano parecchi soldi e si dimostra alla gente che governiamo usando il buon senso”. In più il quorum, con gli italiani già in vacanza, sarebbe quasi impossibile da raggiungere. I referendari lo sanno bene, e difatti ieri Giovanni Guzzetta è saltato alla gola del pd Enzo Bianco, reo di aver salutato con favore l’ipotesi di fissare la data al 21 giugno: “Bianco – ha tuonato il presidente del comitato promotore – o mente sapendo di mentire, oppure è profondamente disinformato. Quello al 21 giugno sarebbe un accorpamento-truffa che farebbe sprecare 313 milioni di euro”. I referendari si sono però consolati con Massimo D’Alema che – come ha rivelato Mario Segni a RedTv- ha fatto loro sapere che “andrà a votare e voterà Sì”.

Tra i pochi del Pdl che hanno accesso a palazzo Grazioli si è fatta strada anche la convinzione che il premier stia semplicemente tenendo una pistola sul tavolo per indurre la Lega ad abbassare il tasso di aggressività in campagna elettorale “Tanto per lui – sostiene Guzzetta – la data del referendum è una partita “win-win”: se passa l’abbinamento, riesce a coronare il sogno di un Pdl autosufficiente. In caso contrario, può sempre dare la colpa alla Lega”.

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