TANGENTI. Nell’italietta di Berlusconi ci seguono dalla culla alla tomba.

Tangenti per procreazione assistita
arrestato primario a Belluno

Chiedeva anche 2500 euro, raccontano gli investigatori, per far scalare posizioni nelle liste d’attesa. E si faceva consegnare i soldi in bar, stazioni, caselli autostradali. Incastrato con intercettazioni e filmati

Tangenti per procreazione assistita arrestato primario a Belluno

BELLUNO – Due anni: questo, in media, il tempo d’attesa per le coppie che desiderano ricorrere alla procreazione assistita in un centro ospedaliero. Coppie che per realizzare il proprio sono spesso disposte a pagare. Facendo leva su questo desiderio, il primario dell’ospedale di Pieve di Cadore – in provincia di Belluno – induceva le coppie a pagare fino a 2.500 euro. “Tangenti” per far scalare ai pazienti posizioni nelle liste d’attesa,  in un settore in cui – secondo le statistiche – ogni mese in più la riduce le possibilità di gravidanza in donne che spesso hanno già superato i 40 anni. Il medico, che è stato arrestato dalla Guardia di finanza ed è ora ai domiciliari, dovrà rispondere di concussione aggravata e continuata e di interruzione di pubblico servizio.

http://www.repubblica.it/cronaca/2011/12/20/news/belluno-26915918/?ref=HREC1-12

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Tomba di Berlusconi

Una giovane signora con sua figlia si trovano al cimitero per fare visita alla tomba della nonna della bambina. Dopo la visita, mentre tornano verso l’uscita, la bambina chiede: “Mamma, perché seppelliscono due persone nella stessa tomba?”. “Ma che dici, bambina mia?! Perché me lo chiedi?”. “Perché su quella tomba c’è scritto: ‘Qui giace Silvio Berlusconi – un uomo onesto’ “.

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Cocorito Ghedini e le sue minchiate

Questo è un pezzo del “suo” giornaletto l’unione sarda di quattro anni fa:

Il particolare
Reperti nel parco della villa
Domenica 20 marzo 2005
A nche i magistrati della Procura di Tempio sanno veramente poco del sopralluogo top-secret avvenuto nei giorni scorsi all’interno della tenuta del presidente del Consiglio. In un settore di quell’area sottoposta a segreto di stato da parte del Ministero dell’Interno, che ha classificato la villa come una delle residenze ufficiali del premier. L’avvocato Nicolò Ghedini ha accompagnato alcuni funzionari della Soprintendenza archeologica e una pattuglia di carabinieri specializzati nella tutela del patrimonio culturale e artistico, in un punto ben circoscritto del parco dove sarebbero stati ritrovati importanti reperti archeologici. Si parla di un sito di notevole importanza, risalente al terzo secolo a. C., con alcuni resti di vasellame e tracce di una piccola necropoli. Un pezzo di storia della Sardegna che evidentemente i proprietari dei terreni hanno tutta l’intenzione di tutelare, tanto che ne è stata subito segnalata la collocazione e le caratteristiche alla Soprintendenza archeologica. E il gruppo di funzionari e militari ha potuto, seguendo un rigoroso itinerario con alcune precise prescrizioni da parte del personale addetto alla sicurezza, arrivare al sito ed effettuare tutte le verifiche del caso. Insomma, non è vero che i sopralluoghi alla Certosa non si possono fare. E gli accertamenti della Soprintendenza arrivano a pochi giorni dall’udienza davanti ai giudici della Corte Costituzionale che dovranno esprimersi sulla ammissibilità del ricorso presentato dalla Procura di Tempio sul mancato sopralluogo del settembre 2004 nel cantiere top-secret aperto in una delle discese a mare della tenuta. I magistrati galluresi hanno sollevato infatti un conflitto di attribuzione ritenendo immotivata l’opposizione del segreto di stato all’attività investigativa su alcuni presunti abusi edilizi attribuiti ai rappresentanti legali della società proprietaria dell’intera area. I giudici della Corte Costituzionale dovranno dire se esistono gli elementi per ritenere ammissibile il ricorso affidato dal procuratore della Repubblica di Tempio, Valerio Cicalò, a due docenti universitari, specializzati in diritto costituzionale. La Procura gallurese aveva deciso di avviare l’iter, dopo che il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, aveva confermato in Parlamento la volontà di opporre il segreto di Stato all’indagine iniziata nel maggio dello scorso anno. (a. b.)

