C’è molto poco da festeggiare

Sui migranti Meloni si concede lo show, ma l’accordo con l’Albania può essere un boomerang

Mettiamola così: al Viminale hanno i capelli ritti perché scrivere e definire a livello giuridico i punti chiave dell’accordo con l’Albania sarà cosa complessa assai; le opposizioni, Pd in testa, vogliono leggere l’intesa che poi dovrà essere votata dal Parlamento. Due reazioni più vicine di quel che sembra e che suggeriscono cautela nel festeggiare ed esaltare “il successo storico” della premier perché “per la prima volta un paese terzo rispetto alla Ue aiuterà uno stato europeo nella gestione dell’immigrazione illegale”.

I “risultati” del successo storico, infatti, sono rinviati di “qualche mese, più o meno aprile”. Solo allora sarà possibile valutare se il protocollo Italia-Albania per gestire circa 40mila migranti ogni anno rispetta diritti, accordi e convenzioni europee ed internazionali e se sarà efficace nella lotta ai trafficanti di uomini. Fino ad allora la maggioranza, soprattutto i Fratelli, potranno fare demagogia e propaganda senza dover rendere conto dei fatti. Quando arriverà il tempo della verifica, l’esternalizzazione fai-da-te della gestione dei migranti potrebbe rivelarsi un boomerang per la stessa credibilità della premier.

Con onesto pragmatismo occorre riconoscere che Giorgia Meloni lunedì ha sparigliato: nessuno se lo aspettava, pochissimi sapevano, se tutto va come previsto e raccontato il messaggio che arriva ai migranti è che la maggior parte di loro (circa 40mila l’anno) non arriverà più in Italia, non in Europa ma in Albania tuttora sub iudice nel processo di ammissione all’Unione europea. Se questo è un forte deterrente contro l’immigrazione illegale, tutto il resto, le regole d’ingaggio, il rispetto dei diritti e delle convezioni e le soluzioni finali sono un work in progress la cui fattibilità e il cui esito sono tutti da dimostrare. Partendo dalla fine, che poi dovrebbe essere sempre l’inizio di ogni ragionamento sul tema migranti, la domanda è cosa succederà dei 36mila migranti (su 40mila previsti, in genere solo il 10% ha diritto all’asilo) ristretti nella ex caserma albanese di Gjader quando alla fine dei 18 mesi dovranno essere rimpatriati. Una cosa è certa: se l’Italia non riesce a fare le espulsioni, non riuscirà neppure l’Albania. Il presidente albanese Edi Rama non ha avuto dubbi: “È chiaro che sono persone in carico all’Italia e non all’Albania”. Dunque alla fine di questa gita albanese, i migranti che non hanno diritto e che sono stati ristretti in Albania potrebbero essere trasferiti in Italia. E ritrovarci in casa il problema come e più di prima. La prova sarà disponibile nel pieno dell’estate, dopo il voto per le Europee. Fino ad allora, sarà show.

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Nel memorandum firmato lunedì a palazzo Chigi sono individuate le due aree che il governo albanese darà in gestione all’Italia. Il centro di prima accoglienza, dove saranno fatti i riconoscimenti e le valutazioni sul diritto all’asilo “entro i 28 giorni” previsti dal decreto Cutro, è previsto nel porto di Shengjin. Chi non ha diritto all’asilo sarà mandato a venti chilometri nella ex base militare di Gjader, con tanto di aeroporto, in attesa di essere rimpatriato. L’ex base militare sarà un Centro per il rimpatrio italiano in terra albanese: manutenzione, personale, giurisdizione italiana. Così come il centro di prima accoglienza di Shengjin. Un po’ come se fossero due ambasciate: territori italiano all’estero. Fuori dalle due strutture, la vigilanza e la sicurezza saranno in capo alla polizia, allo stato e alle leggi albanesi. Anche questo, con molto cinismo, può essere definito un deterrente.

Protocollo Italia-Albania

L’accordo tra i due Stati in sé non è un problema. Si può fare. Di sicuro non sottrae l’Italia, e neppure l’Albania, dal rispetto degli obblighi internazionali ed europei. Le organizzazioni umanitarie, da Amnesty a Medici senza frontiere, hanno già denunciato le violazioni del diritto d’asilo. La Commissione Ue, finora esclusa dall’accordo, attende dettagli perché il mix di diritto nazionale, internazionale ed europeo potrebbe risultare ingestibile. Anche Rama ha problemi in casa. Le opposizioni lo attaccano: “Che fai, ci porti la crisi italiana in casa?”. Come si vede, c’è molto poco da festeggiare.

Claudia Fusani

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