La verità che non può dire

La verità che non può dire
di GIUSEPPE D’AVANZO

Berlusconi esige da noi, per principio e diritto divino, come se davvero fosse “unto dal Signore”, la passiva accettazione dei suoi discorsi. Pretende che non ci siano repliche o rilievi alle sue parole. Reclama per sé il monopolio di un’apparenza che si cucina in casa con i cuochi di famiglia. Senza contraddittorio, senza una domanda, senza un’increspatura, senza la solidità dei fatti da lui addirittura non contraddetti, senza un estraneo nei dintorni. Vuole solo famigli e salariati. Con loro, il Cavaliere frantuma la realtà degradata che vive. La rimonta come gli piace a mano libera e ce la consegna pulita e illuminata bene. A noi tocca soltanto diventare spettatori – plaudenti – della sua performance. Berlusconi ci deve immaginare così rincitrulliti da illuderci di poter capire qualcosa di quel che accade (è accaduto) non servendoci di ciò che sappiamo, ma credendo a ciò che egli ci rivela dopo aver confuso e oscurato quel che già conosciamo. Quindi, via ogni fatto accertato o da lui confessato; via le testimonianze scomode; via documenti visivi; via i giornalisti impiccioni e ostinati che possono ricordarglieli; via anche l’anchorman gregario e quindi preferito; via addirittura la televisione canaglia che da una smorfia può rivelare uno stato d’animo e una debolezza.

Berlusconi, che pare aver smarrito il suo grandioso senso di sé, si rimpannuccia sul divano di casa affidandosi alle calde cure del direttore di Chi. Insensibile alle contraddizioni, non si accorge dell’impudico paradosso: censurare i presunti pettegolezzi dalle colonne di un settimanale della sua Mondadori, specializzato in gossip. Dimentico di quanto poca fortuna gli abbia portato il titolo di Porta a Porta (5 maggio) “Adesso parlo io” (di Veronica e di Noemi), ci riprova. “Adesso parlo io” strilla la copertina di Chi. Il palinsesto è unico.

In un’atmosfera da caminetto, il premier ricompone la solita scena patinata da fotoromanzo a cui non crede più nessuno, neppure nel suo campo. La tavolozza del colore è sempre quella: una famiglia unita nel ricordo sempre vivo di mamma Rosa e nell’affetto dei figli; l’amore per Veronica ferito – certo – ma impossibile da cancellare; la foto con il nipotino; una vita irreprensibile che non impone discolpa; l’ingenuità di un uomo generoso e accogliente che non si è accorto della presenza accanto a lui, una notte, di una “squillo” di cui naturalmente non ha bisogno e non ha pagato perché da macho latino conserva ancora il “piacere della conquista”.

Acconciata così la sua esistenza che il più benevolo oggi definisce al contrario “licenziosa”, chi la racconta in altro modo non può essere che un “nemico”. Da un’inimicizia brutale sono animati i giornali che, insultati ma non smentiti, raccontano quel che accade nelle residenze del presidente. Antagonisti malevoli, prevenuti o interessati sono quegli editori che non azzittiscono d’imperio le loro redazioni. C’è qualcosa di luciferino (o di vagamente folle) nella pretesa che l’opinione pubblica – pur manipolata da un’informazione servile – s’ingozzi con questo intruglio. Dimentico di governare un Paese occidentale, una società aperta, una democrazia (ancora) liberale, il capo del governo pare convinto che, ripetendo con l’insistenza di un disco rotto, la litania della sua esemplare “storia italiana” possa rianimare l’ormai esausta passione nazionale per l’infallibilità della sua persona. È persuaso che, mentendo, gli riesca di sollecitare ancora un odio radicale (nell’odio ritrova le energie smarrite e il consenso dei “fanatizzati”) contro chi intravede e racconta e si interroga – nell’interesse pubblico – sui lati bui della sua vita che ne pregiudicano la reputazione di uomo di governo e, ampiamente, la sua affidabilità internazionale. Berlusconi sembra non voler comprendere quanto grave – per sé e per il Paese – sia la situazione in cui si è cacciato e ha cacciato la rispettabilità dell’Italia. Ha voluto convertire, con un tocco magico e prepotente, le “preferite” del suo harem in titolari della sovranità popolare trasformando il suo privato in pubblico. Non ha saputo ancora spiegare, dopo averlo fatto con parole bugiarde, la frequentazione di minorenni che ora passeggiano, minacciose, dinanzi al portone di Palazzo Chigi. Ha intrattenuto rapporti allegri con un uomo che, per business, ha trasformato le tangenti alla politica in meretricio per i politici. Il capo del governo deve ora fronteggiare i materiali fonici raccolti nella sua stanza da letto da una prostituta e le foto scattate da “ragazze-immagine”, qualsiasi cosa significhi, nel suo bagno privato mentre ogni giorno propone il nome nuovo di una “squillo” che ha partecipato alle feste a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli (che pressione danno a Berlusconi, oggi?).