°°° E queste sono le bestialità del pappagallino del momento:

L’avvocato di Berlusconi risponde al sito dell’Espresso, che cita passi di un articolo
uscito nel 2005 sull’Unione sarda: “Vogliono attaccare il premier a tutti i costi”
Tombe fenicie, la replica di Ghedini

“Solo frammenti romani e ossa”

°°° E dove avrebbe studiato archeologia questo fesso, per sostenere che si tratta di frammenti romani?! E se ci sono ossa umane… che cazzo è se non una tomba? Delinquenti, ladri, bugiardi e FESSI!

ghedini

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ALLARMI, AMICI! FATE GIRAREEEEEEEEE

Marco Travaglio

Il partito dell’amore

Siccome l’Italia non è un regime, tre giorni fa accadono due stupri a Roma: uno consumato, l’altro sventato per miracolo. Ma la questura non dice niente: vedi mai che qualche elettore patito della «sicurezza» capisca che la destra ha tradito anche quella promessa. La notizia esce perché un giornalista, avvertito da un amico poliziotto, la mette su facebook. Allora la questura è costretta a sputare il rospo. Sempre tre giorni fa, siccome l’Italia non è un regime, arriva alla Rai, in viale Mazzini a Roma, una lettera con un proiettile per Michele Santoro. L’ufficio posta la trasmette al posto di polizia. Ma nessuno avverte il destinatario, cioè Santoro. Silenzio di tomba per due giorni, dalla Rai e dalla polizia. Così chi l’ha minacciato di morte ha la conferma di quanto già sapeva: Santoro è isolato persino nella sua azienda. Ieri la lettera viene aperta: una foto di Santoro, la scritta «Morirai» e una cartuccia Winchester inertizzata. Intanto un’altra busta con proiettile arriva a Di Pietro. Il senso è chiaro: chi si mette di traverso sulla strada del padrone d’Italia deve morire. Era già accaduto in un’altra campagna elettorale al calor bianco, quella del 2001: Indro Montanelli ricevette alcune telefonate mute sul suo telefono privato, trovò una lettera minatoria sul tavolo del ristorante dove pranzava e la Digos gli intimò di cancellare le iniziali I.M. dal citofono di casa sua. «Il berlusconismo ­ commentò il vecchio Indro ­ è la feccia che risale il pozzo. Questa è la peggior Italia che abbia mai visto. Peggio di quella fascista». E non aveva visto quella di oggi.

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I NODI VENGONO AL PETTINE?

NAPOLI, TOMBA DEL BERLUSCONISMO? – GUERRA IN PROCURA: IL CAPO LEPORE STRALCIA LA POSIZIONE DI BERTOLASO E DEL PREFETTO PANSA. I PM E IL VICE DE CHIARA S’INCAZZANO E CHIEDONO DI CONVOCARE UN’ASSEMBLEA – DEL CASO NAPOLI SI OCCUPERÀ PRESTO IL CSM…

Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera”

L’aria di tempesta si è attenuata appena nella torre tutta vetri e marmi del Centro Direzionale dove hanno sede gli uffici della Procura della Repubblica, e dove da giorni si è consumata la spaccatura tra il capo, Giovandomenico Lepore, e uno dei suoi aggiunti, Aldo De Chiara, sulla decisione di Lepore di stralciare da una importante inchiesta sulla gestione dell’emergenza rifiuti le posizioni del sottosegretario Guido Bertolaso e del prefetto di Napoli Alessandro Pansa.
Guido Bertolaso

L’ultima mossa l’hanno fatta i sostituti al termine di una riunione convocata ieri proprio per affrontare la situazione dell’ufficio. Avevano di fronte due strade, i pm: autoconvocare una assemblea e proporre un documento che inevitabilmente avrebbe schierato una maggioranza in favore di uno dei due procuratori, o rivolgersi a Lepore e chiedere che fosse lui a convocare l’assemblea, coinvolgendolo quindi sin dal primo passaggio e dando così un segnale distensivo. Hanno scelto la seconda via, con l’obiettivo di riportare al confronto procuratore capo e procuratore aggiunto senza ricorrere a documenti e al rischio di pericolose spaccature.

