Regalo

VI PIACCIONO I RACCONTI EROTICI? Questo è un soggetto per un film. BUONA LETTURA:

Copyright © Lucio Salis 1993
Riproduzione vietata

CARMELA

Carmela guardò la sua figuretta allo specchio. Era in piedi, nuda, e la sua sfarzosa sala da letto tutta bianca e rosa era inondata dal sole mattutino. Si passò lentamente le mani sui fianchi asciutti; non un filo di cellulite, non una smagliatura. La pelle bruna, i seni piccoli e sodi, il ciuffo ordinato e scolpito del pube. Sì, pensò, niente male. Aveva appena ventisette anni ed era già da qualche mese a capo una temibile cosca. Era una femmina d’onore. Mente strategica e, nei primi tempi di militanza, anche implacabile ed infallibile tiratrice aggregata ai gruppi di fuoco. Rispettata ormai dagli altri capi e temuta per la sua scaltrezza e per la sua ferocia, andava dritta per la sua strada. Da un mese abitava nella villa bunker blindata e super protetta, 24 ore su 24, da marchingegni elettronici e da una ventina di picciotti armati sino ai denti, che stravedevano per lei. Intoccabile,. Inavvicinabile. Cominciò a vestirsi. Si fece ancor più bella e desiderabile. Solitamente, faceva venire alla villa una parrucchiera di sua fiducia. Quella mattina aveva deciso di uscire dall’isolamento e andare lei in città. Non voleva dare nell’occhio, anche se la cosa era abbastanza impossibile. Nonostante la sua posizione ed il rispetto reverenziale di cui godeva, erano pur sempre alle falde dell’Etna e non in pieno Sahara. Dopo un’ultima occhiata soddisfatta al grande specchio, aprì la porta della sua stanza. Subito, i due uomini di guardia in fondo al corridoio, scattarono in piedi pronti ad accompagnarla. Uno dei due scese velocemente lo scalone, quasi scivolando, ed uscì nel parco ad impartire degli ordini. Due macchine blindate si misero in moto e si accostarono alla scalinata d’ingresso. Altre quattro auto identiche alle prime e con la stessa targa erano già in moto davanti al pesante cancello. Una grossa moto Honda che fungeva da apripista, identica ad altre due che sostavano all’ingresso del viale, si avvicinò con appena un leggero fruscio al cancello di ferro in fondo al viale d’accesso. I tre uomini di guardia, due giovani e uno sui cinquanta, smisero immediatamente di giocare a pallone e si avvicinarono a parlottare coi due tizi della prima moto. Tutti aspettavano che Carmela montasse sulla seconda Lancia Thema davanti alla scalinata, per azionare il dispositivo d’apertura del cancello. Lei arrivò e finalmente i tre cortei si misero in moto. Ognuno prese una direzione diversa. Meglio essere prudenti. La moto e le auto con a bordo la boss attraversarono una provinciale deserta e una periferia altrettanto deserta. Raggiunsero senza problemi il pretenzioso salone, troppo addobbato per essere in una zona periferica, e uno degli uomini scese ad aprire la portiera per far scendere la boss. Altri tre uomini erano già scesi e scrutavano i paraggi con noncuranza. La Honda arrivò silenziosamente sino all’incrocio e parcheggiò. I due soldati smontarono e si liberarono dai caschi. Anche se non si notava niente, tutti gli uomini erano armati di tutto punto e nei bauli dei mezzi c’era una vera e propria Santabarbara. Non erano in guerra al momento, ma la prudenza non era mai troppa. Troppi soffioni dell’ultim’ora. E appena un boss sapeva di bruciato, troppi erano pronti a prenderne il posto. Quando un albero cade, per grosso che sia, tutti fanno legna. Carmela entrò nel locale, non appena un suo uomo addetto al controllo ne fu uscito per dare la via libera. Come convenuto, non c’erano altre clienti. Venne accolta dal rispettoso calore di Anna, la sua parrucchiera di mezza età, mentre la giovane assistente Isa la salutò chinando appena la testa. Carmela venne fatta accomodare e Isa cominciò a farle lo shampoo. Sentendo le mani della ragazza che le massaggiavano i capelli e la cute, ebbe un brivido di piacere. Isa aveva vent’anni ed era la più bella ragazza del circondario. Era fidanzata con un giovane meccanico da più di un anno e non erano mai andati oltre i baci e qualche palpatina superficiale. Taciturna e discreta, somigliava in maniera impressionante a Claudia Cardinale ventenne. Carmela era pazza di Isa, da quando l’aveva centrata nel mirino del suo sguardo, e la voleva a tutti i costi. Anna sospettava qualcosa del genere: da quando la ragazzina era entrata a lavorare da lei, qualche mese prima, e Carmela l’aveva notata, era stato un susseguirsi di “Come sta Isa? Dove sta Isa? Che fa Isa?” Ogni volta che andava da sola alla villa trovava Carmela agitata e seccata per il fatto di non vedere la giovane aiutante. E partiva colle domande. Anna avrebbe potuto vedere susine nascere da un banano e non si sarebbe stupita. In un primo momento aveva cercato a modo suo di proteggere la ragazzina, poi, temendo ritorsioni, aveva cominciato a cedere. Sperando di ingraziarsi ancora di più quella cliente d’oro, le aveva intonato all’orecchio una dolce melodia: Isa era ai ferri corti col ragazzo e, a causa di questo, anche coi suoi famigliari. Ecco perché Carmela aveva deciso quella visita in città: poteva essere un buon momento per l’attacco. In realtà, Isa era insofferente in famiglia perché i suoi le negavano anche un minimo di libertà ed era un po’ in freddo con Rosario proprio perché a lui non bastava più vederla così poco, e farci ancora meno. Anna le spuntò appena i lunghi capelli neri ancora umidi e applicò dei bigodi, quindi prese il casco a rotelle che Isa aveva avvicinato e lo applicò. “Una mezz’oretta!” gridò, chinandosi, e sparì nel retrobottega. Isa accostò uno sgabello e un carrellino pieno di attrezzi per la manicure, prese posto sul trespolo accanto a Carmela e le sorrise. Lei porse la mano, che Isa le fece mettere a bagno nell’apposita vaschetta con acqua tiepida, sapone liquido e bicarbonato. Anche lei sorrise e la fissò. La ragazzina abbassò gli occhi.
– Scotta? – chiese, indicando il casco. Carmela piegò all’ingiù gli angoli della bella bocca e scosse impercettibilmente la testa.
– Ti trovi bene qui? – chiese. La ragazzina ci pensò un attimo:
– Abbastanza. – dopo un po’ aggiunse: – Non è che c’è tutto sto lavoro in giro.
– Ci verresti a lavorare da me?
– Parrucchiera? – si accorse subito di aver detto una sciocchezza e strinse le labbra. Tolse la mano di Carmela dalla vaschetta e cominciò a lavorare.
– Che belle mani che avete. – disse, quasi a scusarsi.
– Grazie. Sono più belle le tue, però… così bianche… Allora? Ci verresti? Mi fai da dama di compagnia. Una specie… Non ho sorelle. Ho solo un fratello e lavoro con tutti maschi… Che dici? Ti pago bene.
– Non so… – fece una smorfietta. Era decisamente spiazzata. Carmela capì di aver trovato un varco e spinse a fondo:
– Ti do duemila euro al mese. Vitto e alloggio. Bella vita, bei vestiti… Allora?

Isa rise piano e guardò verso il retrobottega:
– Qui guadagno quattrocento euro.
– Vuoi che ci parlo io coi tuoi?
– Non so… – altra smorfietta. – Mi piacerebbe. Glielo dico io a mia mamma.
– Brava. Con Anna ci parlo io. Puoi cominciare pure domani, se vuoi.

