COME RIPETE DA SEMPRE RENZI E (NEL MIO PICCOLO ANCH’IO):

Puntare sulla scuola e investire sugli uomini di domani.

di di Claudia de Lillo

Riprendono le lezioni tra edifici a rischio crollo e aule sgarrupate. Ma è ancora qui che si formano i futuri cittadini.

11 SETTEMBRE 2023

Correva l’anno scolastico 1902/1903 e in una scuola elementare in Sardegna una maestra assegnò ai suoi alunni di quinta un tema in classe: “Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?”. Non sappiamo quanti ragazzini fossero seduti ai banchi di quell’aula. Probabilmente erano molti, avevano dieci anni o poco più, portavano capelli corti e grembiuli neri che li rendevano tutti uguali davanti alla lavagna e alla maestra. “Io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna”, scrisse quel giorno uno di loro.

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Oggi, per molti, ricomincia la scuola, che scandisce il tempo delle nostre vite adulte, che pacifica le nostre coscienze di genitori affannati, distratti, forse colpevoli, che sta lì, a due o tre isolati da casa, così familiare e scontata che, dopo la prima campanella, non ne parliamo più.

Ricomincia la scuola, pubblica, precaria, svuotata, negletta, necessaria, memento del nostro scapigliato passato ma soprattutto contenitore del nostro incerto domani.

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“A cosa serve la scuola?”. A imparare l’inglese e l’informatica? A declinare rosa-rosae? A risolvere le divisioni a due cifre? A trovare un buon lavoro?

“Gli studi sono la mia unica speranza di vivere onoratamente”, scriveva quel bambino, all’inizio del 900, nel tema in classe.

In quegli edifici che scricchiolano, in quelle aule sgarrupate dove, nei casi più fortunati, fa bella mostra di sé una pirotecnica Lim (l’apparentemente irrinunciabile lavagna interattiva multimediale), oggi, come allora, si coltiva la speranza di un futuro popolato da persone per bene, competenti, capaci di accoglienza, di gentilezza, di tolleranza e attenzione, fondamenta di una società in cui valga la pena vivere.

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Ma perché sia fertile e vitale, questo terreno prezioso deve essere messo al centro dei nostri pensieri. In questo terreno dobbiamo credere fortemente. Su di esso dobbiamo puntare le nostre migliori risorse.

L’istruzione e la cultura sono le forma di prevenzione più efficace contro la violenza e la prevaricazione. Non si nasce prepotenti né bulli né mostri. Lo si diventa quando si è abbandonati a se stessi, quando ci si arrende, quando si perde la speranza di cui parlava quel bambino. L’inasprimento delle pene per contrastare la devianza dei minori è una dichiarazione di impotenza, la resa di fronte al fallimento. È l’intervento tardivo e rinunciatario su un paziente che poteva essere salvato.

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Ricomincia la scuola che ha bisogno di insegnanti motivati, di dirigenti scolastici responsabili, di strumenti adeguati, di entusiasmo e di energia. Ricomincia la scuola che ha bisogno di investimenti. Perché i soldi pubblici servono a garantirci un futuro. A salvarci tutti.

“Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini” proseguiva l’elaborato dell’alunno di oltre un secolo fa. “Torna agli studi e vi troverai tutti i beni possibili”, scriveva al suo amico benestante e molto intelligente, prima di congedarsi: “Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal Tuo affezionatissimo amico”. Quel bambino di quinta elementare, in Sardegna, si chiamava Antonio Gramsci.

instagram @quielasti

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