Potrebbe essere un passo in avanti verso quel «recupero di serenità» che il presidente Napolitano avrebbe auspicato conversando con il penalista e consigliere laico del Csm Vincenzo Maria Siniscalchi, secondo quanto lo stesso avvocato riferisce al Corriere del Mezzogiorno.

Siniscalchi conosce bene la storia dello stralcio delle posizioni di Bertolaso e Pansa dall’inchiesta condotta dai pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo perché il Consiglio superiore se ne sta occupando da tempo. E si deve proprio a un suo emendamento se la recente determinazione del plenum – secondo cui la decisione del procuratore fu in realtà una revoca che nei fatti impedì a Noviello e Sirleo di indagare ­ non ha portato a conseguenze per la carriera di Lepore, in quanto la delibera non è stata inserita nel suo fascicolo personale.

Ma il caso è stato riaperto dopo una lettera inviata da De Chiara come integrazione a una sua precedente deposizione. Il procuratore aggiunto sostiene che nel corso di una riunione del 24 luglio dello scorso anno, Lepore gli spiegò che lo stralcio aveva anche lo scopo di non ostacolare o turbare l’azione del governo.

Una polemica nata con una lettera e andata avanti con lo stesso strumento. Dopo De Chiara è Lepore a mettere nero su bianco la sua posizione: «Come in ogni valutazione che comporti rilevanti implicazioni sull’esercizio di pubbliche funzioni, ho soppesato limiti e conseguenze che un’iniziativa giudiziaria, a mio giudizio in quel momento ancora incompleta, avrebbe potuto riflettere sull’emergenza rifiuti», scrive. E poi: «Considero ancor oggi la decisione da me adottata rispettosa delle norme vigenti e coerente con l’imprescindibile dovere di accertare i fatti».

Ora l’assemblea chiesta dai pm potrebbe rimettere Lepore e De Chiara faccia a faccia, «per discutere con tutti noi della situazione dell’ufficio», dice uno dei promotori dell’iniziativa. In attesa, comunque, di ciò che sul caso Napoli deciderà – presto, forse prestissimo – la prima commissione del Csm.

°°° Amici, tutti noi sappiamo che il tormentone elettorale dell’anno scorso: i rifiuti a napoli, fu voluto, creato, e portato alle estreme conseguenze (con atroci danni alla città di napoli e all’immagine internazionale dell’Italia) da silvio berlusconi e dalla camorra. I suoi uomini di collegamento col “sistema camorristico” sono stati divelti dalle mani della magistratura e nominati repentinamente sottosegretari di governo. Ma ora si mette male: anche questa porcata di Mafiolo sta per essere scoperta. Cosa succederà?

P.S. No so se tutti sapete anche che i termovalorizzatori (di Acerra e gli altri) furono voluti e finanziati da Prodi… Questo bandito si limita a inaugurare e a farsi bello col lavoro di Prodi, già dal 2001.

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da Travaglio

Indrorepellenti

Il Giornale e Littorio Feltri non han gradito la puntata di Annozero su Montanelli e quel che resta dell’informazione. «Manipolatore. Santoro stravolge Montanelli», tuona quel che resta del Giornale. «Indro si rivolta nella tomba» titola Libero, giornale-ossimoro. Poveretti, vanno capiti. Speravano di cavarsela con le solite appropriazioni indebite. Gli è andata buca: Santoro ha resuscitato Montanelli mostrando con i filmati quel che diceva e pensava di Berlusconi, del fu Giornale e di Feltri, sbugiardato in diretta al Raggio Verde. Mario Giordano, che Montanelli non l’ha mai visto neppure in cartolina, ne parla come di un vecchio amico e si scortica le ginocchia con un’intervista-scendiletto a un testimone super partes: Fedele Confalonieri. Domande ficcanti: «Mi commuovo anch’io», «Voi gli volevate bene?», «Sciacallaggio?». Altro titolo memorabile: «Santoro, giù le mani da Montanelli» (sul Giornale da cui fu cacciato nel ’94). Feltri non s’è ancora riavuto dalla figuraccia del Raggio Verde. Dimentica di raccontare che, sei mesi prima della cacciata di Montanelli, si accordò con Berlusconi per prenderne il posto. E spara elegantemente sulla tomba: «Montanelli inconsapevolmente si vendette alla sinistra. Sull’ultimo capitolo della sua vita, quando non era più lui ma un novantenne esacerbato dal rancore, conviene sorridere». Ridi, ridi. Annozero voleva confrontare il giornalismo di Montanelli con quello di oggi. Grazie a Giordano e Feltri, ci è riuscito. «Il disprezzo ­ diceva Indro citando Chateaubriand ­ va usato con parsimonia, in un paese così pieno di bisognosi».