Due giorni dopo, accompagnata da uno dei soldati, Isa si presentò al portone della villa. Aveva un borsone da ginnastica colla sua roba e il suo cuore batteva come un tamburo.
Ad Anna fu consegnata una busta con cinquemila euro in contanti, che intascò soddisfatta e riconoscente. Nello stesso momento, Carmela stava facendo visitare la villa alla giovane amica. “Intanto, cominciami a dare del tu. Completamente.” Le aveva detto subito. La condusse prima nella sala hobby: trecento metri quadri di giochi, tra un luna park e un casinò. Strumenti per un’orchestrina su un palchetto d’angolo. Dall’altra parte del salone si accedeva al piccolo cinema privato, tutto in rosso e completamente insonorizzato, con una ventina di poltroncine comodissime. Sempre dal sotterraneo, si scendeva al bunker antiatomico, dotato di provviste, cucina, armeria, sala operatoria modernissima, due confortevoli camere con una decina di letti ciascuna, due stanze da bagno e una camera matrimoniale con servizi e caveau annessi. Lì c’era il tesoro della cosca. Ma il bunker venne escluso dalla visita. Salirono al pianterreno dove, tra un “Oh!” di sorpresa e l’altro, Isa ammirò uno sterminato salone delle feste riccamente arredato, corridoi in marmo che portavano ad una grande sala da pranzo, con annessa anche una saletta più intima e riservata, e bagni e cucine che avrebbero fatto invidia a qualunque buon ristorante. Quindi fu la volta del piano superiore. Quattro camere da letto, tutte arredate con gusto sopraffino e tutte con sala da bagno privata e completa di sauna e idromassaggio. C’erano anche altre cinque porte chiuse, le stanze dei soldati e i loro spogliatoi. Ma quelle vennero saltate. Passarono al solarium, completo di sauna finlandese, palestra, sala massaggi, e centinaia di piante esotiche che contornavano un acquario enorme e bellissimo. C’era anche un fornitissimo bancone bar e quattro tavoli da pranzo, sotto un pergolato. Durante tutta la visita, due dei soldati avevano seguito le ragazze con discrezione e avevano provveduto a richiudere le porte che Carmela lasciava aperte. I due picciotti si appoggiarono al bancone, mentre le due donne si affacciarono alla terrazza, da lì si potevano vedere sia la piscina olimpionica che la piscina coperta, i due campi da tennis, il campetto di calcio completo di porte, le immense voliere popolate da ogni variopinta specie di volatile, le scuderie e giù, verso il limitare di un boschetto, il maneggio. C’era un uomo che faceva passeggiare un baio e gli accarezzava il collo possente. Isa era estasiata e non aveva parole. Carmela se la mangiava cogli occhi, fiera dell’impatto avuto, e già pregustava l’ora X. La prese per mano e la condusse nella sua stanza. Tra la camera e la sala da bagno, c’era un ordinatissimo spogliatoio fornito quanto un negozio del centro di Roma o Milano. Fece scorrere l’anta di un armadio a muro e aprì un cassetto, dentro c’erano una cinquantina di costumi da bagno di ogni foggia e colore.
– Ti va una nuotata? Scegliti quello che vuoi. Dai, non stare così imbambolata! Provatene qualcuno.

Isa stava lì, colla bocca aperta, ancora sconvolta. Troppe cose belle tutte insieme.
– Ehi! Dico a te! Questa è casa tua, adesso. Mi capisti? E’ roba anche tua. Andiamo! – si mise a frugare e ne scelse uno. – Tie’, provati questo. Abbiamo le stesse misure… Questo nero ti dovrebbe stare una favola. E sveglia! –
La incitò, ridendo. Isa, per tutta risposta, le si aggrappò al collo e scoppiò in un pianto dirotto. Era gioia? Non che Carmela se ne preoccupasse, lei badava a stringere quel corpo e a carezzarlo il più possibile, rassicurante. Poi le prese il viso tra le mani e la baciò teneramente sugli occhi allagati.
– Cosa c’è, piccola? – sussurrò col broncetto. – Cosa c’è? Va tutto bene… Ci penso io a te, ora. Mi capisti? Ci sono io qui. Dài, lavati il viso e andiamo in piscina.
La fece voltare e le diede una sculacciata. Prese alcuni costumi e la guidò verso il bagno. Le lavò il viso e glielo asciugò con una immacolata salvietta di lino, quindi cominciò a sbottonarle la camicetta. Isa continuava a piangere di gioia e di dolore. Pensava a tutta quella magnificenza e alle mani nere e callose di Rosario, e a quanto le sarebbe piaciuto se ora al posto di Carmela ci fosse stato lui. Gli avrebbe donato la sua purezza, su quell’immenso letto col baldacchino bianco e rosa. Era nuda. Perfetta. Fuori impazzava il solleone di giugno e lì, in quel vasto bagno fresco e ventilato, Carmela vedeva come l’aveva sempre sognato quel corpo stupendo e desiderato. Le si seccò la lingua, mentre posava il primo dei reggiseni sul petto di Isa. Lei, imbambolata e frignante, lasciava fare.
– Ci facciamo una bella nuotata e poi un buon pranzetto. A proposito, cosa vuoi mangiare?

Isa sembrò tornare in sé in quel momento. Fece spallucce e finalmente un largo sorriso le colorò il volto. Carmela sorrise a sua volta, complice, e le fece cenno di aspettare ; staccò un telefono interno dal bordo dell’immensa Jacuzzi incassata nel pavimento di marmo, premette un tasto e attese, senza distogliere lo sguardo da quel ciuffetto di peluria biondiccia. Dio, cos’era!
– Mari’, che si mangia oggi? – una vocina gracchiò e Carmela cominciò ad annuire, mordicchiandosi le labbra. – Aspetta un momento – disse, e si rivolse ad Isa:
– Ti piacciono gli spaghettini alla pescatora, le oratine… il pesce insomma? – Isa annuì con forza e prese ad indossare un costumino bianco di seta. Carmela approvò con una smorfia di soddisfazione e tornò all’interfono:
– Allora, Mari’, ottimo così. Pronto tra un’ora.

