Roma dei magnaccia: Permessi per disabili anche ai Suv e Porsche

Permessi per disabili,
sono oltre sessantamila

Tanti, poco controllati, inverosimili. Spuntano pure su Porsche, Smart, Suv. Metà delle auto parcheggiate in via del Babuino ha il tagliando

IN CONTRASSEGNO NELLA ZTL

Permessi per disabili,
sono oltre sessantamila

Tanti, poco controllati, inverosimili. Spuntano pure su Porsche, Smart, Suv. Metà delle auto parcheggiate in via del Babuino ha il tagliando

Il permesso per disabili esposto su una Ferrari in via del Babuino (Jpeg)
Il permesso per disabili esposto su una Ferrari in via del Babuino (Jpeg)

ROMA – Contrassegni per handicappati: tanti, incontrollati e spesso inverosimili. Come quello della Porsche Carrera color piombo in via Bocca di Leone. Oppure del veicolo con il bollino blu del Comune di Roma e il permesso per portatore di handicap di Campobasso. Nel viavai di auto al Tridente l’unica costante è questa: le auto parcheggiate grazie al contrassegno arancione sono circa la metà.
«Il vigile dovrebbe aspettare il guidatore e fare una verifica: il permesso gli appartiene o è prestato? Insomma questi parcheggi sono necessari per accompagnare una persona invalida oppure la stanno privando di un suo diritto?» così chiede Simone, disabile. A Roma il numero dei permessi è 60 mila. Per ogni titolo è possibile far entrare fino a tre auto. Un sistema «riformato» sei anni fa che avrebbe dovuto essere accompagnato da un supplemento di controlli che manca.
Cambiano tempi e amministrazioni ma la tinta fiammeggiante del permesso per disabili è sempre quella che «si porta di più», soprattutto al Tridente.

Strani permessi
Sono le dodici e trenta di sabato 19 marzo e, all’altezza del civico 49 di via del Babuino, c’è una Fiat Punto con bollino di controllo per le emissioni inquinanti e contrassegno arancione. Con una contraddizione però, perchè se l’adesivo blu ha il marchio del Comune di Roma, il contrassegno per disabili (che consente di parcheggiare senza limiti all’interno della zona riservata) è stato invece rilasciato dal sindaco di Torella del Sannio, un fiero paesello del Molise in provincia di Campobasso. Ora i casi son due: o c’è un molisano residente a Roma che fa la spola tra il Tridente e Campobasso, oppure c’è un guidatore che utilizza un permesso di un altro (smarrito? mai ritirato dopo il decesso?) per fare shopping senza problemi e gratuitamente. I contrassegno infatti da automaticamente diritto all’utilizzo delle strisce blu.

Dubbi sì vigili no
Il fatto è che non lo sapremo mai. Resteremo con il dubbio, perchè i vigili raramente aprono istruttorie di questo tipo. «Queste auto in sosta con il permesso per handicappati sono irremovibili – dice Simone, in marcia per il centro su una sedia a rotelle vera e non stilizzata su un cartoncino – il vigile dovrebbe aspettare il guidatore e fare una verifica: il permesso gli appartiene o è prestato? Insomma quel parcheggio era necessario per accompagnare una persona invalida oppure no?». Non è differenza da poco per un disabile che si sforzi di fare una vita normale. Sulle auto parcheggiate con un permesso per disabili, si è sempre chiesto controlli supplementari, perchè dietro potrebbe esserci un abuso nei confronti di un vero disabile.

Le ‘nozze’ del Babuino
Eppure dall’introduzione della ztl in centro (anni Novanta), la proliferazione dei permessi per disabili è sempre stata il vero mistero del Babuino. L’autorizzazione sbuca da cruscotti e parabrezza, appoggiata al volante o in bilico sull’aeratore. Tutto ciò giorno e notte, nei feriali e per le feste comandate, in ricchezza (degli affari) e in povertà, ai tempi della crisi.
Matrimonio inossidabile quello tra il Tridente e il logo della sedia a rotelle, ha resistito a scandali e interrogazioni comunali. Senza mai attirare sul serio l’attenzione del I Gruppo della municipale che, da un lato, combatte le contraffazioni attraverso il gruppo guidato dal comandante Carlo Buttarelli, e, dall’altro, non riesce a vigilare su via del Babuino.

