Eccone un’altra

Bari, parla il trans: “Patrizia mi disse:
o Silvio mi aiuta o lancio la bomba”

Patrizia D’Addario posa insieme a Manila Gorio

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Manila Gorio, amica della D’Addario:
«Riferirò al pm del ricatto al premier»

GRAZIA LONGO (La Stamoa)
BARI
E’ stata eletta «Miss Trans» e si vede. Sorriso smagliante, occhi verdi, fisico da sballo, Manila Gorio, da 10 anni amica del cuore di Patrizia D’Addario è impegnata su una spiaggia di Trani (poco distante da Bari) a coordinare un gruppo di belle ragazze per il suo reality su Teleregione. In mezzo a queste aspiranti showgirls in passato c’era anche Barbara Montereale, ospite del premier Berlusconi sia a Palazzo Grazioli sia a Villa Certosa. «Ma solo come accompagnatrice, a Patrizia gliel’ho presentata proprio io. E sempre io ho messo in contatto altre ragazze immagine con Nicola D., detto Nick o Fashion, che poi le portava da Giampaolo Tarantini. Giampi si affidava un sacco a Fashion (il quale, secondo indiscrezioni giudiziarie sta per ricevere un avviso di garanzia per detenzione di sostanze stupefacenti a fine di spaccio, ndr)».

Patrizia le ha raccontato della notte trascorsa a Roma nella camera da letto del premier a Palazzo Grazioli?
«Certo che sì. Siamo, anzi è meglio dire eravamo, amiche come sorelle. Ognuna conosce i segreti dell’altra. E posso dire che Patrizia non ha ancora detto tutta la verità».

E che cosa secondo lei avrebbe omesso di dire quando è stata interrogata?

«La molla che ha scatenato tutto sto’ pandemonio intorno a Berlusconi. Perché è vero che lei si è infilata nel suo letto per i 2 mila euro che le ha dato Tarantini. Altrettanto vero è che ha videoregistrato momenti di intimità col presidente del Consiglio. Lo ha fatto perché è furba e già a novembre, quando è stata Roma, pensava di poter sfruttare la situazione. Ma non è stata sua l’idea di denunciare la cosa alla Procura».

E’ convinta che gliel’ha suggerito qualcuno di rivolgersi alla magistratura?

«Non proprio: è stata direttamente lei a chiedere aiuto a dei politici pugliesi spiegando il materiale bomba che aveva tra le mani».

Questa confidenza gliel’ha fatta direttamente Patrizia?
«Mi ha raccontato tutto per fila e per segno. Io l’ho sconsigliata perché mi pareva una follia, ma lei non ha voluto darmi retta».

A chi si è rivolta? A politici di sinistra, avversari di Berlusconi?

«A questa domanda preferisco non rispondere».

E’ disponibile a raccontare quanto sa ai magistrati?

«In qualsiasi momento. Anzi, le dirò di più: non riesco a capire perché mai il pm Giuseppe Scelsi non mi abbia ancora contattata. Anche solo come persona informata dei fatti. I giornali hanno parlato più volte di me e dell’amicizia con Patrizia. Eppure niente. E allora io adesso lancio un appello. Posso?».

Prego.

«Dottor Scelsi mi interroghi, perché ho cose interessanti da raccontarle».

Lei crede che Patrizia D’Addario complotti con politici nemici del premier?

«Ripeto: lo dirò solo al giudice, ma Patrizia mi aveva annunciato che se Berlusconi non l’avesse aiutata per quella storia della licenza edilizia sul terreno dove vuole fare il Bed and Breakfast, sarebbe andata a parlare con alcuni esponenti politici».

Eppure Patrizia si è candidata con il Popolo della libertà.

«Avrà avuto i suoi motivi. Di sicuro non è una di destra e poi non ha fatto un minimo di campagna elettorale: ha preso solo 7 voti».

Manila, perché negli ultimi giorni ha maturato la decisione di farsi assistere da un legale?