Chiuse la comunicazione. Maria era l’unica donna presente nella proprietà, oltre a loro due; aveva sessant’anni ed era una cuoca superba. Le avevano ucciso il marito e due figli, a Trapani, una mattina di tredici mesi prima. Senza motivo, per una lite da bar. Loro non erano dell’onorata società, ma umili pescatori che si erano sempre fatti i fatti loro. Sua sorella, sposata e residente a Catania, era andata a piangere da Carmela. La giovane boss, conosciuta la storia e avuto il consenso del capofamiglia e del capo mandamento locali, era andata personalmente con tre dei suoi dall’altro capo dell’isola, le aveva regalato la vendetta e se l’era portata a casa. Maria si era dimostrata subito grata e affettuosa come e più di una mamma. Faceva funzionare la casa come un orologio.
Isa era di una bellezza e di un’eleganza indescrivibili. Carmela si spogliò velocemente e finse incertezza nello scegliere uno dei quattro costumi rimasti, per permettere alla ragazzina di ammirare il suo corpo perfetto. Centro! Isa la riempì di complimenti. Carmela, soddisfatta, indossò un Parah nero. Gaie come bambinette, prese per mano, corsero verso la piscina. Si tuffarono mille volte. Fecero belle nuotate ristoratrici, poi si abbandonarono esauste e sorridenti sui lettini accanto agli ombrelloni gialli, vicino al tucul – spogliatoio di legno e frasche. Il costumino bianco di Isa, così bagnato, era diventato trasparente. E Carmela la trovava sempre più golosamente intrigante. Pensava a come corteggiarla con successo, non avrebbe sopportato un suo no. Ma non voleva nemmeno impiegare una vita a conquistare la sua fiducia e il suo cuore. E quel suo corpo divino. Il sole non le aveva ancora completamente asciugate, quando Maria si fece sulla porta della cucina e agitò un braccio nella loro direzione. Carmela, dopo uno schiaffetto sul ginocchio dell’amica, si diresse alle vicine docce esterne prontamente imitata da Isa. Poi entrarono nel tucul, indossarono un ricco accappatoio di spugna e andarono a tavola. Non si era visto un solo uomo in giro. Ce n’erano almeno quindici appostati, ma non se ne scorgeva uno. Ordini precisi del capo. Mangiarono con buon appetito, soprattutto Isa, che non perdeva occasione per fare complimenti alla cuoca e magnificare tutto. Erano due buone forchette. Poi Isa insistette per preparare il caffè personalmente e fu molto fiera del risultato. Andarono di sopra per un riposino. Carmela le assegnò la camera attigua alla sua, dove predominava il turchese tra i colori pastello e c’erano stucchi veneziani al posto della stoffa da parati. Le mostrò il guardaroba. Conteneva ancora pochi capi, ma alle sette sarebbe arrivato un furgone col meglio dei capi taglia 42, regolarmente griffati. Ma questa sarebbe stata una sorpresa. La merce faceva parte di un carico diretto a due negozi del centro, che suo fratello ed altri tre dei ragazzi avevano “dirottato” alcuni giorni prima. Il furto di interi Tir era una delle attività marginali della famiglia. I cassetti con la lingerie invece aveva provveduto lei stessa a stiparli il giorno prima. Andava pazza per la biancheria intima di classe e, naturalmente, aveva scelto per la sua Isa i pezzi più eccitanti. Lasciò volutamente sola la ragazzina elettrizzata e raggiunse la propria stanza. Si sarebbe sciolta da sé mano a mano. Si liberò dell’accappatoio e si allungò languidamente sul letto. Prese un telecomando dal cassetto del comodino e azionò l’oscuramento delle vetrate blindate. Prese un altro telecomando e, magicamente, le tende si aprirono e un video wall apparve sulla parete di fronte; e nello schermo di due metri per uno e cinquanta apparve Isa che si provava, civettuola, alcuni capi di biancheria davanti al grande specchio della sua stanza. C’erano sei microcamere ad alta definizione disseminate nella stanza della ragazza. Carmela se la godette per un po’, poi rimise a posto le tende e cominciò a toccarsi. Dedicò l’orgasmo alla piccola Isa. Circa mezz’ora dopo, il suo pisolino venne interrotto da una telefonata di lavoro. Mezzasalma, da un cellulare coperto, la chiamò al numero tre: aveva dodici cellulari, numerati ed intestati a persone insospettabili; a seconda del settore, i suoi vice avevano un numero solo per entrare in contatto diretto con lei, quello. La notizia era pesante: una squadra dei ROS aveva scoperto il covo di suo fratello Antonino e sarebbero andati a prelevarlo all’alba. Lei disse semplicemente: OK, e chiuse. Antonino sarebbe arrivato alle sette col carico dei vestiti, l’avrebbe nascosto alla villa. Chiamò Valenti e gli ordinò di ripulire il rifugio di suo fratello a Catania.
– Vale’, naturalmente ci stanno le baby sitter che fanno il loro lavoro. – disse a conclusione. E Valenti capì che la casa era sotto controllo degli sbirri. Si sarebbe regolato. Carmela sapeva che poteva fidarsi della perizia e dell’esperienza di Valenti e considerò la cosa fatta. Indossò un kimono bianco di seta e andò a rinfrescarsi il viso. Dal bagno comunicante udì il canto melodioso di Isa, aveva una vocina splendida e intonata. Bussò alla porta, blindata, che divideva i due locali, poi senza indugio posò la sua mano aperta sul calco della sua stessa mano: era il terzo da destra in mezzo, tra i ventuno calchi che ornavano la parte laccata della porta, e questa magicamente e silenziosamente cominciò a scorrere. Si poteva aprire soltanto così. Si trovò davanti la ragazza, sorpresa e intenta a coprirsi alla meglio. Stava provando qualche abitino davanti alla grande specchiera. Quando vide che si trattava della padrona di casa, Isa si rilassò e si misero a ridere contemporaneamente. Carmela la pregò di continuare, si accomodò sul divanetto di midollino laccato bianco, tra due giganteschi ficus, e giocarono alla sfilata. Molto, molto eccitante. Anche Isa, infine, indossò un kimono simile a quello che portava lei, nero con ideogrammi rosa, e passarono il resto del tempo a chiacchierare sul letto di Carmela. La ragazzina si aprì e sfogò colla nuova amica un po’ dei suoi crucci. L’altra ascoltava interessata e preparava il suo piano d’attacco. Intorno alle sette, il cicalino informò che c’erano visite. Mandò Isa a vestirsi per la cena, col telecomando regolò l’intensità dell’aria condizionata, indossò jeans e Lacoste in tinta e scese. Era arrivato Antonino coi vestiti. Fece portare gli stander carichi in camera sua e si appartò col fratello. Antonino, un giovanottone di trentuno anni bello e massiccio, ascoltò con irritazione. Il suo colorito olivastro e già abbronzato dal sole marino, sbiancò per la rabbia. Lei lo riportò alla calma, ora paziente, ora aspra. Non sarebbe stata la fine del mondo scomparire per qualche tempo. Le acque si sarebbero chetate. Gli affari prosperavano e lui se ne sarebbe stato tranquillo al coperto, fintanto che gli uomini non avessero preparato un altro rifugio sicuro per lui in città. Alla villa non c’era nulla da temere, da parte degli sbirri almeno: Carmela era incensurata, come il fratello, e loro non sospettavano nemmeno che fosse addirittura un boss. Anche la copertura eccellente, che la dava come azionista di svariate aziende nazionali e internazionali, tutte floride e in espansione, la preservava da sospetti e visite inaspettate. Cenarono insieme sulla terrazza e anche Antonino rimase piacevolmente colpito da Isa. Dopo cena, gustarono una copia regolare di un film appena uscito nelle sale e a mezzanotte si ritirarono. Isa baciò con affetto e gratitudine la sua amica, davanti alla porta aperta della sua stanza. Carmela ricambiò l’abbraccio, ma decise di non andare oltre. Fu dura prendere sonno, a pochi metri da quel corpo da favola. Ricacciò più volte l’impeto di andare nell’altra stanza. La ragazzina le era entrata nel sangue, ma sarebbe stato prematuro e rischioso farsi avanti ora. L’avrebbe spaventata. L’avrebbe perduta per sempre. Provò a guardare una cassetta lesbo, di solito la eccitava e pensava lei a calmarsi. Si frugò quasi con rabbia e venne in maniera quasi dolorosa. Finalmente crollò. Sogni agitati. La mattina dopo, impartiti alcuni ordini, andò a sfogarsi in piscina. Venne raggiunta, intorno alle dieci, da una Isa preoccupatissima: non sapeva se si sarebbe dovuta presentare prima, né quali fossero i suoi doveri.
– Che devo fare? – chiese, maltrattandosi le mani, ritta sul bordo della piscina. Quella sortita rimise Carmela di buon umore. La guardava sputacchiando l’acqua che le entrava in bocca, tenendosi a galla con un leggero stile rana:
– Cosa devi fare?! Intanto, levati subito quella roba e metti un costume.
– E poi?
– E poi, niente. Vieni a farti una nuotata.
– Ma io… Il mio lavoro qual è? Che devo fare?
– Esistere. – scandì Carmela e si inabissò. Isa restò incerta e ammutolita, senza muovere un solo muscolo, finché Carmela non riemerse e le spruzzò dell’acqua addosso, ridendo.
– Allora?! Vuoi fare notte lì? Vai a metterti un costume… o buttati nuda. Dài!

Isa, come in trance, entrò nel tucul e ne uscì col costume bianco del giorno prima. Nuotarono, fecero la doccia, giocarono maldestramente a tennis scalze e scarmigliate. Passeggiarono fino al maneggio, poi fecero una breve gara di corsa fino alla piscina. Fecero un’altra doccia tra le risate e salirono in terrazza per il pranzo. Carmela era raggiante, le avevano comunicato persino l’esito positivo di un grosso affare che aveva in ballo da mesi, a Milano. Isa viveva quelle ore come sospesa, sempre in preda a una specie di vertigine. Ancora non si rendeva pienamente conto della “fortuna” che le era capitata. Sul tavolo troneggiava un secchiello d’argento imperlato, col ghiaccio e una bottiglia di Tattinger appena stappata. Carmela riempì i due bicchieri. Antonino stava a un altro tavolo con alcuni dei ragazzi, oltre un’alta siepe di rosmarino e alloro piantati in mezze botti di rovere, anche loro festeggiavano. Il bel fratellone aveva avuto l’ordine di distribuire a tutti un cospicuo soprassoldo. I soldati mangiavano in una sala apposita, oltre la dispensa. Erano sole. Isa non si abbandonava ancora.
– Brindiamo! – fece allegra Carmela, facendo tintinnare i calici. Isa assunse un’espressione della bambina sorpresa a combinare qualche marachella e bevve un sorso, strizzando gli occhi e arricciando il delizioso nasino:
– Buono! – ammise. Poi fece un ampio gesto colla mano:
– Ma… tutto questo… Non so… Cioè… Se poi mi vuoi dare anche tutti quei soldi di… di stipendio che hai detto… Non riesco a rendermene conto. Non capisco… Questo non è un lavoro, è meglio di una vacanza da ricchi. Non lo capisco…

