BUON ANNO A TUTTI! I sardi sorridono, sotto le manganellate dei celerini maroniani.

Dopo anni senza progetti
l’agricoltura sarda è al collasso

di Giacomo Mameli

Di ragioni per scendere in piazza i pastori potrebbero accamparne mille. Oggi più di ieri, dopole aggressioni della polizia a Civitavecchia «dove siamo state maltrattate, pestate come in un lager», ha detto la moglie di un allevatore della Barbagia sbarcando malconcia a Olbia. Ragioni sacrosante di protesta contro la libertà violata, per la Costituzione applicata a colpi di manganello, per un salto indietro di settant’anni nel rispetto dei diritti civili. Ma anche ragioni che vengono da lontano. Le condizioni finanziarie dell’agricoltura sarda sono al collasso, l’indebitamento complessivo sfiora i 700 milioni di euro, interi settori viaggiano con margini minimi di sopravvivenza, con gli ufficiali giudiziari fissi a notificare – ovile per ovile – atti di pignoramento e sequestro di beni. Un’economia che, invece, potrebbe e dovrebbe essere davvero verde, in una regione eccellenza ambientale, da sempre definita agro-silvo- pastorale, ma che è terribilmente in rosso anche nella sua bilancia agroalimentare. La Sardegna importa il 90% della frutta che consuma, il 65% della verdura. Le patate arrivano dall’Emilia. L’aglio dalla Cina e dal Portogallo. Mandorle e noci dalla Turchia. In Sardegna, terra storica di allevatori, sette bistecche su dieci consumate nelle tavole dei sardi sono di carni importate dalla pianura padana, dalla Baviera, dalla Polonia o dall’Argentina. In Sardegna, isola per eccellenza al centro del Mar Mediterraneo, nove pesci su dieci continuano a essere importati dalle valli di Comacchio, da San Benedetto del Tronto o dall’Est Asiatico. La bottarga di muggine è fatta con le uova dei pesci che giungono dal Brasile. Le aragoste consumate dai turisti non sono sarde ma made in Corea o Cuba. Arrivano dagli Oceani spigole e orate, pagelli e saraghi. Perché l’Isolanonne produce. Cosìcome nongarantisce nemmeno il fabbisogno dei “maialetti” da servire arrosto in riva al mare o negli agriturismo se è vero come è vero che la Guardia di Finanza – oggi sì e domani pure – sequestra intere partite di suini da latte importati in camion frigo dall’Olanda o dal Portogallo. Perché questa catastrofe verde? Perché – in Sardegna come in camponazionale – la rabbia sta esplodendo. Perché mai c’è stata una regìa che abbia avviato una programmazione vera delle produzioni agricole. È stato dimenticato, snobbato un settore dove, nella sola Isola, sono attive 58mila imprese con oltre 75mila addetti. Tutto per responsabilità di una classe politica che, dagli anni della Rinascita, ha venduto sogni alla Vanna Marchi e distribuito soldi senza alcun progetto. Contributi per consenso elettorale, per acquistare trattori spesso inutilizzati,mungitrici meccanichenonsempre necessarie, pari a veri fiumi di denaro pubblico che non hanno creato un’agricoltura e una zootecnia produttiva e moderna. Eppure ci sono distese infinite di campagne irrigue, dal Campidano di Cagliari e Oristano alla Nurra di Alghero e Sassari. Il patrimonio zootecnico è consistente: tre milioni e mezzo di capi ovini, produzione lorda vendibile stimata in 1.778.359.000 euro, l’indotto distribuisce altre 12mila buste paga. In questo deserto c’è anche chi ha saputo innovare e si colloca al vertice nazionale. La viticoltura sarda ha non poche aziende di successo. Idem nella trasformazione dei formaggi, nella lavorazione dei salumi, la produzione di olio. Ci sono aziende pastorali modello. Potete trovare allevatrici chemungonocapre e pecore ascoltando Mendelssohn e Vivaldi e poi organizzano dibattiti all’Università della Terza età. Ma queste sono eccezioni. La regola porta i pastori a protestare in Costa Smeralda o negli aeroporti, sulla Carlo Felice o davanti al Consiglio regionale a Cagliari.ARoma no, il leghista Roberto Maroni non consente. Sente solo le ragioni degli allevatori padani. I sardi non hanno truffato l’Unione europea. Protestano perché non hanno futuro economico. Il latte di pecora retribuito con 60 centesimi al litro è un’elemosina. È un’elemosina il contributo di tremila euro ad azienda proposto dalla giunta di centrodestra. «Ci vogliono tappare la bocca con una brioche», ha detto Fortunato Ladu, uno dei leader più lucidi della rivolta. L’ultima giunta di centrosinistra stava cercando di organizzare le «“filiere produttive comparto per comparto». Poi tutto è saltato in aria. E si è tornati alle regalie, la pastorizia non si è saputa organizzare, i sindacati sono lacerati. Il tandem Berlusconi-Cappellacci voleva che la Sardegna «tornasse a sorridere». Invece si lamenta delle manganellate.
30 dicembre 2010

°°° In pratica, questo signore scrive oggi le cose che io dico e scrivo da 40 anni. Ma da queste parti  è molto più comodo leccare il culo ai politicanti per fare un minimo di carriera inutile e dormire per la gran parte del tempo. A differenza di questi soloni dell’ultim’ora, io proponevo e propongo SOLUZIONI, non mi sono mai limitato alle critiche.

pastore

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