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Ecco come “amministra” la destra

L’INCHIESTA
Roma, le piscine vuote
dei mondiali di nuoto

Milioni di euro buttati, impianti che rischiano di non essere terminati. Da Tor Vergata all’Appia Antica viaggio tra ritardi, cemento e zone vincolate che saranno deturpate
di GABRIELE ROMAGNOLI e CORRADO ZUNINO

ROMA – “Qui sorgerà la città dello sport”, annuncia il cartello all’ingresso del cantiere di Tor Vergata. Invece: qui riposerà in pace, amen. Vasche vuote, scheletri di tribune, lo stendardo sbrindellato dei Mondiali di nuoto, Roma 2009. Dovevano aprirsi qui, nell’avveniristico guscio immaginato da Santiago Calatrava, dando al campus universitario e alla capitale quattro spettacolari piscine. Un tuffo nel vuoto. Le gru sono ferme. Ma lavorano altrove. Roma non avrà la grande struttura che doveva essere il simbolo dell’evento, in compenso stanno sorgendo 63 nuovi impianti, 84 vasche. Molti con foresterie, decine di stanze che dovrebbero ospitare atleti a luglio, e poi? Molti in zone vincolate, dal paesaggio, dall’urbanistica e dal buon senso. Molti hanno trascinato con sé ampliamenti di circoli, sale fitness, box auto.

Un diluvio di iniziative private con agevolazioni pubbliche. Un piastrellamento azzurro sul pavimento di una città che già ora, vista dall’alto, quasi fa concorrenza a Los Angeles. I Mondiali sono un alibi, troppe opere non saranno finite in tempo. Ma resteranno dopo, per soddisfare una domanda a cui già rispondono duecento piscine. Come è stato possibile?
Per capirlo abbiamo fatto un viaggio, come quello del “Nuotatore” del racconto di John Cheever portato sullo schermo da Burt Lancaster. Quell’uomo decideva in “una di quelle domeniche di mezz’estate in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: ho bevuto troppo ieri sera” di tornare a casa a nuoto, attraversando la contea da una piscina all’altra. Noi abbiamo percorso la città in un giorno di festa, da un cantiere all’altro (Tor Vergata a parte, tutti all’opera, solo lavoratori extracomunitari, nessuno con l’elmetto protettivo). Curiosamente, la destinazione finale del viaggio ci ha riservato uno scenario simile a quello trovato dal personaggio letterario. Il resto del percorso, tutta un’altra storia. Questa.

La prima tappa è sull’Appia Antica, numero 7000, davanti all’insegna Sporting Palace. La Città dello Sport doveva esserci, ma non c’è; questo palazzo non dovrebbe esistere, invece eccolo qui. Sorge tra le rovine storiche, davanti a un parco. I nuotatori, si è detto, potrebbero allenarsi e poi rilassarsi sulla terrazza guardando la tomba di Cecilia Metella. Ma perché Cecilia Metella dovrebbe guardare dalla sua perduta pace eterna questa scatola di cemento da cui pende un festone che “annuncia” l’inaugurazione a giugno 2008? Bisogna fare un passo indietro.