Si portò i pugni sotto il mento, poggiò i gomiti sul tavolo e attese, guardando la sua ospite. Carmela si pulì le labbra, bevve un altro sorsetto di champagne e agitò le palme aperte davanti al viso:
– Non c’è proprio niente da capire. – disse – E’ così semplice… Io sono molto ricca… E molto sola. Non ho amiche. Tu mi piaci, sto cominciando ad affezionarmi… Niente… Voglio fare qualcosa per te, in cambio della tua amicizia, del tuo affetto, e della tua… fedeltà. Ti sembra strano? Per me non è strano. Tutto questo… Tutto il resto che ho… è inutile se non lo divido con qualcuno. Lo voglio condividere con te. Tutto qui. E adesso mangia i gamberoni ché sennò si freddano e diventano uno schifìo. Anzi, attenta a me, guarda come si fa… vedi? Devi togliere questa schifezza, questa strisciolina nera che hanno sulla schiena. Questa è la cacca… mi capisti?
– Non ci posso credere! – ridacchiò Isa, alle prese con un bel gamberone arrosto. Scuoteva la testa, toglieva la strisciolina con l’aiuto di un coltello, rideva in silenzio e ripeteva:
– Non è possibile… Non ci posso credere mai! –
Dopo il secondo gamberone, si accorse che Carmela la fissava soddisfatta. Come un genitore che gode della soddisfazione del proprio bambino per aver appena ricevuto un bel regalo. La fissò anche lei e le domandò a bruciapelo:
– Ma perché dividere questo con me e non con un uomo? Tu sei bellissima, intelligente, ricca, allegra… Puoi avere tutti gli uomini che vuoi… possibile che non hai un ragazzo?
– Mangia! – Non parlarono più per tutto il pranzo. Isa era certa di aver toccato un tasto dolente e non ebbe il coraggio di approfondire. Forse una forte delusione, pensò, forse… Ma non era affar suo. Carmela si immerse nei suoi pensieri e lasciò quasi tutto nei piatti.
L’atmosfera si rasserenò subito dopo il caffè. Che preparò Isa e porse all’amica, accompagnato da una carezza solidale ai suoi capelli ancora umidi. Carmela abbozzò un sorriso triste e ricambiò sfiorando il braccio della ragazzina. Poi la prese per mano e se la portò in camera sua, lasciandola allibita: dai sei stander di due metri ciascuno pendevano gli abiti più belli che avesse mai visto. Corse al bagno a lavarsi i denti, tornò, e la ragazza stava ancora come l’aveva lasciata, in trance.
– Sono tutti nostri. – le disse, accoccolandosi sul letto. – Provateli e scegli quelli che ti piacciono di più. Isa si fece scivolare l’accappatoio e cominciò a perlustrare su e giù l’esposizione. Aveva un culetto alto e sodo da brivido e i seni colla punta rivolta verso il cielo. Si cominciava a notare il segno del costume sulla pelle ambrata. Man mano che l’estemporaneo show room andava avanti, Carmela continuava a bagnarsi sempre di più. Ora Isa era nuovamente nuda e stava scegliendo un altro capo. Carmela era al culmine. Scivolò fuori dall’accappatoio e si appiattì sul letto a pancia sotto e dimenando piano il culetto. La voleva, la voleva, la voleva! Sfregò il clitoride gonfio contro una piega del lenzuolo.
– Basta ora. – mugolò col viso schiacciato contro il lenzuolo di lino. – Vieni qua, fammi un massaggio alla schiena.
Isa le aveva detto il giorno prima di essersi appena diplomata a un corso di massaggio estetico. La ragazza, felice di poter essere utile, corse a lavarsi le mani. In bagno, scelse una crema adatta e tornò di corsa. Rimase ancora una volta interdetta: Carmela ora era sul dorso, gambe larghe e ginocchia sollevate, e si stava masturbando furiosamente.
– Che fai lì? – il suo tono era roco e imperioso. – Avvicinati. Qui! Vieni qui! – Le tese la mano libera. Isa, ingobbita, scosse la testa incredula e fece dei passetti indietro.
– Avanti! Che aspetti? Non ti mangio mica… E’ una cosa bella. Vieni qua. Ma insomma… – Visto che quella stava impalata contro il pesante tendaggio del muro, scese dal letto e andò a prenderla. La trascinò a forza, la sdraiò e le fu addosso, bloccandola col suo peso, cercando famelica la sua bocca.
La maschera non aveva retto. La maschera era caduta. Carmela era una persona nuova e terribile, una persona che faceva paura e annichiliva la povera Isa. Le ficcò prepotentemente la lingua tra le labbra e prese a mulinarla. Contemporaneamente, le ficcò due dita nella fighetta, ma era asciutta e le fece male. Isa si divincolava come poteva, per puro istinto di conservazione, ma la forza di Carmela era la forza di un bruto infoiato. Carmela scese a leccare quella fica agognata, ma si beccò una ginocchiata sul naso. Rimasero entrambe per un attimo bloccate: Isa perché la sua era una mossa fortuita e non voluta, stava solo cercando di divincolarsi; Carmela perché non si aspettava una risposta tanto irruente ed irriverente. Si fissarono ansanti per un lungo momento. Gocce di sangue rosso, quasi nero, caddero sul lenzuolo candido. La boss ridivenne tale. Una belva impazzita. Andò in bagno senza levare gli occhi di dosso alla preda, mise una salvietta sotto l’acqua fredda e se la pressò sulla nuca, tenendo la testa rovesciata all’indietro. Sempre colla testa piegata, si avvicinò alla Jacuzzi e sollevò la cornetta del telefono interno:
– Antonino. Lo voglio subito da me! – ordinò. L’interlocutore gracchiò qualcosa, ma lei fu perentoria: – Non me ne frega un cazzo se è in piscina! Lo voglio qua ora. Subito!
Isa, raggomitolata su se stessa, piagnucolava tremante:
– Rosario… Rosario mio… che mi ficero? Che mi vogliono fare?

Due minuti dopo, bussarono alla porta della stanza. Carmela andò ad aprire e si trovò suo fratello di fronte, in slip da bagno, intento ad asciugarsi. Lo fece entrare e gli indicò la ragazza sul letto. Richiuse la porta a chiave.
– Prima ti sei fatto il bagno tu, mo’ fai fare un bagno al tuo biscotto. Ti piaceva, no? Fottila!

Antonino, imbarazzato, prese a sfregarsi la testa con più vigore. Sua sorella andò in bagno per lavarsi via il sangue dal naso e dal petto. Indossato il kimono, si guardò allo specchio e si ravviò nervosamente i capelli. “Stronza!” sibilò. Tornata in camera, spinse vigorosamente il ragazzo verso il letto.
– Avanti! Che aspetti?! Mi diventasti frocio? Fottila! Fottila sta stronza!

Isa cercò di coprirsi col lenzuolo e, tenendo un braccio proteso, implorava:
– No! Questo no!… Vi prego… Ma che vi fici? Ti prego, Carmela, sono vergine… Sono ancora vergine!
Antonino recuperò padronanza e sorrise in modo cattivo. I suoi slip azzurri si tesero sul davanti. Se ne liberò velocemente usando entrambe le mani e si sdraiò sulla ragazza. La poveretta provò ancora a dibattersi, ma il giovane era duro; inoltre Carmela la teneva saldamente per i polsi. Non riusciva a penetrarla: troppo asciutta e non stava ferma un secondo. La sorella imprecò e gli ordinò di tenerla lui per le braccia, lei scivolò ad immobilizzarle le gambe. Passò le sue braccia forti sotto il bacino di Isa e la tenne ferma:
– Ora te la preparo io. – disse, e prese a leccarla. Soddisfatta, anche perché la resistenza della ragazzina si era fatta sempre più debole, si impegnò per parecchio tempo in quell’attività che aveva sognato per mesi e mesi. Quando cominciavano a farle male le mandibole, tornò ad occuparsi dei polsi. Questa volta Antonino la infilzò al primo colpo. L’urlo lacerante non venne inteso da nessuno al di fuori di quella stanza. Tutta la casa era blindata ed insonorizzata, ma anche se non lo fosse stata nessuno avrebbe “sentito” niente. Il sacrificio avvenne molto rapidamente. Il giovane sgusciò appena in tempo, alcuni schizzi di sperma raggiunsero addirittura il viso di Isa e il seno di sua sorella. Anche lui si teneva quella voglia in canna da tempo. Adempiuto il suo compito, Antonino venne immediatamente congedato. Carmela, seduta sul letto, prese a carezzare i capelli di Isa e con tono suadente la rimproverò:
– Vedi? Mi hai costretto a diventare cattiva. Io non volevo… Io ti amo… Non voglio farti del male. Isuzza…Mi credi? Io ti amo e voglio farti felice. Voglio vederti felice. Ti voglio coccolare e voglio che tu fai un poco felice a me. Lo so che adesso mi odi… Per quello che ti ho fatto. Ma pensaci… Pensa quanto stai bene con me se fai da brava…

Isa non aveva più lacrime. Il bruciore tra le gambe era nulla se confrontato col bruciore che sentiva all’altezza del cuore. “Perché a me?” si chiedeva. “Che ho fatto io di male? Che ho fatto a questa gente? Voglio morire.” Tremava come una foglia e gemeva piano.
– Perché mi respingi? – continuò Carmela? – Non sono bella? Non ti piaccio? Pensa a come possiamo essere felici. Non ci faremo mancare niente… Ti chiedo solo di essere dolce con me. Soltanto un poco di dolcezza… La prima volta che farai l’amore con me e mi farai soddisfatta, ti intesto una bella casa a Catania. Così ci mandi ad abitare la tua famiglia e la togli da quella catapecchia. Promesso… Sei contenta?