«Voglio tutelarmi dalle sorprese di Patrizia. Lei sa che io so. E io ho paura. L’avvocato Michele Cianci (di fronte al quale si svolge questa intervista, ndr) mi assicura la protezione di cui ho bisogno. Anche perché sembra che il fatto che io possa screditare l’immagine di Patrizia dia molto fastidio».

Si riferisce a qualche episodio in particolare?

«Qualche giorno fa da Londra sono venuti due reporter del settimanale “News of the world”, di proprietà di Murdoch, grande rivale di Berlusconi. Mi hanno intervistato e fotografato per oltre due ore. Era presente un loro collega italiano, perché io l’inglese non lo parlo bene: mi hanno chiesto mille volte se ero stata anch’io ai festini a luci rosse da Berlusconi. Io ho detto di no, ho spiegato che Patrizia s’è decisa di fare il casino che ha fatto dopo aver parlato con qualcuno. E sa com’è finita?».

No, mi dica lei come è andata a finire la storia della sua intervista.

«Che non è uscita una riga. Persino l’avvocato Cianci c’è rimasto di sasso».

Le hanno chiesto anche dell’uso della cocaina?
«A voglia! Ma lo ribadisco anche a lei: Patrizia non ha mai sniffato e neppure ha visto gente sniffare da Berlusconi. Me lo ha detto lei in persona».

Le ha confessato di essersi divertita a Palazzo Grazioli?
«Macché divertita, lei è una escort professionista. Solo che ora è diventata famosa. Ancora più famosa di Noemi. Non ho ancora capito se si è montata la testa o se ha paura di me, ma da due settimane evita di parlare con me come se avessi la peste».

Crede davvero che sia possibile?
«Come no! Non mi risponde neppure più al cellulare».

°°° Ecco un’altra pronta a vendere l’amica e pure la mamma, pur di far carriera in questo squallido “mondo dello spettacolo”. Una pronta a tutto pur di sfondare e fare soldi e copertine, prima che la vecchiaia incombente se la porti via. Che tristezza…

IL PREMIER SI ALLENA PER IL G8

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La carfregna

Carfagna: «In Aula c’è di tutto ma si accaniscono sul premier»
Il ministro: «Fa il bene del Paese. Il resto sono affari suoi»

Gentile Direttore, trascorso un anno da un attacco mediati­co di inaudita volgarità a cui sono stata sot­toposta, sono qui a fare alcune considera­zioni su vicende che in questi giorni ci so­no state date in pasto con una morbosità e un’ossessività che ricordano molto quelle che hanno riguardato la sottoscritta.

Sono qui a dire la mia, se mi è consenti­to. Anche forte e fiera di un lavoro svolto, in soli dodici mesi, con impegno ed auten­tica passione in favore e a tutela dei sogget­ti più vulnerabili di questo Paese.

Qualcuno è ancora convinto che io, gio­vane donna che dalla tv è passata alla poli­tica con Berlusconi, non abbia il diritto di parlare, non abbia nulla di sensato ed intel­ligente da dire. Ed invece vorrei osare così tanto. Mi sia consentito. Lo faccio perché ho testa. E cuore. Ho testa né più né meno di tanti pseudo-intellettuali che si ergono pomposamente a maestri di vita e di scien­za, di etica e di morale, che parlano e stra­parlano giudicando tutto e tutti pretenden­do di essere i padroni assoluti del vero.

Certo, mi riconosco una buona dose di coraggio se sono qui, oso parlare e, di più, vorrei addirittura dare, sottovoce, ma molto sottovoce, un consiglio. Che è quello di fare un passo indietro, di ritorna­re al di qua di quel limite della decenza e del buon senso che è stato abbondante­mente superato.

Insinuazioni pesanti e volgari hanno ac­compagnato la mia scelta sciagurata. Quel­la di una giovane donna che, dopo una (a dire il vero) assai insignificante carriera in tv ha deciso di accettare la sfida di fare politica con il partito di Berlusconi. Atten­zione. Giovane donna, televisione, Berlu­sconi.

E qui casca l’asino!

