Altre porcate del gangster Berlusconi

Rai, ecco il piano segreto del governo

“Via tutto dal satellite di Murdoch”

Dietro alla trattativa fallita c’è un nuovo capitolo della guerra con Sky. Pronta la revisione del contratto di servizio. L’emittente pubblica perde 57 milioni che non figurano, però, nel budget.

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Pacco dono

per Mediaset

di GIOVANNI VALENTINI (Repubblica)

Stupito, irritato, amareggiato. Il , ha tutto il diritto di esprimere la propria delusione sulla “rottura annunciata” fra la Rai e Sky che priverà l’azienda pubblica di un ricavo di oltre cinquanta milioni di euro all’anno, in seguito al trasferimento dei canali Raisat su una nuova piattaforma satellitare. E in particolare, ha ragione Giorgio Napolitano a lamentarsi delle modalità con cui è maturato il fallimento della trattativa: una decisione per così dire unilaterale che la direzione generale ha praticamente imposto – come un diktat – a tutto il Consiglio di amministrazione.

In quanto custode e garante della Costituzione, il presidente della Repubblica non può evidentemente disinteressarsi di quel servizio pubblico su cui s’imperniano nel nostro Paese principi fondamentali come il pluralismo e la libertà d’informazione, sanciti solennemente dall’articolo 21. Anzi, con tutto il rispetto che si deve alla sua figura e alla sua persona, è lecito pensare che un intervento più tempestivo sarebbe valso forse a impedire o magari a prevenire un tale esito.

Danno emergente e lucro cessante, avevamo avvertito su questo giornale nelle settimane scorse, mentre già si preparava la rottura. Danno emergente: perché il prossimo bilancio della Rai s’impoverirà di questa cospicua entrata finanziaria e staremo a vedere che cosa avrà da eccepire in proposito la Corte dei Conti. Lucro cessante: perché, oltre a perdere l’audience e quindi la pubblicità raccolta attraverso la pay-tv, ora l’azienda di viale Mazzini dovrà sostenere “pro quota” l’onere della nuova piattaforma di Tivùsat. E tutto ciò, in buona sostanza, per fare un favore o un regalo a Mediaset nella sfida della concorrenza con Sky, come ha riconosciuto – tardivamente – perfino il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Sergio Zavoli.

Si dà il caso, così, che l’ex segretario generale della presidenza del Consiglio, appena trasferito alla direzione della televisione pubblica, non trovi di meglio che confezionare subito un pacco-dono per l’azienda televisiva privata che fa capo allo stesso presidente del Consiglio. Un voto di scambio o una partita di giro, si potrebbe anche dire. Naturalmente, a spese del cittadino contribuente, telespettatore e abbonato alla Rai. Come già a suo carico era stata la multa di oltre 14 milioni di euro inflitta dall’Autorità sulle comunicazioni a viale Mazzini per la nomina dell’ex direttore generale, Alfredo Meocci, insediato alla guida dell’azienda dal centrodestra nonostante la palese incompatibilità con il precedente mandato di commissario nella medesima Authority.

Con buona pace del presidente Garimberti e dei consiglieri di minoranza, siamo dunque alla definitiva subordinazione della Rai agli interessi e alle convenienze di Mediaset. Un’azienda di Stato, la più grande azienda culturale del Paese, che via via si trasforma in una filiale, una succursale, una dépendance del Biscione. Già omologata al ribasso sul modello della tv commerciale, quella della volgarità e della violenza, delle veline e dei reality fasulli, adesso la tv pubblica si allea e si associa con il suo principale concorrente sotto il cielo tecnologico della tv satellitare.

