Il nano mafioso che fa schifo al mondo

Hersh: “La censura di Berlusconi è contro la storia”

di Claudia Fusani

Silvio Berlusconi va contro la storia e nel lungo periodo questo sarà dimostrato»

Seymour Hersh, vincitore di vari premi Pulitzer e icona vivente del giornalismo investigativo. Certo, nel periodo breve, cioè oggi, è dura. Soprattutto per la libertà d’informazione. «Ma l’unica cosa che potete fare, voi giornalisti italiani, è andare in piazza nel modo più compatto che potete, a combattere per la libertà di stampa perché, questo è il messaggio per i cittadini, ogni volta che i giornalisti vengono imbavagliati aumentano corruzione e abusi». Aleggia un caso Italia nelle sale del Centro Congressi di Ginevra che ospitano la sesta Conferenza mondiale del giornalismo investigativo, 500 giornalisti accreditati, 145 panel e sessioni spalmati in quattro giorni. Rimbalza fin qua l’intenzione del governo e della maggioranza di limitare l’uso delle intercettazioni per gli investigatori e di vietare totalmente la pubblicazione. Il refrain costante, in ogni meeting, è:

 «Per noi giornalisti stranieri, per chi vive all’estero, Berlusconi è una specie di buffone. Come è possibile che guidi l’Italia? E dove sbagliano i giornalisti, italiani ma anche stranieri, che non riescono a far capire questo?».

 Berlusconi è in molte delle domane che vengono rivolte a Roberto Saviano che qui a Ginevra, giornalista tra giornalisti, strappa un successo personale e umano ancora più forte. E il panel dal titolo “Investigating Berlusconi” affidato a L’Unità è molto seguìto e tartassato di domande. Hersh, premio Pulitzer per il Vietnam e per aver rivelato lo scandalo degli abusi nelle prigioni irachene di Abu Graib, ha parlato del Caso Italia direttamente con Saviano in un incontro privato. «Un ragazzo di cui mi ha colpito la profonda tristezza, deeply sad, per questo suo vivere sotto scorta». Dopo la conferenza del mattino, lezione di giornalismo con l’assunto che «il giornalismo investigativo è più che mai una necessità», Hersh accetta di rispondere a qualche domanda.

Il governo italiano ha limitato l’uso delle intercettazioni, vietandone la pubblicazione. Come giudica la decisione?
«È una scelta contro la storia, contro la modernità, contro l’evoluzione normale delle cose. Chiudere invece che aprire significa andare nella direzione opposta nonché sbagliata».
Anche l’opinione pubblica fatica a comprendere. Perché?
«Nel lungo periodo le persone si ribelleranno ai bavagli. Tutto il resto del mondo, e mi limito a fare l’esempio di internet, va nella direzione opposta che è la diffusione massima delle notizie in tempo quasi reale. Come si può pensare di censurarle? Di nasconderle? Ecco perché dico che se ora, nell’immediato, sembra difficile fare qualsiasi cosa, nel lungo periodo questa situazione così innaturale cambierà».

Il Presidente del Consiglio beneficia di un notevole potere di controllo, sull’informazione e non solo.
«Conosco bene l’enorme controllo e quindi potere di cui dispone Berlusconi. Ricordo la vicenda dello yellow cake, il concentrato di uranio che il Niger avrebbe venduto all’Iraq di Saddam Hussein, la prova regina che l’Iraq era in condizione di costruire armi atomiche e da qui la necessità di attaccare l’Iraq. Panorama, che è della famiglia di Berlusconi, era entrato in possesso della documentazione che dimostrava che tutto questo non era vero: quei documenti non sono mai stati pubblicati. Anzi, sono stati consegnati prima al governo e poi ai servizi d’intelligence che li hanno girati ai colleghi americani. Servilismo inutile: Berlusconi non è mai stato trattato con rispetto da Bush: fu l’ultimo degli ospiti invitati a cena alla Casa Bianca».

Anche l’Inghilterra sta stringendo le norme sul segreto di stato e rendendo più severe quelle sulla diffamazione…
«Ci sarà questa stretta, ma non può funzionare. La profonda vergogna degli Stati Uniti è stata dopo l’11 di settembre quando la stampa ha cominciato a seguire con entusiasmo le scelte della Casa Bianca e ha smesso di indagare. Quando la stampa è imbavagliata aumentano abusi e corruzione e ci sono meno diritti per tutti».

Berlusconi accusa Saviano di «danneggiare il paese», scrivendo di mafia.
«Saviano è un giovane che molto ha fatto e molto farà per l’immagine del suo paese e della categoria dei giornalisti nel suo insieme. È un’icona, l’Italia è pazza per lui. E Berlusconi non ha capito nulla di questo».

b-buffone d'europa

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Da Marco Travaglio e la Oppo

(l’Unità)

