Ultime rivelazioni

La verità di Patrizia sulla notte a Palazzo Grazioli: “Le ragazze lo chiamavano Papi”
“Indossavamo abiti neri corti, tranne due in pantaloni. Erano escort lesbiche che lavoravano in coppia”
“Silvio sapeva tutto di me ecco perché
non può dire di avermi dimenticata”
“Mi rimase la sensazione di un harem. Ma qua esisteva solo lo sceicco”

di CONCHITA SANNINO e CARLO BONINI

Patrizia D’Addario

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BARI – Patrizia D’Addario infila la mano nella borsa. Ne estrae il registratore più noto d’Italia. Ha un sorriso teso: “Se registrate voi, registro anch’io…”. “Io lo faccio sempre. Grazie a questo registratore ho potuto vedere condannato l’uomo che abusava di me. Io non ricatto. Dico la verità. Ma nella vita, spesso, per farti credere servono delle prove”. Patrizia accetta di parlare con Repubblica a una condizione. “Eviterò di affrontare i dettagli dell’inchiesta”.

Il presidente del Consiglio dice: “Quella donna? Ne ignoravo il nome e non ne avevo in mente il viso”.
“Se avessi voglia di scherzare, direi che non ricorda perché girano troppe ragazze che mi somigliano tra Palazzo Grazioli e, a leggere i giornali, Villa Certosa. Invece io la faccia di quell’uomo me la ricordo bene. L’ho avuta troppo vicina per dimenticarne i dettagli. Ma non ho voglia di scherzare. Mi stanno massacrando”.

Lei stessa ha detto di essere una escort.
“Avrei potuto continuare a fare quella vita senza svelarmi e prendermi le buste del presidente con 10 mila euro. Io, invece, quando ho capito di essere stata ingannata, ho deciso di ribellarmi. Io sono l’unica che ha il coraggio di dire il mestiere che fa. Le altre tacciono, frequentano Papi, incassano le buste, fanno carriera e chiedono rispetto”.

Partiamo dall’inizio. Lei ha detto che a presentarla a Gianpaolo Tarantini è stato un amico comune, tale “Max”. E’ Massimiliano Verdoscia?
“Non lo so. Io lo conoscevo come Max”.

Può chiarire quanti soldi ha avuto in totale per i due incontri a Palazzo Grazioli?
“Mille euro. Li ho avuti solo la prima volta per partecipare alla cena a Palazzo Grazioli. La seconda volta, quando sono rimasta tutta la notte, non ho avuto nulla. Se non la promessa che sarei stata aiutata a costruire finalmente quel residence per il quale ho le carte in regola e ho pagato già per ben quattro volte gli oneri di edificabilità”.

Andiamo alla prima volta a palazzo Grazioli. Metà ottobre 2008.
“Io, a differenza di Silvio Berlusconi, ricordo ogni dettaglio. Quando arrivai saranno state le 22. Presi l’ascensore. Attraversai un lungo corridoio che si apriva in un salone dove trovai già molte ragazze. Altre arrivarono dopo. In totale saremo state una ventina”.

Ne conosceva qualcuna?
“Alcune ricordavano dei volti televisivi. In realtà, mi colpì un altro particolare”.

Quale?
“Mentre la gran parte di noi, come ci era stato detto, indossava abiti neri corti – il mio era di Versace – e trucco leggero, due ragazze che stavano sempre vicine, avevano pantaloni lunghi. Ho saputo, ascoltando quello che dicevano in pubblico, che erano due escort lesbiche che lavoravano sempre in coppia”.

C’erano ragazze minorenni?

“Non mi misi a chiedere le età”.

C’erano ragazze straniere?
“Mi sembrarono tutte italiane. E tutte mostravano, a differenza mia, una grande familiarità con la casa e il presidente. Lo chiamavano tutte Papi”.

Lei non lo chiamava Papi?
“Io lo chiamavo Silvio. Mi disse di getto: “Come sei carina”. Aveva una camicia nera. Quando si sedette notai i tacchi delle scarpe. Volle che mi sedessi accanto a lui nel salone con divani, dove proiettarono un lunghissimo video. Si vedevano i suoi incontri con i leader internazionali, i comizi, una folla che cantava “Meno male che Silvio c’è”. Tutte le ragazze, a quel punto, fecero la “ola””.

E lei?
“Ero distratta da un barboncino bianco che leccava i miei piedi e quelli del presidente. Lui lo chiamava Frufrù e mi disse che glielo aveva regalato la moglie di Bush”.

Quanto durò il video celebrativo?
“Fu lunghissimo. Il Presidente si alzava per chiedere champagne e focaccine. Poi, finalmente andammo in sala da pranzo. Un tavolo lunghissimo su cui volteggiavano tantissime farfalle. Di tulle, carta velina e altro materiale. Di vari colori. Farfalle ovunque, attaccate ai centro tavola e ai candelabri. Ho fatto indigestione di farfalle. La cena andò avanti fino all’alba. Ma non una cena da gourmet. Bresaola con sottaceti. Tagliatelle ai funghi. Cotolette con le patate. Torta di yogurt, che poi fu la cosa che mi piacque di più. Ne presi tre porzioni. Era morbida, come quelle della nonna”.