La quieta scena familiare proposta da Chi difficilmente riuscirà a ridurre la consistenza di quel che, all’inizio di questa storia tragica, si è intravisto e nel prosieguo si è irrobustito: la febbre di Berlusconi, un’inclinazione psicopatologica, una sexual addiction sfogata in “spettacolini” affollati di prostitute, minorenni, “farfalline”, “tartarughine”, “bamboline” coccolate da “Papi” tra materassi extralarge nei palazzi del governo ornati dal tricolore. Una condizione (uno scandalo) che impone di chiedere, con la moglie, quale sia oggi lo stato di salute del presidente del Consiglio; quale sia la sua vulnerabilità politica; quanta sia l’insicurezza degli affari di Stato; quale sia la sua ricattabilità personale. Come possono responsabilmente, questi “buchi”, essere liquidati come affari privati?

La riduzione a privacy di questo deficit di autorità e autorevolezza non consentirà a Berlusconi di tirarsi su dal burrone in cui è caduto da solo. Ipotizzare un “mandato retribuito” per la “escort” che ricorda gli incontri con il presidente a Palazzo Grazioli è una favola grottesca prima di essere malinconica (la D’Addario è stata prima intercettata e poi convocata come persona informata dei fatti). Evocare un “complotto” di questo giornale è soltanto un atto di intimidazione inaccettabile.

Ripetendo sempre gli stessi passi come un automa, lo stesso ritornello come un cantante che conosce una sola canzone, Berlusconi appare incapace di dire quelle parole di verità che lo toglierebbero d’impaccio. Non può dirle, come è sempre più chiaro. La sua vita, e chi ne è stato testimone, non gli consente di dirle. È questo il macigno che oggi il capo del governo si porta sulle spalle. Non riuscirà a liberarsene mentendo. Non sempre la menzogna è più plausibile della realtà. Soprattutto quando un Paese desidera e si aspetta di sentire la verità su chi (e da chi) lo governa.

°°° L’unico commento che posso fare, a questa riflessione lucidissima, è: Caro Silvio, chi troppo in alto sal cade sovente precipitevolissimevolmente. Lo vedi che brutta fine ha fatto Icaro, per essersi esposto troppo al Sole senza la giusta crema protettiva?

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Gli schiaffi di Bersani

Politica (da Repubblica.it)


Bersani, ecco le domande che nessuno fa mai alla destra

di Bianca Di Giovanni

«E’ un governo più impegnato ad accrescere consensi che a risolvere i problemi veri. Passa per il governo del fare? Certo, nessuno pone le domande giuste e nessuno pretende risposte vere». Pier Luigi Bersani dà un giudizio senza appello sul primo anno del governo Berlusconi quater. Detto in due parole: racconta favole. Evidentemente, però, le racconta bene, visto che la popolarità è in aumento (dicono). «Certo, questo è un governo nato per accrescere consenso: è la sua prima missione», spiega Bersani.

Quali sono le domande non fatte?

