A Cagliari si scannano per un teatro. Attori e registi? Naaa, fancazzisti che nulla sanno di teatro.

Accostare il nome dei lapola al teatro o alla televisione è come accostare il nome delle olgettine alle suore di Calcutta. Questi perdigiorno raccomandatissimi li ho incontrati circa vent’anni fa a Tonara. Un pizzettaro locale che si spaccia per manager (uno che sa tre parole in italiano, ma che è molto generoso nell’elargire mazzette a sindaci, assessori, presidenti di pro loco, per riempire i palchi delle sagre paesane di porcherie) aveva organizzato un festival del Cabaret. Lui pronunciava Càbaret. Mi invitò come ospite d’onore, pagò bene e arrivai lì nel pomeriggio. Ebbi modo di assistere ad alcune prove di sciamannati perdigiorno che si spacciavano per cabarettisti: da un certo Loche a un certo Demo Mura, tutta robaccia impresentabile. In qualunque scantinato di Roma o di Milano li avrebbero cacciati a colpi di sedia. Poi arrivarono questi cinque o sei dei Lapola, anche loro pieni di boria, ma senza nessun talento né mestiere. Mi incuriosì il fatto che fossero un gruppo numeroso e, siccome avevo voglia di cominciare a creare il Teatro sardo – che tuttora non esiste – chiamai lo stortignaccolo (che i media berlusconiani di Cagliari chiamano pomposamente “regista”) e gli dissi: “Se avete davvero voglia di fare questo mestiere, bisogna farlo bene e cominciare dalle basi. Parlane con gli altri e se decidete fatemi uno squillo.”

“Ma noi non dobbiamo imparare niente da nessuno.” rispose lui.

Capito chi sono questi? Ho 65 anni e faccio questo mestiere da più di 50, e ancora sto imparando qualcosa tutti i giorni…

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Esempio da seguire

La ricetta di Noceto: giochi, sport, teatro come alternative
Dopo il suicidio del 12enne che aveva visto un’esecuzione sul piccolo schermo
Nel paese che ha spento la tv
“Così salviamo i nostri bambini”

di STEFANIA PARMEGGIANI

Nel paese che ha spento la tv “Così salviamo i nostri bambini”

NOCETO (PARMA) – Lo decisero 13 anni fa. Quasi un passa parola, famiglia dopo famiglia, casa dopo casa. E così una sera, in quel borgo alle porte di Parma, improvvisamente tutti spensero la Tv. Centinaia, migliaia di televisori oscurati, muti, quasi partecipi dell’immenso dolore di una comunità.

Un gesto di rabbia, una rivolta civile contro le trasmissioni che mandavano in onda di tutto senza curarsi delle conseguenze. Che a Noceto furono imprevedibili e drammatiche. David, un bambino di 12 anni, dopo avere visto l’esecuzione di una sentenza capitale aveva deciso di imitare la scena per gioco. Morì impiccandosi. Non c’erano parole, nessuna spiegazione che alleviasse il senso di impotenza, solo la rabbia che doveva essere arginata. Come? Prendendo in mano il telecomando per cancellare modelli sbagliati e oscurare immagini troppo crude. Iniziò così la settimana della creatività, che dal ’96 cerca di evitare la deriva di una televisione babysitter e che ogni mese di maggio trasforma i 1.200 bambini di Noceto da spettatori a protagonisti.

All’inizio il messaggio era esplicito: “Spegni la tv, accendi la fantasia”. “La nostra è una battaglia pesantissima – spiega il parroco don Corrado Mazza – perché non vogliamo demonizzare un mezzo, ma solo evitare che rubi l’infanzia”. “Negli anni abbiamo spostato l’accento – continua il sindaco Fabio Fecci – e oggi non invitiamo più direttamente a spegnere la televisione, ma promuoviamo un’alternativa”. Corsi di teatro, laboratori di pittura, letture animate, giochi antichi, giornate dedicate allo sport, doposcuola della parrocchia, incontri con i genitori, cineforum, serate di riflessione, percorsi lunghi un anno per distogliere gli sguardi dal teleschermo, una miriade di attività coordinate che non tralasciano nulla, neppure il tragitto da casa a scuola. Qui, infatti, passa il piedibus, vigili urbani che accompagnano i bambini lungo le strade della città.

Nessuno si è sottratto al compito perché – è convinzione diffusa – gli influssi della televisione sui bambini sono chiarissimi: “Più chiacchierano senza dire niente – spiegano le insegnanti Enrica Alinovi e Gabriella Grisenti – più capiamo che sono stati troppo di fronte alla tv”. Per questo, osserva il dirigente scolastico Paola Bernazzoli, da anni i bambini partecipano a laboratori in cui fanno gli attori, i costumisti, gli sceneggiatori, i registi, i musicisti… E il risultato viene portato in piazza proprio nella settimana della creatività.

Antonio Caffarra, il pediatra del paese, ha cresciuto insieme alla moglie Daniela, quattro figli senza televisione: “Per anni non l’abbiamo avuta e quando ci è stata regalata l’abbiamo lasciata spenta”. Nel paese sono in molti a pensarla come lui, la creatività è diventata una strategia educativa condivisa. È servito tutto questo? I bambini a Noceto guardano la televisione meno che altrove? “E’ difficile dirlo – conclude il sindaco Fabio Fecci – ma sicuramente sono meno soli”. I più deboli, i più fragili, o semplicemente chi ha entrambi i genitori impegnati tutto il giorno, ha un’alternativa alla televisione come babysitter. “Proviamo a sottrarre il compito di educare alla televisione – conclude il parroco – ma anche se la battaglia continua a essere pesante, non ci arrendiamo, l’infanzia è tutto”. Rappresenta il futuro, che non può essere dettato dal palinsesto televisivo.

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