Una cena così non può finire all’alba.
“Ci si interrompeva continuamente. Per canti, balli, barzellette. Berlusconi usò anche una storiella per parlare di me. Mi fissava e diceva. “Conosco una ragazza che non crede più agli uomini. La farò ricredere. La andrò a prendere con il mio jet privato”. Poi, con il Presidente ballai. Un lento suonato dal pianista della casa. Era “My way”. Ballammo molto vicini. Non si ricorda il mio volto?”.

Quando lei andò via, qualcuna delle ragazze rimase?

“Non posso rispondere. Posso solo dire che era quasi mattina”.

Il presidente dice: “Mi è stato insegnato a non andare a dormire se c’è anche un solo documento di cui occuparsi sulla scrivania”. Lei ricorda se il presidente si è assentato per esaminare qualche dossier? Per rispondere a qualche telefonata?
“Il presidente ci parlava di molte cose del suo lavoro. Ma si è alzato soltanto per prendere i regalini. Ci teneva a distribuirli lui. Noi aprivamo e c’era l’obbligo di indossarli. Le solite farfalline, tartarughine, bracciali, collanine, anelli”.

Che sensazione le rimase di quella sera?
“Un harem. Anzi. Gli harem sono una cosa seria che io conosco bene. Perché sono stata tre volte a Dubai. Gli sceicchi, a modo loro, rispettano le loro mogli. Se ne circondano, le precedono, ma le mostrano con orgoglio. Quello che vidi, invece, non mi piaceva. Esisteva solo lo sceicco: lui”.

Ha mai sentito parlare di Noemi Letizia?
“Dopo la nota vicenda, sì. Ma non posso entrare nei dettagli. In generale, ripensando a quella storia, posso solo dire che non ho parole”.

Lei tornò a palazzo Grazioli la sera del 4 novembre. Tarantini disse “lui vuole te”.
“Evidentemente si ricordava di me”.

E’ la sera in cui resta l’intera notte. La notte dell’elezione di Obama, durante la quale, inutilmente si cerca di tirare fuori dalla stanza il presidente. Almeno fino alla colazione.
“Su quella notte non posso dire”.

Ma è vero che lui la invitò a rimanere per la colazione?
“Sì. Non in sala da pranzo. Fu una cosa più intima”.

La accusano di aver ordito un complotto a pagamento. La definiscono una “ricattatrice”.
“E’ ridicolo. In questa storia non ho mai preso un soldo da nessuno. Ho deciso di parlare il 31 maggio. Quando capii di essere stata ingannata. Che nessuno mi avrebbe aiutato nel mio progetto di vita: la costruzione del residence. Il premier era a Bari. Mi riconobbe e mi salutò. Poi, mi fece bloccare dalla scorta, nonostante fossi una delle sue candidate. Per altro, riconobbi chi mi fermò. Uno degli uomini della scorta che avevo visto a palazzo Grazioli fare altre cose”.

Cosa?
“Guardarmi la sera del 4 novembre mentre il presidente, seduto su divano, mi accarezzava esplicitamente”.

Quindi decise quel giorno?

“Fu l’ultima goccia. Parlai subito con un fotoreporter di Oggi. Ma c’era già stato dell’altro”.

Il furto nel suo appartamento?
“Stranissimo furto. Avvenne in maggio. Pochi giorni dopo che avevo confidato a un amico che ero in possesso delle registrazioni dei miei incontri con il presidente”.

L’amico era Gianpaolo Tarantini?
“No. E non ne posso fare il nome”.

Cosa rubarono?
“Computer, cd musicali, tutta la biancheria intima, i miei vestiti di Versace, compreso quello che avevo indossato a Roma. Mi spaventai e cominciai a capire”.

Per questo motivo cercò un avvocato?

“Cercai un avvocato per l’intervista che volevo fare con Oggi. Poi non se ne fece nulla e il mio avvocato rimase accanto a me quando, con mia grande sorpresa, l’8 giugno venni convocata come testimone dal pm”.

L’inchiesta ha accertato festini organizzati in cinque residenze con esponenti politici locali.
“Non ho mai partecipato”.

Ha frequentato il vicepresidente della Regione, il Pd Sandro Frisullo?

“Non so chi sia”.

PATRIZIA SPUTA IL ROSPO

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°°° Pgare uno sciame di ragazze escort soprattutto per mostrare vanagloriosamente dei lunghissimi filmati e parlarsi addosso per ore… secondo voi è da persone sane di mente? Ma ancora più squallido e allarmante è sapere che chi si comporta così è la persona che regge nelle sue mani le sorti dell’Italia.