Permessi in massa
Eppure ci sarebbero varie ragioni per dubitare di alcuni abusi del contrassegno arancione. Come pure della sua distribuzione «di massa»: su ventisei auto parcheggiate in via del Babuino, sono undici quelle che hanno in dotazione il logo della sedia a rotelle, circa la metà.
Ne hanno uno sia la Mini verde bosco parcheggiata di fronte a un gioielliere che la Peugeot azzurrina in sosta parallela dall’altra parte del marciapiede. Ce n’è uno sul parabrezza della Mercedes nera 4 Matic e sulla Smart blu proprio di fronte alle Gallerie Benucci. Su una Fiat Cinquecento in prossimità delle vetrine dei Fratelli Rossetti; sulla Panda azzurrina (perlata) in sosta davanti a un portone e sulla Mercedes argento di fonte al civico 135 (in questo caso il numero di permesso e la data di scadenza sono pearltro illeggibili). Lo espone il proprietario di un’altra Cinquecento bianca assieme al biglietto scritto a mano «Sono in pizzeria» e lo ostenta anche una Nissan bianca dallo smalto scintillante come appena uscita dal concessionario. Magari anzi è stato proprio il contrassegno della sedia a rotelle ad autorizzare la sosta spericolata della Nissan che alle 13 di sabato mattina, è ben piazzata sui sampietrini di piazza di Spagna in un’area su cui solitamente convergono tre limitazioni: quella della zona a traffico limitato, una seconda dell’area riservata ai pedoni e infine il parcheggio per i taxi. Per la verità l’aura d’inviolabilità che avvolge la Nissan proprio al crocevia che compendia vari divieti è oggetto di curiosità da parte di qualche passante. Ci vorrebbe qualcuno autorizzato a pensar male per mestiere (un vigile?). Ma i «pizzardoni» del I Gruppo sostano tranquilli alla base della scalinata di Trinità dei Monti e i controlli al Babuino si limitano alla routine.

Porsche
Altri stravaganti titolari di contrassegno per handicappati s’incontrano tra via Borgognona e via Condotti. Esempio: la bionda guidatrice di una giardinetta Minor (un cult del ’67) che scende la rampa di San Sebastianello con tre ragazzi in divisa da scuola allegramente piazzati sui sedili.
Oppure il proprietario della Porsche Carrera color piombo che rombante e lanciata, sosta da un’ora (tra le 12, 30 e le 13,30 dello stesso sabato) tra l’Hotel d’ Inghilterra e la boutique di Valentino in via Bocca di Leone. Davvero è questa la vettura più adatta al portatore di un qualunque handicap? Un’auto che sfiora i 330 chilometri orari con l’abitacolo da pilota e l’accelerazione di un bolide? Eppure a giudicare dal permesso color arancio sul parabrezza nessun dubbio. Certamente sì.

Ilaria Sacchettoni

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Pizzinno

Ho trovato un pizzinno che mi ero appuntato ieri e che poi ho scordato di trascrivere. Si tratta di questo… Tutto il pollaio e il trogolo grufolante del mafionano si sono schierati – a reti unificate e sulla stampa (ultima la sgrammaticata lettera di oggi al Corriere della carfregna)- a starnazzare e grugnire di “dignità offesa”, di “privato del premier”, insultando chiunque avesse dei dubbi (legittimi) e delle domande (più che legittime) da porre a Mafiolo e ai suoi servi schierati. Ma… Ma quale privato?! Cosa ci sarebbe di privato nella vita si silvio ladrusconi (falsificata dall’A alla Z da lui medesimo e dai suoi consigliori)? E’ dal 1993 che ci fa due coglioni così con gli affaracci suoi!!! Nei comizi, nelle tv, sui giornali ci ha parlato del padre, della madre, delle zie suore, dei figli, della seconda moglie, dei suoi “eroi”, della sua attività di palazzinaro geniale (omettendo sempre di dire CHI gli diede i permessi per costruire e i miliardi per acquistare i terreni e fare i palazzi e i paesi); ci ha ammorbato col suo tumore alla prostata, coi lifting e i trapianti di setole, con la balla delirante di una inesistente persecuzione giudiziaria… Semmai è lui che non dovrebbe intromettersi nelle nostre vite private: comparendo a tutte le ore su tutte le tv del regime o inviandoci a tradimento riviste patinate che illustrano la sua vita privata di figlio, sposo, nonno, e padre. Lui ci ha dato il diritto di interessarci ai fatti suoi. Se ora gli vengono rivolte domande su fatti «privati», cortesemente risponda. Essendo il “primo ministro” (carica che si è data da solo, dato che in Italia NON ESISTE), quei fatti non sono più soltanto suoi, ma di tutti.

ludrivein

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La farsa tragica

La corsa delle divise al posto in lista
A guidare la “hit” delle candidature c’è la polizia penitenziaria