«Per esempio nessuno ha chiesto a Giulio Tremonti e colleghi come mai l’Europa parla di un milione di disoccupati in più in Italia per quest’anno (nelle previsioni di primavera, ndr) che non compaiono nella sua Relazione unificata. Gran parte di quei nuovi disoccupati è costituita da precari, a cui non è stato dato nulla. Altro che governo del fare. Nella stessa Relazione si stima che gli investimenti diminuiranno di 5 miliardi in un anno. E tutte le chiacchiere sulle infrastrutture e le promesse sul Ponte?».

Altre domande?

«Ci aspettiamo qualche risposta per esempio sulle garanzie date dal Tesoro sull’operazione Alitalia, in cui sono rimasti intrappolati piccoli azionisti e obbligazionisti che ora si ritrovano con un pugno di mosche in mano. Ancora: c’è qualcuno che ricordi a Tremonti che abbiamo speso 1,7 miliardi per coprire i “buchi” delle sue cartolarizzazioni? È più di quanto è costato il bonus famiglie. E qualcun altro che rammenti le perdite della finanza locale, avviata grazie a una circolare del Tesoro dell’altro governo Berlusconi? Nessuno ricorda nulla. D’altro canto questo governo è una macchina del consenso, per cui bisogna ogni giorno attivare un meccanismo di rappresentazione di nuove “conquiste”, che poi si perdono».

Cosa si è perso?

«Dov’è finito il maestro unico, su cui si scatenò all’inizio una guerra di religione? Dov’è l’esercito nelle strade? Dove sono i Tremonti bond? Lo sa la gente che li ha richiesti solo in una banca, il banco popolare? Cosa fanno esattamente i prefetti sul credito? Nessuno lo sa e nessuno vuole saperlo».

Insomma, con la crisi che morde, i problemi sociali, gli italiani crederebbero alle favole?

«Dopo gli ultimi fatti di cronaca su Veronica, consentitemi di dire che ci raccontano cose inverosimili e vogliono farcele credere. Non voglio parlare di divorzi, ma si sentono delle tesi sulle feste, l’arrivo all’ultimo minuto, il gioiello ritrovato per caso, che in altri paesi ci si vergognerebbe pure a raccontarle».

Resta il fatto che di fronte alla crisi (che è reale) il centrodestra non perde consensi.

«La loro tesi è che la crisi viene da altrove, che noi siamo solo delle vittime e dobbiamo resistere e dunque che non si può fare molto. Su questo comunque io andrei a contare i voti reali dopo le elezioni. Se si fa questo esercizio ci si accorge che Berlusconi non ha mai sfondato nell’altro campo. Quello che è riuscito a fare è rendere utilizzabile tutto il voto di destra del paese. Quando il centrosinistra si è unito, è riuscito a batterlo, ma poi si è visto che l’unità era una composizione piuttosto che una sintesi. Questo è il problema».

Non c’entra nulla la poca credibilità dell’opposizione?

«Anche noi ci abbiamo messo del nostro, rimanendo poco credibili sul come si costruisce un’alternativa. Dobbiamo lavorare a costruire e rilanciare un progetto».

Lei è ancora candidato alla segreteria?

«Su questo ho già parlato e non voglio aggiungere altro. Ora pensiamo alle elezioni, poi si vedrà».

Sul centrosinistra resta forte l’accusa di non saper leggere la realtà. Il Corsera scrive che ha bisogno di alfabetizzarsi per parlare alle partite Iva e alle piccole imprese.

«Le piccole imprese sono arrabbiatissime anche con la destra, che non le aiuta a superare la crisi. Mi pare che lo scriva proprio il Corsera. Dunque non mi pare che sia un fatto di alfabetizzazione. La verità è quella che il centrosinistra ripete ormai da mesi: noi siamo l’unico Paese che non ha fatto nulla di espansivo per fronteggiare l’emergenza, ma si è limitato a spostare fondi da una voce all’altra, per di più senza avere la cassa. Si impacchettano nuove voci di spesa, per l’Abruzzo o per la sicurezza, ma in cassa non c’è un euro».

Le preoccupazioni di Tremonti per il debito sono sacrosante.

«E lo dice a noi che abbiamo sempre rimediato al debito della destra? Ma correggere il debito vuol dire anche far crescere il Pil».

Questo lo dicevano loro quando facevano ancora i liberisti.