Sarà verosimilmente proprio di fronte a questo scempio che il centrosinistra, risvegliandosi da un lungo e ingiustificabile letargo, s’è deciso finalmente a riproporre con forza la questione irrisolta del conflitto d’interessi: prima, con una dichiarazione di guerra del segretario reggente del Pd, Dario Franceschini, il quale ha annunciato bellicosamente che su questa materia (e speriamo anche su altre) il suo partito non resterà più fermo e silente; poi, addirittura, con una proposta di legge presentata da Walter Veltroni e sottoscritta da tutte le opposizioni, sostenuta dal contributo di un esperto costituzionalista come l’ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria. Meglio tardi che mai, dobbiamo ripetere. Ma che cosa avevano fatto nel frattempo Veltroni e Franceschini per risolvere l’anomalia di un presidente del Consiglio che controlla direttamente tre reti televisive private e indirettamente anche le tre reti pubbliche? E pensare che c’è ancora qualche illustre professore che esorta il Pd a emanciparsi dall’influenza di “alcuni giornali” (quanti e quali?), mentre una maggioranza di governo condiziona impunemente giornali, telegiornali e giornali radio.
Nel regno del conflitto d’interessi, la rottura fra la Rai e Sky diventa la prova regina di un’occupazione “manu militari” di tutto il sistema dell’informazione. Un attentato al pluralismo, alla libertà d’opinione. E anche questa, purtroppo, si rischia di apprezzarla solo quando la si perde.

°°°Non c ‘è nulla da commentare, se non che questa è l’ennesima dimostrazione di forza di un regime alla fine dei suoi giorni. Un delinquente che ha preso in mano i , con la frode e con l’inganno, dopo essersi salvato il culo dalla galera per i mille reati efferati commessi, ora spera solo di continuare a rincoglionire i cittadini con le solite bugie. E quale mezzo migliore che la televisione becera e asservita che la mafia e la P2 hanno voluto e ottenuto?

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

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Ricevo e pubblico

CIAO LUCIO TI PASSO QUESTA E-MAIL, HO PENSATO TI POSSA INTERESSARE, ALMENO PER FARLA GIRARE, L’ARGOMENTO É IMPORTANTE E CI PUÓ INTERESSRE TUTTI DA MOLTO VICINO, CIAO A PRESTO -BAROLE-

Innanzitutto volevo ringraziarti di cuore per aver contribuito alla raccolta delle firme on-line della nostra petizione “Non abbiamo bisogno del nucleare”.
Anche grazie a te abbiamo abbondantemente superato quota 30.000 firme!

Ti scrivo per invitarti a seguire un appuntamento legato alla nostra petizione: mercoledì 24 giugno alle ore 21.30 in diretta da Torino sulla web tv di Per il Bene Comune (www.livestream.com/perilbenecomune) Monia Benini intervisterà il prof. Luigi Sertorio. Ecofisico, formatosi con Amaldi, Sertorio è stato per lungo tempo a Los Alamos negli Stati Uniti, ha approfondito gli studi del reattore francese di ultima generazione (Superphoenix) e ha lavorato per tre anni per la NATO. Durante l’iniziativa (che attraverso la chat potrà essere interattiva), il Professore spiegherà le ragioni per le quali è possibile parlare di inganno nucleare per l’Italia.

Per dare ancora più forza alla nostra voce vogliamo accompagnare queste firme virtuali con altrettante decine di migliaia di firme cartacee. Per questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti.
Per le strade di tutta Italia abbiamo organizzato e continuiamo ad organizzare banchetti per la raccolta delle firme. Se vuoi puoi aiutarci scendendo per strada insieme a noi o facendo firmare parenti, amici e conoscenti.
Scrivimi a questo indirizzo e ti farò sapere se sono previsti punti di raccolta nella tua zona.
Puoi scaricare i moduli per le firme sulla pagina del nostro sito, dove hai aderito alla petizione:
http://www.perilbenecomune.org/index.php?mod=petition
I moduli firmati vanno inviati alla sede centrale del movimento:

Per il Bene Comune
P.le della Stazione, 15
44100 – Ferrara (FE)

A presto

Sergio Mazzanti
postmaster Per il Bene Comune

berlusconiappalti1

accordo-sul-nucleare

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riecco il cazzaro: ennesima truffa

L’Aquila e il decreto abracadabra
E’ stato ribattezzato “decreto abracadabra” per le innumerevoli devianze creative con le quali accompagna il processo di ricostruzione dell’Aquila e dei paesini circostanti. La luna di miele tra gli abruzzesi e Silvio Berlusconi ha subito una prima e significativa increspatura. La lettura approfondita del decreto legge, e la verifica che i soldi all’Abruzzo in gran parte (4,7 miliardi di euro) saranno racimolati dall’indizione di nuove lotterie, dagli interventi sul lotto, e dai sempreverdi provvedimenti anti-evasione, soldi veri niente, e che in più le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (da oggi al 2033) hanno creato fremiti di rabbia dapprima isolati e poi sempre più partecipati.