Perché se cambiando l’ordine degli ad­dendi il risultato è lo stesso, sostituendo anche uno soltanto degli addendi il risulta­to sarebbe ben diverso e comporterebbe la legittimità dell’impegno politico.

Suvvia, siamo realisti.

Il Parlamento vede tra i suoi banchi alcu­ni uomini dalle assai dubbie capacità poli­tiche. Ma nessuno si sorprende. L’Aula di Montecitorio è stata frequentata da perso­naggi condannati per banda armata e con­corso in omicidio, facinorosi violenti, con­dannati per detenzione e fabbricazione di ordigni esplosivi, protagonisti di risse e di indecorosi episodi di cronaca.

Ma nessuno mai si è indignato.

Onorevoli che candidamente hanno am­messo di prostituirsi prima di approdare alla Camera, altri che, durante il loro incari­co, sono stati sorpresi a contrattare per strada prestazioni con transessuali.

Mai nessuno si è scandalizzato. Mai.

Allora viene un sospetto.

Che sia Berlusconi l’ingrediente indige­sto? Sì, è proprio così, Berlusconi indigna, scandalizza, inquieta.

Forse è arrivato il momento di mettere un freno a questa follia collettiva, a questo vizio malsano, che qualcuno tenta di fo­mentare, di guardare e giudicare la politi­ca dal buco della serratura, di giudicare le persone per l’aspetto estetico e per il lavo­ro, seppur onesto, che hanno fatto in pas­sato.

È assurdo, dopo anni di battaglie, è co­me tornare indietro quando i criteri seletti­vi per accedere alla politica erano il censo e il sesso.

Forse è proprio il caso di dire che si sta­va meglio quando si stava peggio!

Ed è sorprendente che le dichiarazioni e la persona dell’ex fidanzato di Noemi Leti­zia, condannato per rapina, secondo qual­cuno meritino più rispetto dell’impegno e della persona di una donna che ha l’unica colpa di aver lavorato in tv. Cosa è più gra­ve, mi domando, aver lavorato in tv o esse­re stato un rapinatore? Quanto tempo do­vrà passare ancora perché chi ha lavorato nel mondo dello spettacolo possa essere trattato almeno come un ex rapinatore o un ex detenuto?

Credo che si sia superato il limite del buon senso e tutti abbiamo responsabilità e doveri. A cominciare dalla politica che deve ispirarsi a criteri di rigore e di serie­tà. Quei criteri che hanno indirizzato l’atti­vità di un governo che ha risolto gravi emergenze e problemi quotidiani con tem­pestività ed efficacia, grazie ad un presi­dente del Consiglio che è riuscito non solo ad interpretare le speranze e i sogni degli Italiani, ma anche a tradurli in realtà. Que­sto, quello delle cose realizzate per il bene del Paese, è il terreno di confronto sul qua­le vogliamo misurarci e di cui deve rispon­dere agli italiani il presidente Berlusconi. Un leader mai prepotente o arrogante, con­sapevole di una innata capacità seduttiva che ha usato a fini di ricerca del consenso e non per scopi morbosi.

Un uomo leale, perbene e rispettoso.

Una persona di garbo e gentilezza, doti che qualcuno vorrebbe declassare a mera finzione e che invece sono autentiche. E, lasciatemi pure dire che, in un mondo po­polato da gran cafoni, sono qualità rare ed invidiabili. Il resto, tutto il resto, sincera­mente sono affari suoi. O, almeno, così do­vrebbe essere in un Paese «normale».

So che ho ben poca esperienza, ma cre­do di averne quanto basta per auspicare che l’Italia diventi un Paese «normale», do­ve chi fa politica viene giudicato per ciò che fa e chi governa per come governa. Per fare questo, però, c’è bisogno di uno sfor­zo di volontà da parte di tutti.

Forse è arrivato anche il momento che chi trascorre le sue giornate a criticare e a farci lezione, scenda dalla sua cattedra di cartapesta, si sporchi le mani con i pro­blemi veri e con le questioni che vera­mente interessano alla gente e dia il suo contributo alla crescita e allo sviluppo dell’Italia.