Si avvicinò alle sue labbra, ma Isa si ritrasse schifata e impaurita. Carmela le mollò un poderoso manrovescio:
Ahn! Ma allora non capisci! Non vuoi capire allora! Ora mi hai rotto i coglioni! Vedrai che ti domo. Ci puoi giurare che ti domo!
Indossò jeans e maglietta e uscì, chiudendola dentro. Prima chiuse il pannello colla rastrelliera che conteneva i cellulari e disattivò gli apparecchi normali. Isa era prigioniera. Carmela raggiunse di buon passo il maneggio, calzò giusto un paio di stivali e dei guanti leggeri e si sfogò con una lunga galoppata. Poi fece una doccia e dedicò un po’ di tempo agli affari. Cenò col fratello, al quale ordinò di tenersi a disposizione e, anche se superfluo, gli intimò di glissare su qualunque argomento riguardasse la ragazzina. Sapeva bene che tra uomini… Giocò un po’ a biliardo coi ragazzi e, intorno alla mezzanotte, tornò in camera sua con una tazza fumante di buon brodo ristretto. Il brodo l’aveva preparato Maria, lei aveva solo aggiunto una sostanza che avrebbe ammorbidito un puledro da rodeo. Era una specie di Valium non in commercio in Italia. Trovò Isa sotto le lenzuola, gli occhi sbarrati e in preda al tremore.
– Bevi questo, ti farà bene. Maria ha detto che se mangi, agitata come sei, rivedi tutto. Questo ti farà bene e ti tirerà un po’ su. Forza… giuro che non ti tocco. Se non vuoi, ti lascio in pace. Avanti!
Le porse la tazza. Isa, seppur riluttante la prese e mandò giù l’intero contenuto. Poi ricadde e si coprì. Batteva i denti.
– Voglio tornare a casa mia. – riuscì ad articolare. Fece una smorfia di dolore e ripeté la frase.
– Ti fa male… lì? Appena starai meglio, te ne potrai andare. Adesso fammi vedere dove ti fa male. – la scoprì. La ragazza non si era neppure lavata. Non si era proprio mossa dal letto. Carmela chinò il capo di lato e le sorrise:
– Andiamo a darci una lavata, su… Ti do un buon sapone intimo, che ti disinfetta e ti passa tutto. L’aiutò ad alzarsi e la sorresse fino al bidet. Isa era docile come un agnellino. La pozione cominciava a fare effetto. La pupilla era dilatata. Praticamente la lavò lei. Con grande piacere. La riportò quasi di peso sul letto e stette un po’ ad ammirarla. Si avvicinò per controllare i danni: le allargò le grandi labbra, ma non vide niente che non andasse. Non aveva perso nemmeno sangue. Isa era come tramortita. Decise di approfittarne e si mise a leccarla dolcemente. Nonostante non provocasse nessuna reazione nella ragazzina, lei si era bagnata tutta. Salì e si mise a cavalcioni sul viso di Isa. Le strofinò la fica sulla bocca semiaperta.
– Tira fuori la lingua… leccamela. – le disse piano. Isa eseguì, come un automa. Visto che funzionava, Carmela cambiò posizione e diede via ad un sessantanove. Estenuante. Piano piano, la fighetta di Isa cominciò a cambiare odore e sapore: si stava bagnando di piacere. Carmela ebbe un orgasmo violento, ma fu costretta ad aiutarsi colle dita. La lingua della ragazzina era meccanica e monotona. “Le avrebbe insegnato lei…” Finalmente, anche Isa ebbe il suo bell’orgasmo. Strinse le cosce e agitò i piedi in su e in giù. Ebbe un sospiro di piacere che fu musica per le orecchie di Carmela.

La storia andava avanti da oltre un mese ormai. Solamente una volta, smaltito l’effetto della sostanza, Isa si era ribellata e Carmela aveva deciso di punirla facendola stuprare ancora da Antonino. E questo era bene che accadesse quando la ragazzina era ben lucida: se ne sarebbe ricordata. Ultimamente, Isa, volente o nolente, aveva avuto parecchi orgasmi durante le sollecitazioni della lingua e delle dita di Carmela. La boss, peraltro, aveva provveduto a tranquillizzare la famiglia di Isa ed a fargli pervenire una busta con cinquemila euro e un biglietto della ragazza. Biglietto scritto sotto effetto della solita sostanza. Arrivò una telefonata da un altro dei suoi vice: c’era bisogno della presenza di Carmela ad un summit che si sarebbe tenuto a Palermo, la settimana successiva. La boss organizzò meticolosamente la trasferta. Chiamò anche “U Lebbrosu”, un pappa che le doveva un favore, e gli ordinò di farle trovare una bella ragazzina nuova e disponibile, nella casa che avrebbe costituito il suo rifugio durante la permanenza nella capitale. “Contaci.” Fu la risposta dell’uomo. “Sempre a disposizione.”
Aveva bisogno di una fighetta attiva e consapevole. Questa gatta morta la stava annoiando. Non c’era più traccia d’amore in lei. Se amore era stato e non solo desiderio di possesso. Otto giorni dopo, partì per Palermo. Si portò solamente due uomini di scorta, non voleva dare nell’occhio. Partirono appena buio e arrivarono prima di mezzanotte. Aveva lasciato Antonino a guardia di Isa, con disposizioni precise. Se la scopasse pure a volontà, ma lei non avrebbe mai dovuto lasciare la stanza. Davanti al motel Conca d’Oro trovarono l’auto civetta ad attenderli. A bordo, due uomini che fecero appena un cenno di saluto e partirono. Fecero strada fino a una masseria diroccata, in aperta campagna, che sembrava abbandonata da tempo. Naturalmente non era così: dentro era tutt’altra cosa. U Lebbrosu era già lì per rendere omaggio alla boss. Consegnò una cassa di Tattinger a uno dei suoi uomini e a lei disse in un orecchio che il pensierino era già in camera. Salutò con reverenza e scomparve, accompagnato da uno degli uomini del posto. L’altro uomo rimase a disposizione e mostrò a Carmela delle luci oltre l’aranceto: era l’altra masseria dove avrebbe avuto luogo la riunione del giorno dopo. Trecento metri, non di più. I tre uomini si sistemarono all’inizio dell’ala abitabile, mentre a Carmela fu indicata la camera padronale, in fondo al corridoio. Lei aprì la porta con una certa emozione. Trovò una stanza moderna e confortevole. Chiuse la porta blindata e si guardò in giro: non vedeva nessun pensierino. Il letto era intatto e cambiato di fresco. Stava già per essere assalita da un’ondata di stizza, quando una pesante tenda si aprì e lasciò passare due splendide creature. Viva l’abbondanza! Una negretta stupenda sui diciotto e una biondissima ragazzina slava avanzarono verso di lei. Indossavano soltanto biancheria intima di gran classe e profumi adeguati. U Lebbrosu la sapeva lunga. La biondina andò a baciarle le mani e le disse, in un italiano quasi corretto, che erano in due perché lei potesse scegliere a seconda dell’umore e del desiderio. Carmela fece una risatina e le disse:
– Perché scegliere? – passò il resto della notte a farsi coccolare. Per quanto ne sapeva, avrebbe dovuto trattenersi almeno tre giorni. Hai voglia!