«Sì, ma loro giocavano con i numeri. Spargevano ottimismo e scrivevano una crescita del 3% quando il Pil era a 1. Noi proponiamo misure concrete per un punto di Pil e un percorso di rientro in due anni. Se non si sa come reperire mezzo punto di Pil in un anno, significa che non si sa governare. Il governo Prodi ha corretto il deficit dal 4,5% al 2,7% erogando anche il cuneo fiscale. Per rientrare di mezzo punto basta diminuire la circolazione del contante rendendo tracciabili i pagamenti e controllare meglio la spesa corrente».

Perché il centrosinistra ha proposto il prelievo sull’Irpef dei ricchi (che sono più poveri comunque degli evasori) e nulla sulle rendite?

«La proposta era di un contributo straordinario per la povertà estrema, e prevedeva anche misure contro l’evasione. Quanto alle rendite, abbiamo contrastato la seconda operazione Ici, dicendo chiaramente che non andava fatta».

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Radio Cagliari

Dunque, negli anni ’70 facevo dei programmi alla Rai regionale per la Sardegna. Prima col mio caro amico Giovanni Sanna e poi da solo o col mio fido Pierangelo Filigheddu. Facevamo delle gag così carine, che molte vengono riciclate ancora oggi. Spesso, arrivavo molto presto e andavo a sfruculiare i giornalisti, l’amico Antonio Capitta si ricorderà quello stanzone della redazione e quei personaggi. Un giorno, dopo aver rotto le palle a Mario Guerrini, che commentava la boxe su Raidue (lo facevo sempre arrabbiare perché – essendo io ex pugile novizio e grande appassionato della noble art – gli mortificavo sempre le sue telecronache piene di errori… ad esempio: tutti vedevamo benissimo un diretto sinistro, ma per lui era un montante destro. Io mi segnavo gli svarioni durante la diretta e il giorno dopo andavo a rompergli i coglioni, con gran divertimento di tutta la redazione). Dunque, dopo aver adempiuto al mio dovere di scassacazzi, mi mettevo a sbirciare sulle varie scrivanie per conoscere le ultime novità della cronaca. Magari ci trovavo qualche spunto per il mio programma. Leggi qui e leggi là, pagine già pronte per il Gazzettino sardo che sarebbe andato in onda da lì a mezz’ora, ti becco una notizia con “qual’è”… “Ma chi è lo scienziato che ha scritto questo pezzo?” chiedo, sventolando il foglio. Irrompe il redattore capo (credo) Dino Sanna, fratello di Giovanni… (che essendo il più colto della famiglia faceva solo il collaboratore esterno e non credo che venne mai assunto), mi strappa il foglio dalle mani e mi rimprovera per il mio vizio di non farmi mai gli affaracci miei. “Tu non ci dovresti nemmeno entrare in redazione. Cosa c’è qui che ti fa ridere?” Gli faccio notare che loro sono tutti dottori, tutti laureati, tutti giornalisti, ma… “qual è” si scrive senza aportrofo. Part un coro generale di “Ma smettila!” “Ma che cazzo stai dicendo?!” Io me la rido e dico: “Ok. Scommettiamo una cena a testa a base di frutti di mare?” Silenzio. Loro lo sapevano che avevo solamente la terza media, ma studiavo come un ossesso di tutto e che, probabilmente, sapevo scrivere molto meglio di loro. A dire la verità, mi vanto spesso anche della mia specializzazione in ginecologia… mi mancavano appena 18 anni alla laurea.