Qualcuno lo troverà più noioso, ma sa­rebbe sicuramente più proficuo.

Il Paese ne avrebbe un gran vantaggio. La qualità e il livello dell’attività politica, che qualcuno si diverte a far scadere verso il basso, ritroverebbero dignità e centralità.

Mara Carfagna, ministro per le Pari opportunità (Pdl)

°°° Non so chi abbia scritto queste minchiate sgrammaticate e ridicole alla carfregna, ma chiunque sia… fa veramente schifo come autore e come comunicatore. Ridicolo e patetico. Inoltre, è stata davvero ingenerosa la descrizione che dà di se stessa e di alcuni suoi compari di cosca. Anche se ha dimenticato altri reati commessi dal suo proprietario e da suoi soci, come l’appartenenza a cosa nostra, il riciclaggio, il ricatto, la strage, la corruzione, ecc. Forse per modestia, per umiltà. DE MINIMIS…

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Mafiolo, mavaffanculo!!!

Ecco i delinquenti che vengono con i barconi
di Mariagrazia Gerina e Cesare Buquicchio

Il presidente del consiglio Berlusconi dice che sui barconi che in queste ore vengono respinti dalla Marina italiana «ci sono persone reclutate in maniera scientifica dalle organizzazioni criminali», dice che pochissimi di loro «hanno i requisiti per chiedere il diritto d’asilo». Si sbaglia. Su quei barconi c’è stato Tedros, 30enne eritreo laureato ed incarcerato perché non allineato al partito al potere. Proprio ieri ha avuto i documenti da rifugiato politico. C’è stato Saied, adolescente afgano fuggito dalla guerra. C’è stata Aisha scappata dall’Eritrea e picchiata e violentata per mesi in un centro di detenzione in Libia. Ecco le loro storie.

TEDROS
Tedros T. ha 33 anni, è laureato in scienze sociali e nel suo paese, l’Eritrea, si occupava di educazione e assistenza alle persone disabili. È arrivato in Italia l’estate scorsa, il 30 luglio 2008, a bordo di una delle carrette del mare su cui secondo Berlusconi ci sarebbe solo «gente reclutata dai criminali». Sulla sua carretta erano in ventisei, uomini, donne e un bambino. Prima l’arrivo a Lamepdusa, poi il trasferimento nel centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Castelnuovo di Porto, alle porte di Roma. Proprio ieri il governo italiano gli ha consegnato i documenti che gli consentiranno di restare in Italia come rifugiato politico. Altri, arrivati con lui, stanno ancora attendendo di essere ascoltati dalla Commissione che esamina le richieste d’asilo.
Non esattamente un criminale. E nemmeno un sovversivo. Tedros, Tedy per gli amici, dopo la laurea, come il governo eritreo impone, si è iscritto al partito unico, il Pfdj che sta per «People front for Democracy and Justice»: «Il nome è buono, il resto meno ed è richiesta assoluta obbedienza ai dettami del partito», racconta Tedros, che ha scontato con 8 mesi di carcere l’essere stato giudicato, con un pretesto qualsiasi, non sufficientemente allineato. Uscito da lì, è iniziata la sua fuga. Sulle orme della moglie, che, in Italia dal 2004, lo aveva preceduto nel tragitto dall’Eritrea alla Libia a Lampedusa. Ora lei fa la colf a Genova, e anche lui, con i documenti in tasca, potrà cercare lavoro.