Antonino, in bermuda amaranto e canotta nera, aprì la porta della camera di Carmela con una mano, con l’altra spingeva un carrello carico di cibarie, sui due ripiani, ed un secchiello con ghiaccio e Tattinger. Erano da poco passate le nove di sera. Sua sorella mancava da due giorni ed erano due giorni che lui trasgrediva ai suoi ordini: non aveva più drogato la bella Isa. Non l’aveva più sfiorata. Aveva riservato il piacere a quella sera: la voleva ben sveglia. Era un bel ragazzo, cazzo! Le donne morivano per lui. Come poteva questa respingerlo e fare la smorfiosa?! Lei lo accolse piangendo. Cominciò ad implorarlo affinché la lasciasse tornare a casa sua.
– Perché no? – convenne lui: – Basta che la smetti di piangere e di fare la stupida. Siamo nel 2000 e tu fai ancora tante storie per una ficcata! Tu fai l’amore con me, bene… Ci divertiamo e, quando mi fai contento, se vuoi te ne puoi anche andare.
Lei parve rifletterci sopra. Antonino, che scemo non era, provò a sciogliere i dubbi della ragazza:
– Di che hai paura? Questa volta non ti voglio violentare. Carmela non c’è… Ah, ah! Certo che l’hai fatta proprio incazzare a mia sorella! Ma io sono diverso. Lei quando s’incazza senza cuore diventa. Io no… Se tu collabori, sarà bellissimo e piacerà molto anche a te. Vedrai. E nessuno ne saprà mai niente.
Mentre parlava suadente, il giovane apparecchiava il tavolino accanto al paravento cinese. Si misero a mangiare e lui fu servizievole e tenerissimo. Lei rifletteva in fretta. Quei pochi attimi di lucidità doveva sfruttarli a fondo. Decise di cedere. Avrebbe preferito ucciderlo. O morire. Ma bevve mezza bottiglia di champagne e fu pronta al sacrificio. Accettò persino di prenderglielo in bocca e di seguire tutti i suoi consigli per fare un pompino di gran livello. Era ubriaca persa e nulla aveva più importanza. “Finisci presto.” Pensò.
Avrebbe rivisto i suoi. Avrebbe presto rivisto Rosario e l’incubo sarebbe finito. Se ne sarebbero scappati all’estero, magari. Lontano. Non avrebbe più voluto avere niente a che fare con quella gente. Il ragazzo la stantuffò a lungo e poi finalmente le venne sulla pancia e sul seno. Le spalmò ben bene lo sperma sulla pelle vellutata e la invitò la leccarglielo per bene. Lei eseguì. Naturalmente, una volta soddisfatto, Antonino si preparò ad andarsene, lasciandola con un palmo di naso. Ma lei era risoluta, doveva solo conquistare un po’ della sua fiducia, poi gliel’avrebbe fatta pagare. A Tutti e due. Gli sorrise e , prima che lui chiudesse la porta, gli chiese:
– Lo facciamo anche domani? Avevi ragione tu, così è diverso. Così mi piace.
– Lo vedi? – le strizzò l’occhio e uscì soddisfatto. Una volta chiusa la porta, lei fu presa da una furia incontenibile. Cominciò a buttare all’aria tutto quello che le capitava. Finalmente le venne l’idea giusta. Uscita dalla doccia, trovò quello cercava: un pesante sottovaso di marmo. Era un po’ più grande di un piatto e bello pesante. La mattina successiva, vestita come il giorno che aveva messo piede in quella casa maledetta, aspettava che Antonino arrivasse con la colazione. Aspettava dietro l’uscio, col sottovaso ben stretto tra le mani. Lui non si accorse di nulla. Un colpo secco, un rumore sordo, e il giovane si accasciò senza nemmeno un gemito. “Spero di averti ammazzato.” Pensò freddamente Isa e, con molta cautela, uscì dalla casa.
– Attraversò il retro del giardino e si diresse, quasi senza respirare, verso il boschetto. Riuscì non si sa come a non essere vista da nessuno. Salendo sopra un vascone rovesciato e reggendosi ai rami di un vecchio olmo, riuscì a scavalcare l’alto muro di cinta. Era fatta. Rischiò di rompersi le gambe nel salto, ma riuscì ad ammortizzare bene il peso del corpo. Due ore dopo era tra le forti braccia di Rosario. Lui ebbe non poco da combattere per convincere il suo datore di lavoro a lasciarlo libero per il resto della giornata, alla fine la spuntò. Salirono sulla vecchia vespa e si allontanarono verso il mare. Lungo la strada, Rosario si fermò per comprare dei panini e delle bibite fredde. Una volta sulla litoranea, prese per un sentiero che portava alla caletta rocciosa che conoscevano in pochi ed era quasi sempre deserta. Nessuno. Isa gli raccontò tutto, tra le lacrime. Piansero a lungo tutti e due. Ricompostisi, fecero l’amore per la prima volta. E fu bellissimo. Il posto era completamente deserto, tranne una barchetta al largo, così i ragazzi decisero di fare il bagno nudi. Si asciugarono al sole e mangiarono i panini. Avevano deciso, di comune accordo, di tenere la bocca chiusa. Conoscevano i rischi. Però se ne sarebbero andati da quel posto di merda. Al più presto. La madre di Isa si ammalò gravemente e il progetto venne rimandato, almeno sino a quando non si fosse ristabilita.

Quasi due mesi dopo, migliorata la salute della madre e rimarginate un po’ le ferite dell’anima, Isa stava uscendo da un cinema del centro con Rosario. Ancora ridevano per il finale comico del film appena visto. Erano allegri e spensierati e non si accorsero di una potente auto che frenò e per poco non li investì. Per loro, distratti e troppo presi dalla loro intimità, fu una cosa da nulla, giusto un “vaffanculo” del ragazzo all’indirizzo dell’autista. Ma dietro i vetri azzurrati della Lancia Thema lo sguardo assassino di Carmela li incenerì. La boss si era accorta di essere nonostante tutto ancora innamorata di Isa. Molto più di prima. Di notte ci piangeva. Non l’aveva fatta cercare perché ne avrebbe sofferto lei per prima. Ma quello smacco non lo tollerava. Preferire a lei quel cogghiunazzu! Strinse forte le mascelle, mentre i suoi occhi a fessura seguivano i due innamorati attraverso il lunotto posteriore.

Il venerdì successivo, un cadavere con la testa spappolata dalle pallottole venne trovato in una discarica abusiva di periferia. Il cadavere venne riconosciuto dai famigliari ed era quello di un giovane incensurato. Non aveva mai avuto nessun legame con la malavita. Un bravo ragazzo come tanti, gran lavoratore senza grilli per la testa. Era il corpo di Rosario Friccicanò. La polizia brancolava nel buio. Il commissario Crocitti ci aveva lavorato sopra anche quella notte. Niente. Buio. Crocitti era il miglior investigatore della Sicilia. Nessuna traccia. Nessun indizio. Buio. Disfatto, Crocitti alle nove del mattino stava lasciando l’ufficio per fare ritorno a casa; non si reggeva in piedi. Non fece nemmeno caso a quella ragazza che aveva quasi travolto sulla porta della questura. Eppure era una bellissima ragazza, anche se disfatta dal pianto. Somigliava in maniera impressionante a Claudia Cardinale giovane.

cavallona

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Bottino craxi: la storia vera