Quando Roma ottiene i Mondiali 2009 parte la carica delle piscine. Cinque impianti saranno pubblici (Tor Vergata, Foro Italico, Ostia, Valco San Paolo, Pietralata). Ma non basteranno. La giunta Veltroni decide di aprire ai privati che bussano alle sue porte. In fondo, si tratta di prendere tre piccioni con una fava: organizzare i Mondiali, costruire la memorabile opera nel campus e rendere Roma una capitale natatoria planetaria. Partono 38 richieste, il commissario straordinario (all’epoca Angelo Balducci) ne avalla 23. La giunta filtra e riduce a 10 (un anno dopo ne accoglierà altre 3). Tra le proposte bocciate: lo Sporting Palace. Nonostante il sì del commissario. Nonostante il parere, epr due volte favorevole, della Federazione nuoto presieduta da Paolo Barelli.

Mancavano i permessi dell’Ente Parco e della Soprintendenza archeologica. Era già intervenuto il guardaparco con un’azione di sequestro. Eppure i lavori non si sono mai fermati. L’edificio è cresciuto. Già appariva fuori posto com’era, tra le rovine e gli alberi dove l’hanno costruito, nel ’56, per ospitare uffici. Ora è un assurdo, eppure c’è. Non si è fermato il cantiere, ma neppure l’inchiesta della magistratura.
Sono tre gli indagati.

Ci sono altre quattro azioni giudiziarie sugli impianti dei Mondiali. Una è per “abuso edilizio, deviazione acque e modificazione terre, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, truffa ai danni dello Stato”. A firma di Italia Nostra e contro Salaria Sport Village. Ci andiamo. Il circolo ha attualmente una sola piscina, coperta da un pallone, dove mentre passiamo non nuotano più di dieci soci. Ne sorgeranno altre tre, due da 25 e una da 50 metri. Due saranno coperte. Ci sarà una foresteria da 41 stanze. Centosessantunomila metri cubi di cemento nell’alveo dello sversamento del Tevere. Uno di quei rischi su cui si fa poi vana polemica a disastro avvenuto. Più un paio di vincoli calpestati: paesistico e ambientale. Ma se lo Sporting Palace è rimasto nella lista dei bocciati (e ha costruito abusivamente) questo come ha potuto rientrare dopo il no del Comune guidato da Veltroni? E’ stato inserito in una seconda serie di autorizzazioni, compilata dal nuovo commissario straordinario, Claudio Rinaldi, su suggerimento della Federazione nuoto e passata dal Comune guidato da Alemanno. “Visto si scavi” per 9 impianti e 14 piscine. Oltre a questa ci sono, tra le altre, quella del Flaminio Sporting Club, di cui è dirigente Luigi Barelli, fratello del presidente federale che pure costruirebbe su un’area vincolata per intero.
E poi quella della riserva Macchione, di fronte alla tenuta del presidente della Repubblica, per la quale è partito un esposto che contesta la violazione di tre protezioni, e quella dell’area ex Snia Viscosa, parco destinato alla città, per cui l’autorizzazione ai lavori è arrivata in extremis. E, ultima ma solo in ordine geografico, la Sporting Life della società sportiva Nomentum, a Mentana, prossima tappa.

Per arrivarci lasciamo Roma, superiamo Monterotondo, dove pure sorge un megaimpianto ancora non completato, e arriviamo in questa vallata, un tempo intatta. Lo Sporting Life ha campi da calcetto (sui quali al momento corrono cani impegnati in un concorso di agilità che un megafono amplifica per la campagna), un laghetto da pesca e una club house. Ha aggiunto l’11 aprile un bar e ristorante, inaugurati con una serata eccezionale alla presenza del comico Nino Taranto. E le piscine? Eccole lì, tre buchi nella terra con altrettanti immigrati intorno. Una è per i bambini, le altre due sono di 25 e 34 metri. Lavori iniziati a marzo. Pronte per i Mondiali? Difficilmente. E che cosa verrebbero a farci qui, gli atleti che gareggeranno al Foro Italico? Più probabile rivedere un campione di agility che un ranista da podio. Eppure, sia questo impianto che quello della Salaria hanno conquistato in appello il diritto a esistere.