SAIED
Saied è partito dall’Afghanistan che aveva 9 anni e, tappa dopo tappa, ha percorso l’intera odissea dei ragazzi afghani in fuga dalla guerra. Aveva 18 anni Saied, quando, 2 anni fa, nascosto sotto un camion proveniente dalla Grecia, ha raggiunto la destinazione finale: Italia. Anzi, più precisamente: Roma. «Dalla stazione Termini, prendere il 175, scendere alla stazione Ostiense», recitavano con precisione le istruzioni. Pakistan, Turchia, Grecia. Ogni tappa un espediente per mettere da parte i soldi, pagare i trafficanti e proseguire il viaggio fino all’approdo finale, sulle panchine di piazzale Ostiense diventata ormai l’ambasciata on the road della diaspora afghana. Da lì, il passa-parola l’ha portato fino al Centro Astalli, il centro per rifugiati gestito dai gesuiti. Ora Saied, che, rifugiato politico, ha imparato l’italiano e studia per prendere la licenza media, fa il mediatore culturale, ha uno stipendio e da un paio di mesi vive in un appartamento.

AISHA
“Sono scappata dall’Eritrea perché non volevo essere reclutata nell’esercito e mandata nella guerra senza fine contro l’Etiopia. I miei fratelli e sorelle erano nell’esercito e non sono mai più tornati a casa. – a raccontare questa storia è una donna eritrea, la chiameremo Aisha, lei l’ha raccontata a Medici Senza Frontiere in uno dei centri di detenzione per immigrati di Malta ed è raccolta nel rapporto “Not Criminals” -. In Libia sono stata messa in un centro di detenzione dove sono stata violentata e picchiata diverse volte. Sono stata trattata come una schiava dalle guardie e dai soldati. Sono stata una schiava per due anni e non avevo possibilità di fuga – spiega Aisha –. Quando mi sono imbarcata speravo di diventare libera. Poi quando sono stata rinchiusa in un centro di detenzione a Malta ho perso la speranza e ho avuto problemi cardiaci e gastrici. I ricordi delle violenze e delle botte sono riaffiorati ed è stato difficile stare in quel posto con tante altre persone”.

IKE
“Ero un insegnante di matematica – racconta ancora Ike, somalo, nel rapporto “Not Criminals” –. Tre dei miei colleghi sono stati uccisi, la mia scuola è stata chiusa e ho perso il mio lavoro. Sono scappato dalla Somalia perché la mia casa non era più sicura, una mina è esplosa vicino alla mia casa e mi ha ferito. Altrimenti sarei restato, non sarei arrivato qui”.

TITTY
Titty è giovanissima, ha 21 anni ed è un disertore. In Eritrea anche le donne sono costrette ad arruolarsi e mentre indossano la divisa spesso sono costrette a subire violenza sessuale da parte dei militari uomini. Da tutto questo Titty è fuggita, a bordo di un camion stracarico ha varcato il deserto. Eritrea, Sudan, Libia. E da lì è salpata per l’ultimo viaggio, a bordo di una delle carrette che Berlusconi vuole respingere perché piene di «gente reclutata da criminali». Titty che non si è fatta reclutare nemmeno dall’esercito eritreo a Lampedusa è sbarcata un anno fa. In questi dodici mesi ha imparato l’italiano, ha frequentato un corso per operatore socio-assistenziale, ha incontrato un ragazzo eritreo. Il governo italiano non le ha riconosciuto il diritto all’asilo ma le ha assicurato comunque una «protezione sussidiaria».

SAMA

“Ho attraversato il deserto per sfuggire alla violenza della Somalia e ho raggiunto Tripoli quando la mia gravidanza era quasi al termine – racconta Sama anche lei in fuga dalla guerra e in cerca di un futuro per sua figlia –. Il giorno della mia partenza ho comprato un paio di forbici nuove e le ho custodite con cura. Volevo che restassero pulite. Mia figlia è nata il primo giorno di barca. Un uomo e una donna mi hanno assistita durante il parto: lui mi bloccava le braccia; lei ha tagliato il cordone ombelicale con le mie nuovissime forbici. Eravamo in 77 su quella barca, eravamo talmente schiacciati che non riuscivamo nemmeno a muoverci. I giorni successivi il mare era agitato. L’uomo e la donna si tenevano stretti a me e io stringevo forte a me mia figlia, temevo potesse finire in mare. Nei quattro giorni successivi abbiamo sofferto molto per la mancanza di cibo e acqua, anche mia figlia perché il mio seno era stato asciugato dalla paura e la fame”.

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