BETTINO CRAXI
Nasce che pesa ottanta chili: aveva creato delle riserve di cibo al di fuori della placenta, un canale segreto con l’esofago materno, e si era mangiato tutto .
Sua madre era stata l’unica donna al mondo a perdere trenta chili durante la gravidanza. L’unica ecografia esistente, conservata alla NASA, ci mostra Bettino al terzo mese con due mani già formate, grandi come la Montedison, mani senza fine. E il resto del corpo: un bozzolo. Due ore dopo la nascita, gli piovve addosso la prima denuncia: la levatrice si era resa conto che a “levare” era stato abile e veloce anche il neonato; quattro carabinieri dei Nocs gli aprirono faticosamente, e dopo aspra lotta, i pugnetti chiusi e ricuperarono la fede e l’anello di fidanzamento della levatrice medesima. Dopo la sua nascita, il corpo di sua madre si era afflosciato come un sacco vuoto; le erano persino rientrati i seni. Fu necessario comprargli un biberòn. Due biberòn… quindici biberoni maxi. Li ingoiava come niente e non risputava nemmeno la plastica: cacava palloncini. Suo padre, brava persona, decise di comprare un biberòn formato gigante e si recò a Disneyland, sicuro di trovarlo. Al suo ritorno, si ritrovò in mezzo a una strada, con l’immenso biberòn tra le braccia: Bettino aveva messo in vendita la casa con tutti gli arredi e si era trasferito all’Hotel Raphael di Roma, che prendeva chiunque.
Di intelligenza prontissima e precoce nel fisico, si iscrisse da solo al vicino collegio svizzero. A tre anni era già in quinta elementare. Aveva problemi solo con la matematica: gli avevano spiegato che 3 + 3 = 6 e lui l’aveva capito subito e si era montato la testa convinto di sapere tutto. A quel punto, la sua maestra, frau Gruber, decise di farlo impazzire e spiegò che non solo tre più tre faceva sei, ma anche quattro più due faceva sei; e addirittura cinque più uno faceva sei! Insomma, Bettino si convinse che TUTTO facesse sei… Perciò, più tardi, decise di lasciare ai vari Cusani, Larini, Giallombardo, Ruju & c. l’incombenza dei numeri e lui decise di fare i conti solo con Borrelli e Di Pietro. O meglio, non decise lui, ma questa è un’altra storia.
A otto anni diede un altro saggio della sua scaltrezza: entrato in un bar di via Veneto, ordinò un gelato mastodontico e prese la via della porta. Il padrone lo bloccò: ”Beh? Non lo paghi il gelato?” “E perché, lei l’ha pagato?” chiese l’impudente Bettino.“Certo che io l’ho pagato!” gridò il barista. “E allora? Mica lo dobbiamo pagare due volte.” concluse Bettino, lapalissiano, scappando via. Arrivò incolume ai vent’anni e conobbe una splendida ragazza romana di nome Sandra. Lei faceva l’attrice e altro con Fellini. Lui la corteggiò assiduamente e fu l’unico a farlo: agli altri uomini lei la mollava subito. Andarono a fare un pic nic a Villa Pamphili. Era una splendida giornata di sole e Sandra non aveva messo le mutandine: perché perdere tempo? Non aveva messo nemmeno il cestino giusto, nel portabagagli della Vespa. A mezzoggiorno, accaldati ed affamati, si appartarono all’ombra di una quercia e aprirono felici il cestino di vimini… dentro c’erano i lavori a maglia della madre di Sandra!

.

Lei fece una risatina sciocca e lui non sottilizzò, forse pensando a cucina tipica o a qualche usanza locale, cominciò a mangiare gomitoli di lana, filo di scozia, cotone: bistecca ai ferri o lavori all’uncinetto tutto fa brodo, purché se magni! (Lui proveniva dalla Sicilia e da Milano in parti uguali. Altra cultura…)
Già che c’era si mangiò anche il cestino, erano fibre. E perché no? anche gli uncinetti e i ferri da quattro. Aveva carenza di ferro. Spolverò anche le ghiande sparse tutt’intorno e andò ad abbeverarsi al laghetto. Sperando di risucchiare qualche anatra, qualche bel cigno grasso… Poi tornò all’ombra, si grattò l’immensa schiena contro il tronco della quercia e, dopo un poderoso rutto, si sdraiò e prese subito a ronfare. Sandra aprì le gambe sconsolata e si guardò la patatina, sola soletta, tutto ciò che la penetrava era il ponentino. Si videro ancora e andarono a Fontana di Trevi. Bettino vide che la gente buttava un sacco di soldi nella fontana e chiese il perché. “Perché la lira non vale un cazzo.” rispose un vecchietto. E ancora non avevano governato né Bottino né Silvio… Bettino aveva capito che il lavoro è fatica e perciò decise di entrare in politica. Diventò amico di una persona per bene, Sandro Pertini, e lo circuì a tal punto che il vecchio, presentando il giovane gigante prensile, diceva: “Bravo giovine, figlio di pochi sì, ma onesti genitori.” Pertini era ingenuo e già un pochino andato. Lo invitava spesso a pranzo: “Vieni a pranzo da me domani – gli diceva – ci sarà anche Bettino.” “Ma Bettino sono io!” rispondeva il massiccio. “Non fa nulla, – tagliava corto il vecchio partigiano – vieni lo stesso.” Bettino cominciò col portargli la borsa e finì col portargli via il partito. Intanto continuava il giochetto dei gelati a scrocco in tutti i bar della capitale e della provincia. Quantità industriali di gelato. I baristi non lo beccarono mai, ma il diabete sì. Pertini lo portò con sé a Caprera per una ricorrenza garibaldina. Nella piccola isola aleggiava un’atmosfera di anacronistico patriottismo. C’era anche la televisione e un cronista, già che c’era, porse il microfono anche a Bettino: “A cosa pensa, lei così giovane, quando vede la bandiera italiana che sventola?” gli chiese. E Bettino: “Penso che c’è un casino di vento.” rispose con evidente senso pratico. Scoprì però Garibaldi e si innamorò del personaggio e della sua storia, anche se ebbe a criticarlo per la sua ambizione modesta: “I mille?! I miliardi, muovono il mondo! Cazzo i mille!” Si giocò subito la simpatia di tutti i presenti in camicia rossa.
Si giocò anche l’amicizia del vecchio Pertini, perché aveva il vizio di dargli delle poderose manate sulle gracili spalle. Sembrava farlo apposta: ogni volta che nonno Sandro portava alla bocca con mani tremolanti la solita tazza di brodo caldo, arrivava Bettino e giù una tremenda manata sulle spalle: “Come va, vecchia quercia?” Pertini lo mandò affanculo. Bettino, senza protettore, ricercato da tutti i baristi, decise di tornare a Milano e si adattò a fare l’assessore comunale. In quel periodo conobbe un giovane cantante di piano bar, che aveva un piano a nolo per suonare e un piano personale per fare soldi senza lavorare. Bettino aveva per le mani un piano di programmazione edilizia del Comune: fecero un piano per unire i due rispettivi piani. Questo giovane pianista disse di chiamarsi Elizabeth Arden, poi disse di chiamarsi Charles Aznavour, poi Cocò Chanèl, poi Silvio. Disse anche di essere dottore, poi infermiere, poi Gesù , cavaliere, muratore… Iniziava tutte le frasi con: “Mi consenta… te lo giuro sulla testa dei miei figli… sinceramente… onestamente… quantevveriddìo.” Tutte le cose che premettono i bugiardi, insomma.