Mille agenti delle forze dell’ordine candidati: per loro stipendio pieno e permessi
A. BARBERA, F. SANSA
ROMA
Altro che disaffezione per la politica. In Italia c’è chi le elezioni le aspetta con ansia divorante. Poliziotti, forestali, agenti di polizia penitenziaria affollano le liste elettorali. Al Nord, al Centro, al Sud, spesso con liste improbabili, in luoghi improbabili. All’inizio può sembrare un caso o una scelta dei partiti dettata dalla fame di sicurezza che assilla gli italiani. Ma poi si capisce che ci deve essere dell’altro. Come spiegare altrimenti la lista che nel 2008 si presentò a San Pietro in Amantea (Cosenza): «I tredici candidati erano tutti agenti di polizia penitenziaria e nessuno era del Paese», sospira Francesco Gagliardi, un maestro che segnalò l’episodio. Nel nome del partito i poliziotti penitenziari infilarono una parola che sentono spesso sul luogo di lavoro: San Pietro per la Libertà. «Da anni un gruppo di agenti di Campobasso formano una lista che si presenta nei comuni vicini», sospira Donato Capece, segretario nazionale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria. Quest’anno i candidati dovrebbero essere più di mille.

Tanti, così tanti, che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria mercoledì ha diffuso una circolare che dispone un censimento degli agenti aspiranti politici. I conti sono presto fatti: soltanto nel carcere di Augusta, in Sicilia, ci sono 17 candidati su 250 agenti. Niente rispetto a quanto accadde alle Amministrative nel 2007, quando 70 erano in lista, il 35 per cento dell’organico. Anche nei commissariati di polizia in questi giorni si contano le poltrone vuote: 17 a Roma, 44 a Bologna, 20 nel torinese. Nei corridoi degli uffici c’è chi racconta di quell’agente campano emigrato a Brescia per candidarsi per i Pensionati. Oppure di quel giovane poliziotto bolognese che nel 2008 si candidò in Friuli e a Piacenza. Sempre sconfitto. Sempre con i Pensionati. Ma da dove nasce questa passione politica che spinge a candidarsi a destra e a sinistra? I maligni indicano l’articolo 81 della legge 121 del 1981, quella che riformò il comparto sicurezza: «Gli appartenenti alle forze di polizia candidati a elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell’accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale».

Insomma, un mese e mezzo senza lavorare a stipendio pieno (tranne qualche indennità). Una norma del tutto eccezionale rispetto a qualunque contratto pubblico e privato: «I contratti collettivi prevedono l’aspettativa in caso di candidatura, ma può essere negata e comunque non è mai retribuita», spiega Alfredo Garzi della funzione pubblica Cgil. «La norma era nata con un altro spirito», sostengono Flavio Tuzi e Filippo Bertolami del sindacato di polizia Anip-Italia Sicura. «Si voleva così garantire l’osmosi tra forze dell’ordine e società civile, per evitare quel muro contro muro anche violento tra uomini in divisa e cittadini». Ma qualcosa non funzionò, ottenere consenso dalle persone su cui prima dovevi esercitare l’autorità di polizia può creare cortocircuiti e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza introdusse il divieto di lavorare dove ci si era candidati. Risultato: i candidati ci sono lo stesso, ma si assiste a una migrazione elettorale. Tuzi e Bertolami la spiegano così: «Adesso ci sono due categorie. I furbi che si presentano in circoscrizioni lontane dal posto di lavoro pur di usufruire dei 45 giorni di aspettativa retribuita oppure coloro che ci credono davvero e vorrebbero impegnarsi nella società civile».

Così un mese e mezzo prima delle elezioni gli uffici si svuotano. Per la gioia di chi parte e il mal di fegato di chi resta e deve lavorare come un pazzo per coprire i buchi nell’organico lasciati dai colleghi. Bianco o nero, lavativi e onesti? Non è così semplice. Sebastiano Bongiovanni è agente di polizia penitenziaria ad Augusta e consigliere comunale. Ma politica lui la fa davvero: nel 2007 segnalò alla Procura di Siracusa che 70 suoi colleghi erano candidati alle elezioni, «Non perché si trattasse di lavativi, anzi. Dovremmo candidarci tutti e 250». Prego? «Sì perché la nostra vita è un inferno. I detenuti sono più di seicento, in un carcere che cade letteralmente a pezzi, dove l’acqua c’è soltanto tre ore al giorno. E noi rischiamo la vita per 1.500 euro al mese, senza possibilità di trasferimenti». Sì, i politici abbondano soprattutto tra chi fa i servizi più usuranti, come gli agenti dei Reparti Mobili, quelli che passano le domeniche in mezzo ai fumogeni degli stadi. Ma c’è anche chi usa la politica per ottenere il trasferimento che non arriva mai. Semplice: basta candidarsi nella città dove lavori. E’ vietato, incompatibile, così all’amministrazione non resta che spostarti altrove. Ferie, indennità, trasferimenti altrimenti impossibili… e poi c’è chi dice che la politica è lontana dalla gente.

UN POLIZIOTTO CANDIDATO IN INCOGNITO

nuca1

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