Fattostà che entra Giovanni e si schiera dalla mia parte, ovviamente. Suo fatello dibatte un po, ma essendo anche lui perfettamente a conoscenza del fatto che Giovanni era ed è molto più colto… si arrende. Faccio questo quadretto solo per dirvi del clima, tutt’altro che asettico, che si respirava allora alla Rai. Una grande famiglia. Oggi se lo sognano. Vabbeh, tocca a noi. Arriva Filigheddu, con la fida chitarra, e ci sdiamo in studio. Mentre i tecnici si danno da fare con microfoni, effetti e volumi, metto il mio partner al corrente delle nuove gag. Gli passo la sua copia del testo e partiamo. Tutto in diretta. Telefono aperto. Io faccio il mio fervorino introduttivo sull’immondezza che ho trovato nel fine settimana a La Maddalena e a Caprera e poi si parte coi personaggi. Facevo Felice Pillittu, un campidanese ignorante come molti sindaci e assessori di oggi; Cualbu, un astuto nuorese scarpe grosse e cervello fino; un personaggio cagliaritano (di cui non ricordo il nome) molto coatto e cazzaro. Poi intervistavo l’ospite musicale: Elton John, Frank Sinatra, ecc. che faceva sempre Filigheddu, ottimo cantante e con grande padronanza della lingua inglese. Insomma, il programma si dipana e scorre a meraviglia, quando mi informano dalla regia che c’è il sindaco di La Maddalena in linea e che è piuttosto incazzato. Lo annuncio e stento a restare serio davanti alle smorfie di Filigo. Il sindaco si presenta con fare austero, tipo il sindaco-sceriffo gentilini per capirci, e mi “diffida” dal dare notizie false sulla pulizia della Maddalena e di Caprera. Io, con calma, gli faccio notare che non ho detto nulla di falso e che mi fa piacere che lui si dimostri partecipe, telefonando a una trasmissione di grande ascolto come la nostra. Mi interrompe arrogantemente e sbraita che la Maddalena e Caprera sono zone di grande afflusso turistico e che quindi magari sono stati i turisti sporcaccioni e incivili a lordare le spiagge. A quel punto mi girano le balle e prendo in mano la situazione, gentilmente ma fermamente:
“Caro sindaco, gli faccio, ha perfettamente ragione. Le chiedo scusa a nome mio e a nome di tutta la Rai. In effetti, sabato scorso, quando sono venuto a Madalena per trovare degli amici torinesi, ho notato benissimo molti turisti – specialmente sul traghetto – che nascondevano sotto le canotte e sotto le gonnelline delle signore: lavatrici rotte, montagne di buste di spazzatura, gomme d’auto usate, bici vecchie e motorini a pezzi. Ma non basta, caro sindaco, uno aveva addirittura una 500 L carbonizzata sotto l’ascella destra e l’ho visto coi miei occhi parcheggiarla a bordo strada, nel bel mezzo di una curva a gomito!”
Lui sbraitava fonemi incomprensibili, ma il nostro fonico aveva puntualmente abbassato il volume del suo telefono.
“Infine, caro sindaco, ho percorso chilometri sugli scogli di Caprera. Ci sono tante di quelle bottiglie di birra che, se le fa recuperare e le vende al riciclaggio, potrebbe addirittura illuminare le strade e rendere percorribili quelle con i buchi e le voragini. E lei vorrebbe fare turismo con uno dei posti più belli del mondo che è ridotto peggio di Beirut DOPO UN BOMBARDAMENTO A TAPPETO? Ma mi faccia il piacere. Si vergogni! Anzi, se ha un po’ di amor proprio e di dignità, si dimetta!”
Il tipo sbatte giù il telefono. Ma dopo una settimana si è dimesso lui e tutta la giunta. Quando la radio era servizio pubblico.
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IMBARAZZANTE

Sondaggio, Berlusconi in calo
Giù il governo, risale il Pd
Rilevamento mensile di Ipr Marketing sulla fiducia. Il premier perde 3 punti ed è al 52% di “fiduciosi” (a ottobre era al 62%). L’esecutivo a quota 44%. Partiti: stabili Pdl e Udc, i democratici recuperano 4 punti (dal 29 al 33%). Ministri: bene Maroni e Bossi (+5)
sylvio

°°° Oh! Finalmente Mafiolo sarà contento. Ancora pochi giorni fa diceva di essere a disagio per il suo imbarazzante consenso che, a dire suo e dei suoi pappagallini, era stabile all’82%… beh, ora può cominciare a respirare. Dopo aver riempito le nostre finanze di buchi e i conti pubblici di voragini, adesso comincia ad essere valutato per quel che è: un povero cazzaro, ladro e pasticcione.

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