Però al piano era un grande solista. Appena cominciava, la gente se ne andava e lo lasciava solo. E lo licenziavano. Ha cambiato più locali allora che idee adesso. Bettino, più monotono, ripeteva sempre la stessa solfa: “E a me quanto me ne viene?” Divennero amici per solitudine. Entrambi erano molto soli. E sòla (come dicono a Roma). Silvio pensò di sposarsi, matrimonio d’amore: per i soldi. Lui aveva preparato le carte per il matrimonio e sua moglie ci aveva messo le carte di credito. Anche Bettino si era sposato, contro una certa Anna. I due amici, ormai lanciati nel mondo degli affari, decisero di andare ad incontrare dei probabili soci a Bruxelles. Segno di riconoscimento: fedina penale da otto chili, accento palermitano marcato, coppola, e lettera di presentazione di Dell’Utri. Presero la macchina del suocero di Silvio e partirono da Milano alle due. Alle sette erano fermi a Strasburgo e litigavano:
“La benzina c’era! – giurava Silvio – Il serbatoio era pieno quando siamo partiti. Ha fatto il pieno mia moglie!”- E fu l’unica verità di tutta la sua vita.
“Tira fuori la benzina o ti spacco i sopratacchi! “ sbraitava Bettino. Un vecchio benzinaio emigrato spiegò pazientemente ai due che la benzina, come tutte le cose, finisce. Bettino ebbe un’illuminazione: “Quando diventerò ministro o presidente del consiglio aumenterò la benzina, così non finisce.” Mantenne, ahinoi, la minaccia. Giunti miracolosamente a Bruxelles si incontrarono coi futuri soci in un bar gestito da italiani. I gestori erano di Afragòla e tutti i clienti avevano strascicati accenti del mezzoggiorno d’Italia. Persino le etichette sulle bottiglie esposte erano adeguate all’ambiente: Gambàri, Ginzàno, Mardini, Scivàs… I nostri si sedettero intorno ad un tavolo, il tavolo era a forma di torta e la torta era a forma di penisola.
Quello che sembrava essere il capo, nonostante l’età avanzata, non aveva un capello bianco: era calvo. Silvio e Bettino decisero in seguito di imitarlo: si acquisisce l’aria da vero capo e non si spende un cazzo in shampo! L’accordo venne fatto e i due amici tornarono indietro. “Chi trova un amico trova un tesoro” recitava il vecchio detto. “Chi trova un tesoro, trova un casino di amici e amici degli amici.” aveva detto il vecchio siciliano. Appena superata la frontiera italiana, si fermarono a mangiare in un grill: la nostra cucina era certamente migliore. Ordinarono pollo e patatine: il pollo era una merda e veniva dal Belgio, le patate dalla Germania, l’olio per la frittura da un autoricambi. Bettino tentò il solito giochetto per non pagare: “Settantamila lire per due porzioni di pollo?! Ma chi è quel deficiente che ha fatto fuori un animale così prezioso?” il gestore li inquadrò subito e li lasciò andare. Abbassavano la media del locale. Alle porte di Milano l’auto li mollò di nuovo. Proseguirono a piedi, ma cominciò a diluviare. Cercarono riparo dentro un negozio di ombrelli, guardando per aria e fischiettando vaghi, fingendo di ignorare il proprietario che li puntava. Tipico. Gianni e Pinotto gli facevano una pippa! Tornarono alle rispettive occupazioni: Silvio ad accapparrarsi terreni agricoli e Bettino a cambiare, quasi legalmente, la destinazione d’uso.
Qualche anno dopo, Bettino venne invitato a Roma al congresso del Midas. Lo disse subito a Silvio che, da giovanotto magro coi capelli grassi, si stava trasformando in un grasso signore… uomo, via! senza capelli. Silvio, dall’alto della sua cultura, spronò l’amico: “Al Midas?! Il famoso re! Vai, vai, così impari i trucchi e tutto quello che tocchi diventa oro! “ E così fu. Al congresso del Midas, che era un albergo, il grosso Bettino divenne segretario del PSI.
Imparò i trucchi e cominciò a toccare tutto. Toccò anche un’aspirante attricetta, una certa Anja. Lui diceva di essere innamorato e, siccome l’amore è cieco, si aiutava tastando. Lei era molto bella. ”Sei una visione! La mia visione.” le diceva. E tastava. Visione, visone, anelli, pièd à terre…
Tocca oggi, tocca domani, ad Anja toccò pure GBR. “Sei la mia televisione!” esclamò lei. E lui toccava e foraggiava. E la gente chiacchierava. E ogni volta che lui tornava a Milano dalla moglie, Anna gli correva incontro gli buttava le braccia al collo. E cercava di strozzarlo. Intanto ebbero tre figli: Bobo, Bubu e Yoghy. Ma lui, invidioso di Silvio che millantava scopate a destra e a manca, cercò di scoparsi Manca, almeno quello, promettendogli la Presidenza della Rai. “C’è un bel cavallo all’ingresso“ gli diceva. Manca capì un cazzo e si iscrisse all’ippodromo di Tor di Valle, per prepararsi al compito. E’ ancora lì che cavalca. Bettino, ormai grasso e pelato come un vero capo, diventò Presidente del Consiglio. Cercò anche di scoparsi qualche nana o ballerina del suo éntourage… niente da fare. Il suo piccolo pisello si dissociava. Come tutti i suoi servitori anche lui era sempre a capo chino e piegato in due. Quindi non si ciulava. Ripiegò sul suo ruolo di statista. Promulgò leggi avveniristiche: aumentò per decreto le tariffe alberghiere invernali nelle località marittime, d’inverno le notti sono più lunghe, quindi…
Comprò casa a S.Moritz e decretò che avrebbe dovuto nevicare nel mese delle sue ferie;
aumentò, naturalmente: benzina, sigarette, pane, pasta, bolli, tasse, etc. Conobbe un avanzo di balera, grasso e unto: un certo Gianni de Michelis e, siccome questo parlava veneziano e non si capiva un cazzo di quello che diceva, lo nominò ministro degli esteri. Così, tra stranieri si sarebbero capiti.
Studiarono insieme un piano di aiuti al terzo mondo. Gianni prendeva malloppi di miliardi e correva in Africa, si inchiappettava qualche negretto: per venire incontro ai suoi bisogni, poi da lì volava in Svizzera e depositava i soldi in conti cifrati. A nome suo e di Bettino. Stanco ma felice, correva a fiondarsi in qualche discoteca alla moda. Con tutte le stragi del sabato sera, lui non ci rimase mai. Alla gente sarebbe andato bene che si fosse schiantato contro qualche platano anche di venerdì… Ma lui non diede questa soddisfazione. Un giorno, Bettino, tornando in incognito da casa di Anja a bordo della sua auto, sbagliò quattro volte uscita sul raccordo anulare. Dopo sei ore di giri a vuoto, chiese informazioni ad una famigliola, coniugi e tre figli, che faceva colazione sul prato di un’aria di sosta: “Scusino, per andare in via del Corso?” Si avvicinò il capofamiglia, alto, allampanato e con l’aria intelligente; l’uomo si chinò verso il finestrino e si mise a piagnucolare: ”Ci aiuti, signore. Ci siamo persi. Siamo qui dal viaggio di nozze…” Bettino si commosse e prese a lavorare con sè quel fulmine di guerra: si chiamava Ugo Intini. Intini non andava d’accordo con Signorile, un vice di Bettino. Un giorno vennero alle mani. Ugo mise le mani intorno alla gola di Signorile e giù schiaffi e pugni! Di Signorile, naturalmente, che aveva le mani libere. Bettino fu costretto ad accompagnare il malridotto Intini al Pronto Soccorso. Andò a parlare personalmente col medico.
Il dottore era comunista e, riconosciutolo, gli sparò:

.

“Se ci sono punti da applicare, un milione con anestesia e mezzo milione senza.”
“Prendo la seconda offerta – fece Bettino – mica è per me!”
Divenne amico di numerosi stilisti: Trussardi, Versàce (ma lui lo chiamava familiarmente Vèrsace)… Il primo gli regalò un manichino parlante, che lui battezzò Claudio e ne fece il suo vice. Doveva avere un qualche difetto di fabbricazione, però, perché fumava molto e aveva sempre le pupille sgranate. Lo mandò da un famoso tecnico a Malindi, ma Claudio fumò pure laggiù. Lo stilista preferito di Claudio era Volta-Gabbana. Per il dispiacere, Bettino prese ad ingrassare troppo. Un amico gli consigliò la dieta del fantino e lui cominciò a mangiare cavalli. Parlava alla tv ed aveva molto appeal. Prendeva molto. Nemmeno De Lorenzo e Pomicino insieme prendevano quanto lui. Inventò anche un modo di parlare con molte pause, che servivano per inserire gli stacchi pubblicitari. E tutto ciò che toccava diventava oro.
I suoi domestici pulivano i vetri con foulards di Yves S. Laurent e li gettavano dopo l’uso. Rivedeva spesso Sandra e se la portava nel suo appartamento. Lei gli raccontava di tutti quelli che l’avevano scopata nel frattempo e lui si addormentava felice. Intanto Silvio, grazie agli amici, stava ampliando l’impero televisivo e non solo: quando e dove c’era possibilità di una legge favorevole a qualche business, Bettino lo avvertiva e lui ci si ficcava. La società andava a gonfie vele. Ormai era un’ onorata società, con succursali in tutto il mondo. Bettino era ricco e famoso. Potentissimo. Tranne che dal lato virile: nonostante si dicesse che avesse tre coglioni, come l’antico Bartolomeo Colleoni. In realtà, era pieno di coglioni, soprattutto nel suo éntourage. E nella direzione nazionale del partito. Ogni riunione veniva preceduta da una coloratissima e chiassosa parata, con gente sui trampoli, fanfàra, ragazze pon pon e ragazze pom pin. Una marea di mariuoli. Gli combinarono tanti e tali di quei casini che, alla fine, lui per non vedere le porcherie che combinavano i suoi decise di andarsene in esilio. Come l’Eroe dei due mondi. Erano molto simili: Garibaldi aveva fatto i mille, Bettino i mille miliardi. Garibaldi aveva creato l’unità, Bettino aveva distrutto l’Avanti. Garibaldi aveva accanto a sé Anita, l’eroina, Bettino aveva Anja, e tutt’intorno la cocaina, il marocchino, e tanta buona erba. Garibaldi aveva detto OBBEDISCO! Bettino diceva OBBEDITE! Garibaldi era amico di Mazzini, Bettino era amico di Boldi. Garibaldi era andato a Marsala, lui andava a Chivas e Champagne. Troppe analogie. Non aveva nulla a che spartire coi suoi! Infatti si prese tutto lui e se ne andò per la tangente. Ad Hammamet.

( Plico arrivato in busta anonima da casa Forlani. N.d.A.)

craxi

bottino

banda_bassotti

via_craxi

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter