Camilleri Vs legaioli ignoranti

Camilleri, il dialetto non esiste

di Federica Fantozzi (l’Unità)

Andrea Camilleri, autore di romanzi polizieschi che hanno per protagonista il fascinoso commissario Montalbano di Vigata, ha al suo attivo una piccola grande vittoria. Ha patrocinato la rinascita del dialetto siciliano, sparso a piene mani tra le sue pagine e sbarcato così, un po’ di soppiatto e talvolta controvoglia, nella testa dei lettori. Compresi quelli (tanti) del Lombardo Veneto.

Camilleri, la Lega rilancia il suo chiodo fisso: dialetto a scuola, nella toponomastica, nelle etichette alimentari, nei sottotitoli delle fiction tv…
«Il dialetto non è solo importante, è la linfa vitale della nostra lingua italiana. Ma in sé e per sé non ha senso, se non è dentro la lingua. Soprattutto l’insegnamento del dialetto a scuola è una proposta insensata. Vede, il rischio in Italia era la perdita del dialetto. Ma non si può andare all’opposto ed eleggere il dialetto a lingua».

Qual è il rischio che si corre? L’isolamento? La frammentazione?
«Il dialetto non esiste. Esistono, come diceva Pirandello, le parlate. In Sicilia ce ne sono tante quante sono le città, e il catanese è diverso dall’agrigentino che è diverso dal palermitano. Quando scrissi La mossa del cavallo mi feci aiutare da un genovese per tradurre il suo dialetto. Eppure i genovesi mi scrissero per precisare: è quello di una zona particolare di Genova».

Allora chi ha imparato un po’ di siciliano, dal «pirtuso» al «picciriddro», sui suoi romanzi, cosa ha imparato in realtà?
«Una parlata che senza dubbio arricchisce il linguaggio e la comunicazione. Ma il mio, tra l’altro, è siciliano fasullo».

Insomma, non bisogna invertire la gerarchia dei fatti?
«È bene conservare e studiare i dialetti, ma una lingua va avanti perché riceve parole, immagini e suoni dalla periferia verso il centro. Altrimenti è l’italiano che muore. O diventa colonia, come già è per i termini inglesi o troppo tecnici che nessuno capisce».

Quella della Lega è una boutade, una regressione o un campanello d’allarme?
«Per me è un campanello d’allarme. Non va presa come semplice boutade. Con Berlusconi prono, pronto a esaudire il 90% dei desideri di Bossi, questi da ridicoli diventano pericolosi. Nelle classi vogliono il ritorno a prima dell’epoca dei Comuni, una marcia indietro nei secoli? Benissimo. Ma è un’idiozia totale».

Quindi, è d’accordo con il professor Asor Rosa: senza la cornice della lingua nazionale i dialetti diventano folklore, un impoverimento e un ritorno al passato?
«Ma certo. È un errore gravissimo contrapporli».

Al di là delle invenzioni letterarie, funzionerebbe un mondo totalmente «localistico» dove ogni rione parla a modo suo? «Figuriamoci. E poi servirebbe il passaporto per passare da Prati a Trastevere. Ma via. Che questo dibattito nasca in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia lo trovo repellente. L’unità italiana ha mille difetti ma eliminarli tornando indietro è follia pura».

Zaia ribatte che l’artigiano napoletano che vende corallo in Thailandia non deve perdere la sua lingua materna né vergognarsene, e scuola e istituzioni hanno il dovere di aiutarlo.
«Mi sfuggono i termini del ragionamento. L’artigiano deve vendere i suoi prodotti in italiano altrimenti i clienti non lo capiscono. Il terreno comune d’intesa è l’italiano, come è la Costituzione. Nella Carta non c’è scritto che l’italiano è la lingua ufficiale perché è naturale, ovvio, elementare».

Cosa resta allora della sua Sicilia? E come si tramanda?
«I dialetti sono parlate familiari. Si conservano attraverso l’uso quotidiano. Ma non si possono in alcun modo imporre».

Zaia propone di usare per i prodotti alimentari locali, accanto all’appellativo in italiano anche quello originario. Così le pietanze che Adelina prepara per il commissario Montalbano potrebbero avere la doppia etichetta: «purpo» accanto a polpo, «pasta ‘ncasciata» accanto a pasta al forno, «passuluna» per olive nere. Che ne pensa?

«Certo. Proporrei di etichettare i politici che fanno queste proposte. Luogo di provenienza, titolo di studio e denominazione locale».


LEGAIOLI

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Papi, Cicci, Giampi, Lillo e Lalla

Yacht, donne e politica. Il mondo di «Cicci»
di Federica Fantozzi

Chi sono le ragazze sul Magnum di Berlusconi in procinto di trascorrere lo scorso Ferragosto a Villa Certosa? È caccia ai nomi delle foto pubblicate dall’”Espresso”. “Dagospia” soffia sulle Papi-girls riprendendo l’articolo di Marco Lillo e Peter Gomez: «Due future stelline di reality, un’aspirante giornalista Mediaset, una giovane promessa PdL».

Quest’ultima, in camicetta bianca, somiglia molto alla neo-europarlamentare Licia Ronzulli. Lei, in partenza per Bruxelles, ha fretta: «Non ho tempo di rispondere alle sue domande». Ma dov’era a Ferragosto? «Arrivederci». Poi viene identificata Siria, concorrente saffica dell’ultimo Grande Fratello: «Non rilascio dichiarazioni – replica – Parli con Endemol». Smentisce invece di essere a bordo Susanna Petrone, da settembre conduttrice di “Guida al campionato” e in lizza per sostituire la Hunziker a Zelig.

È l’ultimo capitolo di una vicenda mediatica cominciata con il corso di politica “pret-à-porter” a via dell’Umiltà. E le studentesse – “starlet” di belle speranze, avvenenti dirigenti locali e fanciulle di ottima famiglia – falcidiate dall’ira coniugale. In un frullatore di gelosie incrociate, polpette avvelenate, registrazioni vere o presunte, rivelazioni clamorose e bocche cucite. Vedi la stanza di Arcore da cui “Papi Natale” attinge doni per le favorite, tra cui le chiavi di una mini nascoste in mazzi di rose. Anche se negli ultimi giorni qualcuna l’ha cambiata con un altro modello di auto perché da “status symbol” si va trasformando in carta d’identità. Certo, scrive Filippo Ceccarelli, «fra letterine, meteorine, gossipine, farfalline, gemelline, pare, anche montenegrine, e api regine, non ci si capisce più niente».

MI MANDA CICCI
«E come sta Cicci?» «Bene, magari è al governo». A “Tetris” era diventato un tormentone: se vogliamo una valletta – si erano detti gli autori del programma condotto da Luca Telese all’epoca su RaiSat Extra – deve essere una vera raccomandata. Detto fatto, avevano chiesto al direttore di rete che aveva chiesto al presidente di Raisat… e lei era sbucata fuori. Adriana Verdirosi: bella, bruna, spigliata, raccomandata da Cicci, entità misteriosa e mai svelata. Un ministro? «Chissà». È giovane? «Dentro sì». Sposato? «Non voglio saperlo». La sorpresa è arrivata quando hanno letto il suo nome tra le partecipanti al corso. «L’abbiamo invitata a fare campagna elettorale – rievoca Telese – Ha accettato. Poi, due giorni dopo, l’attacco di Veronica sul “ciarpame senza pudore” e non ha più risposto al telefono».

CUORI INFRANTI
Quelle che alle 16 erano in lista e alle 18 non più. Emanuela Romano, 28enne napoletana, alta e bruna, psicologa con master in marketing a Publitalia, impegnata nel comitato “Silvio ci manchi” è stata depennata nonostante il padre Cesare, artigiano di presepi, abbia minacciato di darsi fuoco sotto Palazzo Grazioli: «È tutto ricomposto – dice ora – Io sono un militante. Mi ero solo risentito per lo sgarbo». Come lei la 25enne Chiara Sgarbossa, ex miss Veneto ed ex meteorina di Emilio Fede, furibonda per l’inutilità delle pacche sulle spalle ricevute da La Russa al corso. E così racconta l’antefatto: «Avevo il contatto diretto con Marinella, la segretaria di Berlusconi. Una settimana dopo lui mi ha telefonato di persona, mi ha fatto tre domande. Sei laureata? Sì. Sai le lingue? Sì. Ci sono foto nude di te? No. Manda tutto a Marinella e vieni al corso».

CERCHI CONCENTRICI
Raccontano che nella piazza di Todi, avvistando da lontano due bionde che si sbracciavano il premier abbia gelato sindaco e consiglieri umbri: «Belle fighe circolano da queste parti». Imbarazzo: oltre che distanti, le signore erano anche “agées”. È il bis del «posso palpare l’assessora» all’Aquila, il sequel di infiniti comizi e passeggiate. A Berlusconi piacciono le donne, come ad altri 50 milioni di italiani, dice chi lo difende. Si dibatte su: galanteria, voyerismo, satiriasi, priapismo indotto da pillole azzurrine o iniezioni.

Di certo, oltre a migliaia di fortunate che possono vantare complimenti, compresa la finlandese Tarja Halonen, esiste un più ristretto gruppo che frequenta Villa Certosa e Palazzo Grazioli. Dove il tavolo è sempre apparecchiato per 50. Ed esiste un cerchio ancora più riservato: quelle che vantano (o millantano) con il premier frequentazioni private, notti a palazzo, incontri ravvicinati. Come Evelina Manna, che in un’intercettazione lo rimprovera: «Non essere freddo con me».

L’ASSE PUGLIESE
E come Patrizia D’Addario, ex candidata alle Comunali di Bari ed escort d’alto bordo. Pugliese come Angela Sozio, la “rossa” delle sexy saune del GF riapparsa al congresso fondativo del PdL; come la neo-eurodeputata Angela Matera, e come Elvira Savino, la Tacco 12 di Montecitorio, coinquilina della somma reclutatrice Sabina Began.

La D’Addario però è una professionista, come le colleghe interrogate dai pm baresi: smistate da «Giampi», pagate migliaia di euro a notte. Non le uniche, forse, nel mucchio procace che ha trascorso Capodanni ed estati sarde rimborsate con diaria di 1500 euro più shopping libero. Un bel salto di qualità rispetto al borsello in cui uno degli assistenti di Berlusconi raccoglie, in ogni occasione pubblica, biglietti da visita e numeri di telefono delle fans adoranti.

°°° L’Italietta di burlesquoni ormai è un vero troiaio. L’avevo detto in tempi non sospetti che l’Italia in mano a “Papi” sarebbe andata a puttane…

°°° rita-carla

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POMPA A VILLA CERTOSA

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