Scodinzolini forever

Sia chiaro che noi stiamo con Minzolini. Anticipando di poche settimane la legge-bavaglio – che gli fa un baffo, lui il bavaglio ce l’ha incorporato – il popolare Scodinzolini ha spiegato alla stampa mondiale che il pornoscandalo di Puttanopoli che sta travolgendo il premier e ha destato le attenzioni anche di Avvenire e Famiglia Cristiana, ma persino di Tg5, Matrix, Giornale e Foglio, non è una notizia. È «gossip», «pettegolezzo», «chiacchiericcio» usato dai criminosi giornalisti stranieri, succubi di «interessi economici», a fini di «strumentalizzazione politica». Gliele ha cantate chiare. Chissà come dev’essersi sentito quel suo omonimo che fino a un mese fa si dedicava, per La Stampa, al gossip, al pettegolezzo e al chiacchiericcio (a proposito: che fine avrà fatto?). Ora il solito Di Pietro vorrebbe licenziarlo dal Tg1, forse ignaro del fatto che da due giorni le scuole di giornalismo e le facoltà di scienza della comunicazione sono prese d’assalto da orde di piccoli e piccole fans che, da grandi, sognano di diventare Minzolini. Anche la Rai ha dovuto transennare il cavallo di Viale Mazzini per contenere l’entusiasmo degli abbonati, ansiosi di pagare un canone triplo o quadruplo pur di garantire al nostro Pulitzer i necessari mezzi di sostentamento. Ora si spera che l’amico Silvio, che lo chiama «l’amico Minzo», voglia manifestargli un minimo di gratitudine: una farfallina tempestata di brillanti o un collier di diamanti modello Noemi potrebbero andar bene. O magari un invito nei bagni di Palazzo Grazioli. O, meglio ancora, una Mini azzurra: la famosa MinzoMini.

Maria Novella Oppo

Cane da guardia

Non si era mai visto niente di simile. Un direttore di tg (in specie il direttore del Tg1), che usa la tv pubblica per esporre agli spettatori la sua personalissima idea di non notizia. Dunque, il pedagogo Minzolini ci ha spiegato dal video che, nella storia delle ragazze pagate per passare le notti a casa Berlusconi, per lui non c’è niente di certo, né un’ipotesi di reato. Perché è chiaro che, anche se ne parlano tutti i giornali del mondo, una notizia non è una notizia, se non è una notizia di reato. E poi, quando è una notizia certa? Quando viene portata la prova (foto, registrazioni e testimonianze a riscontro) non ai magistrati, ma a Minzolini in persona, che ne giudicherà secondo il suo metro e le sue convenienze. E finalmente, se e quando la suprema corte di minzolinazione avrà accertato il reato, solo allora il nostro (anzi il suo) scatterà sulla notizia come quel mastino del giornalismo che è. E non quel cane da guardia del potere che sembra.

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Travaglio e Oppo

Sciacalli e leccapiedi

Due futuri premi Pulitzer, sul Giornale e a Radio24, mi danno gentilmente dello «sciacallo» perché ho ricordato quali danni aggiuntivi ai terremoti avrebbero comportato il “piano casa” e il ponte di Messina (in una delle zone più sismiche d’Europa) se sciaguratamente fossero già stati realizzati. I servi furbi sono così accecati dalla saliva delle loro lingue da non accorgersi che a liquidare il ponte, all’indomani della sciagura abruzzese, è stato il sottosegretario alle Infrastrutture del loro adorato governo, il leghista Roberto Castelli; e che a rinviare sine die il “piano casa” è stato il ministro forzista Raffaele Fitto, con la soave espressione dorotea della «pausa di riflessione». Intanto il ministro Claudio Scajola annuncia che nel decreto saranno inserite precise «misure antisismiche»: fino a domenica non ci aveva pensato nessuno. La parola “terremoto” non compariva mai nella proposta inviata a giugno dal governo alle regioni, nella bozza di un mese fa e men che meno nell’intesa del 31 marzo. Anzi, lì un cenno c’era, ma per smantellare i divieti (art.6: «Semplificazioni in materia antisismica»). Solo due giorni fa, mentre l’Abruzzo crollava, si son ricordati che siamo il paese più a rischio d’Europa e hanno cancellato l’art.6 e, al posto, hanno infilato qualche riga di «misure urgenti in materia antisismica»: gli ampliamenti delle case non saranno autorizzati «ove non sia documentalmente provato il rispetto della normativa antisismica». Ci son voluti 260 morti, per ripristinare la legalità. A proposito di sciacalli. Vergogniamoci per loro, e per i loro servi.

Facce di propaganda

L’ultima puntata di Ballarò è stata utilissima per chiarire la linea propagandistica della destra, sullo sfondo di un paese terremotato. Erano presenti, per il governo, il ministro Fitto e Castelli (le disgrazie non vengono mai sole), entrambi impegnati a fare la faccia di circostanza, ma soprattutto ad impedire ogni analisi seria della situazione, per paura di mettere in crisi le linee preordinate della loro politica. In particolare rispetto al piano-casa, la cui pericolosità è stata oggettivamente messa in luce dai visibili effetti di una politica del territorio speculativa e devastante. Cosicché, appena Bersani tentava di definire una prospettiva di ricostruzione regolata e civile, Fitto e Castelli lo accusavano di attaccare il governo. Quasi che il governo fosse per sua natura dalla parte dei devastatori. Come in effetti è, se si pensa alle promesse sopraelevazioni, ai condoni di fatto e alla minacciata fondazione di nuove città (stile Mussolinia), care al premier palazzinaro.

casa1Bersani

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