Come è successo? Avrà influito che a costruire il secondo sia, tra gli altri, il figlio del precedente commissario straordinario? A che punto e perché è saltato il filtro che imponeva criteri per le concessioni? I responsabili della vecchia giunta raccontano di essere
stati esposti a “molte pressioni”. Se già loro avevano in qualche caso ceduto, i successori si sono arresi. Il diluvio di nuove vasche è impressionante quanto disomogeneo. A suddividerle per i quartieri di Roma, tre ne hanno 9 ciascuna. Sette non ne hanno nessuna. A prendersene di più è la zona dei circoli, che con l’occasione ristrutturano, ampliano, aggiungono. E a trarne i principali benefici saranno, più che la cittadinanza, i soci paganti. Primi quelli dell’Aniene presieduto da Giovanni Malagò (che è anche alla guida del Comitato organizzatore di Roma 2009): hanno cominciato i lavori in anticipo sulla delibera comunale generale, li stanno già concludendo e festeggeranno con 6 mila invitati le tre piscine pur avendone chiesta, in un primo momento solo una.

Ci sono coincidenze che incuriosiscono. Andiamo nel cuore della città, nel quartiere Trieste, alla Fondazione Cristo Re. Gestisce campi da calcetto sopraelevati, sul tetto di una palestra un tempo pubblica e la cui acquisizione, rivelano scritte sui muri, non tutti hanno digerito. C’è una nuova piscina, coperta, di 25 metri, autorizzata dalla giunta Veltroni. E insieme a quella sono sbocciati 330 posti auto nello stesso complesso, due agglomerati di box rossi e gialli venduti ormai completamente per cifre comprese tra i 68 e i 120 mila euro.

Giù la serranda, è tempo, come il “Nuotatore”, di arrivare a casa, o meglio, a quella che doveva essere la casa dei Mondiali: a Tor Vergata. Dietro l’Università si stende una piana interrotta solo dai picnic e dall’immensa croce che fa da catalizzatore nei raduni religiosi. Uno spreco a cui se n’è sovrapposto un altro, di diverso segno. Eccola qui, la città fantasma dello sport. Dove doveva esserci il museo c’è una baracca di lamiera. Al posto dei gusci di Calatrava due dentiere ammaccate. Dentro una di quelle la “vasca degli spiriti”. Non echeggiano i suoni delle bracciate di Phelps o delle entrate in acqua della Cagnotto, ma quelle di litigi, incomprensioni, fatali prese di posizione. Già l’idea era una scommessa, una delle tante su cui Veltroni ha puntato per lasciare un’eredità che invece evapora. Il giocattolo gli è cresciuto tra le mani, fino a diventare ingovernabile. Il palazzetto per volley e basket è passato, per rispondere ai criteri internazionali, da 8 mila a 15 mila posti. L’Università ha scelto come progettista lo spagnolo Calatrava: tanto geniale quanto incontenibile. L’impresa appaltatrice era abituata a realizzazioni più schematiche. Ogni passo è divenuta una battaglia, un lievitar di costi e uno scambio di accuse. Presto è stato chiaro che i 280 milioni preventivati non sarebbero bastati, ne occorrevano almeno altri 100. A dir poco. E il tempo remava contro. L’elezione di Alemanno a sindaco è stata un’ascia. Se voleva spostare la teca dell’Ara Pacis, che già c’era, figurarsi due gusci ancora da posare. Fermi tutti. Controlli, riconsiderazioni, meglio fermarsi qui. Meglio? Meglio aver già speso 190 milioni per questo scarabocchio di cemento e ferro? Abbandonarlo lì vagheggiando futuri mondiali di basket o addirittura di baseball per riprenderlo? Meglio farne l’ennesimo detrito contemporaneo, la testimonianza da capsula del tempo che Roma dispensa rovine anche dal presente (salvo costellare quelle del passato di terrazze abusive)?

Eppure è così: il pubblico ha buttato 190 milioni. I privati, con l’alibi di doversi sostituire, ne hanno investiti altrettanti. Importa se molti dei loro impianti non saranno pronti a luglio, se non serviranno alla città dopo, se le foresterie diventeranno piccoli alberghi intorno a una vasca che doveva essere iridata? Che cosa resterà di tutto questo titanico sforzo: un monumento diffuso all’arte natatoria o un buco nell’acqua? Quando il “Nuotatore” finalmente arrivò “cercò di aprire le porte, ma erano chiuse a chiave e sulle mani gli rimase la ruggine delle maniglie… Batté con i pugni, tentò di abbatterle e poi si accorse che la casa era disabitata”.

16 aprile 2009

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BAGNINO DI DESTRA

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