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A quei tempi…

A quei tempi, facevo il cameriere al Regina & Metropole di piazza della Scala a Milano. La padrona razzista mi faceva dormire coi suoi barboncini (tutto vero). Qualche tempo dopo, visto che i clienti – dagli artisti del Bolshoji di Mosca a Federico Fellini e Rudoph Nurejev – volevano essere serviti soltanto da me, mi trasferì in una suite di tre metri per due. Ma non ero solo: avevo un compagno di stanza piccolo come i barboncini, ma molto più vecchio, molto più stronzo e fastidioso, si chiamava silvio berlusconi. Lui non poteva fare il cameriere; ci aveva provato, ma sbatteva continuamente la fronte inutilmente spaziosa contro gli spigoli dei tavoli. E non li chiamava mai col loro nome: “spigolo”… macché, li chiamava nei modi più strani: porcoddio! porcaputtana! cribbio! ecc.
La padrona l’aveva messo a pelare patate e a vuotare le pattumiere (quest’ultima cosa gli è servita molto come esperienza per insozzare Napoli, molti anni dopo). Ma anche lì era una frana: si tagliava continuamente le dita e si affettava il petto col pelapatate o cadeva nel bidone, nel vicolo dietro le cucine, o si metteva a litigare coi gattacci randagi… che era tutti più alti, più forti, più bastardi e intelligenti di lui. E anche lì si sentivano le sue imprecazioni: porcoddio! porcaputtana! cribbio! ecc. La padrona decise di metterlo a guardare le pattane delle macchine dei clienti al parcheggio riservato. Dato che più in alto non arrivava. Ma si fece una grande esperienza in pattane, che più tardi gli è servita per riconoscerle subito e ne ha fatte addirittura alcune ministre e sottosegretarie. Una sera, arriva un bel signore molto distinto ed elegante: pieno di cicatrici e sgarri sul viso, tatuaggi anche sulla fronte e anelli, collane, e bracciali pesanti come incudini, che si affezionò all’omuncolo triste e lo invitò a casa sua per l’indomani. Naturalmente, la padrona, che era nobile ma non troppo ricca, ci teneva al buon nome e all’immagine dell’albergo a cinque stelle e quindi ordinò al maitre di accompagnare questo cliente indesiderato alla porta. Squalificava il Regina & Metropole. Quello, che si chiamava Stefano Bontade, sparò immediatamente al maitre e sciolse nell’acido la contessa. Poi si sedette e, mentre cenava, fece portare dai suoi picciotti il notaio della famiglia della defunta e si fece fare il passaggio di proprietà, in cambio di un limoncello. Ci sapeva fare con gli affari. Tutta la scena, venne seguita da un testone che appariva e scompariva dalla finestra accanto al tavolo del signor Bontade: era Silvio che saltellava, dato che non arrivava nemmeno al vetro. La nostra ultima notte insieme , nella cameretta di tre metri per due, fu una tragedia. Lui era preoccupatissimo per l’incontro della sua vita e non sapeva che parrucchino indossare l’indomani per andare da quesl signorone di Bontade. Dalle undici alle tre del mattino non fece che passeggiare nervosamente sotto il suo lettino. Avevamo chiuso prima il ristorante per via del fatto di sangue che era successo. Alle tre, Silvio, che aveva visto “la luce” e sapeva di non dover tornare più a guardare pattane, decise che ERA IL SUO MOMENTO e che si sarebbe potuto trombare l’Elvira, la guardarobiera del ristorante. Elvira dormiva a due porte da noi ed aveva una stanza molto più grande della nostra: quattro metri per tre… dato che era alta quasi un metro e ottanta e aveva un letto fatto su misura. Silvio si sputò sulle mani, si aggiustò il parrucchino, e partì. Per curiosità lo seguii, non visto: era già allora un gran cazzaro e non volevo che mi raccontasse storie, l’indomani mattina. L’Elvira era alta e ben fatta e piaceva anche a me, tant’è che avevo praticato un buco nella porta della sua camera… ehm, ebbene sì, ogni tanto la spiavo. Avevo quindici anni e spesso dovevo dare una mano a un disoccupato… anche se sapevo di rischiare la vista. In breve, Silvio entrò senza bussare e mormorò qualcosa che non riuscii a percepire. Vidi Elvira che si alzava e lo minacciava con un dito: “Va bene. Dormi pure qui, ma non sbirciare e non metterti delle idee in testa, o ti piglio per i piedi, ti metto a testa in giù, ti sbatto sul pavimento e ti scoppio come una lampadina. T’è capì?!” Detto questo, l’Elvirona allungò un braccio e liberò un lettino a scomparsa per metterlo a disposizione dell’ospite inatteso. La branda di truciolare pesantissimo si abbattè come un caterpillar sul testone del povero Silvio. Si accasciò immediatamente, ingoiando un “porcoddi…” e di lui si perse ogni traccia, fino a un ventinaio di anni fa. Riapparve più rintronato che mai, ma questa è un’altra storia.

b-cazzaro

L’OMUNCOLO CON L’ELVIRA:

grande-grande

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