Il tam tam (“Berlusconi ci inganna!”) è iniziato, e non è una novità, sui blog. Prima Facebook e poi i partiti. Prima i conclavi nelle tende poi le riunioni istituzionali. Una giovane donna, Rosella Graziani, che sa far di conto, ha messo a frutto tutto il tempo ritrovato e fino alla settimana scorsa inutilizzato per radiografare il decreto legge e poi bollarlo in una lettera pubblica: “Mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a una ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L’Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie”.

Quali le menzogne e dove l’inganno? I soldi veri, il cash disponibile che Tremonti rende immediatamente spendibile si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l’emergenza, restano 700 milioni di euro destinati alla costruzione delle casette temporanee. E qui il primo punto: 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne dovrebbe dedurre che la totalità delle case provvisorie sarebbero, è bene riusare il condizionale, realizzate totalmente entro l’anno prossimo. Dunque qualcuno avrebbe un tetto a settembre, qualcuno a ottobre, qualche altro a gennaio, o nella primavera che verrà. E’ così? E’ il dubbio, maledetto, che affligge e turba.

Secondo punto: le casette sono sì temporanee ma il decreto le definisce “a durevole utilizzazione”. Durevole. Moduli abitativi condominiali, magari lindi e comodi, a due o tre piani. In legno. Ecocompatibili, risparmiosi, caldi. Perfetti. Possono durare decenni.
E dunque: sarebbero provvisori ma purtroppo paiono proprio definitivi. E, questa è una certezza, sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town. New town aveva detto Berlusconi, no? E le case vere? Quelle di pietra?

Qui la seconda questione campale: sembra, a scorrere gli allegati al decreto, che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell’abitazione principale. E per di più questi soldi sarebbero veri fino a un certo punto, perciò la definizione di decreto abracadabra. 50 mila euro li concederebbe – cash – il governo; 50 mila li tramuterebbe in credito di imposta (anticipata dalla famiglia terremotata e ammortizzata in un arco temporale di 22 anni); altri cinquantamila sarebbero coperti con un mutuo a tasso agevolato a carico però del destinatario del contributo.

Non si sa bene ancora se sarà così strutturato il fondo. Le norme del decreto possono subire fino al prossimo giovedì emendamenti e correzioni. Quel che comunque sembra chiaro è che la somma ipotizzata (150 mila euro) ammesso che venga confermata, sarà sufficiente per una casa di tipo popolare e di nuova costruzione, ma totalmente sottodimensionata per finanziare i lavori di recupero e restauro conservativo. Nel centro storico dell’Aquila ci sono 800 edifici pubblici e 320 edifici privati, sottoposti a vincoli per il loro pregio.

Recuperi dispendiosi economicamente e, secondo questo decreto, sostanzialmente a carico dei privati.
Così ieri i sindaci delle aree terremotate si sono ritrovati in conclave e hanno iniziato in un borbottio che è poi sfociato in un documento di dura protesta. “Vogliamo vedere nero su bianco i soldi per la ricostruzione e non solo quelli per le casette transitorie. L’Aquila va costruita dov’era e com’era. Così non sarà: a leggere il decreto i tempi sono dilatati fino al 2033, una data ridicola”, ha dichiarato la presidente della Provincia Stefania Pezzopane.

Ai dubbi che già gonfiano i primi timori si aggiunge poi l’offesa istituzionale subita dagli enti locali. Il governo, promotore della prima legge costituzionale a vocazione federalista, ha accentrato ogni potere di spesa negando finanche al sindaco dell’Aquila, città epicentro del terremoto e capoluogo di regione, le funzioni commissariali esecutive. Penserà a tutto, come al solito, Guido Bertolaso…

(5 maggio 2009)

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