Ma quale conflitto? C’è solo un delinquente e la sua cosca che insultano e delegittimano i magistrati!

Il timore del Colle:
insanabili conflitti tra le istituzioni

Più forte l’ipotesi che le urne siano lo sbocco fatale della legislatura Dietro le quinte. Disagio anche per la neutralità appannata di Fini e Schifani Il timore di Napolitano: conflitti istituzionali insanabili Più forte l’ipotesi che le urne siano lo sbocco fatale della legislatura Giorgio Napolitano, 85 anni Giorgio Napolitano, 85 anni Ormai lo teme anche lui: la conclusione anticipata della legislatura potrebbe diventare lo sbocco fatale di un conflitto politico che si trascina da mesi e che coinvolge pure le istituzioni. Un esito forse quasi inevitabile, insomma. Appunto perché, considerato il calcolo costi-benefici prodotto dallo scontro in corso – calcolo che pende tutto sul lato dei costi – corriamo il rischio che la sola prospettiva sul tappeto a breve termine sia un chiarimento attraverso le urne. Rispetto a quella che appare sempre più come una sfida allo sfascio, il Paese potrebbe avere meno da perderci. Ecco che cosa pensa Giorgio Napolitano, in questi sconcertanti giorni di rissa, confusione, guerra civile continua. Lo pensa e lo dice a chiunque incontri, della maggioranza come dell’opposizione. Avvertendo che, se fino a poche settimane fa si era speso per salvaguardare il valore della stabilità (ma occhio agli equivoci: la stabilità dell’intero sistema democratico messo a rischio, purché sia una tenuta concreta e operosa, e non certo un galleggiamento torpido e avventuroso), da oggi in avanti farà fatica a essere altrettanto perentorio. È un estremo richiamo alla responsabilità che il presidente della Repubblica ripete, nella sua ininterrotta moral suasion. Probabilmente gli appare come l’ultimo avvertimento possibile, dopo che non sono stati raccolti i tanti pubblici appelli a deporre le armi lanciati dal Quirinale. Non prenderà iniziative istituzionali straordinarie, il capo dello Stato. Non convocherà martedì al Quirinale Gianfranco Fini e Renato Schifani, come qualcuno ha suggerito, se non altro (ma non solo) perché sarà in visita tra Milano e Bergamo. L’ultima volta in cui li ha incontrati, in un vertice a tre, fu il 16 novembre 2010. Quando concordò con loro il calendario parlamentare per approvare la Legge di Stabilità prima di un critico voto di fiducia al governo, che slittò di un mese. Con quell’intesa, i due gli parvero all’altezza della situazione, che imponeva di blindare la manovra finanziaria nell’interesse di un’Italia esposta alla speculazione internazionale. Adesso le cose sono un po’ cambiate. Per Fini, che da allora ha accentuato molto il proprio impegno politico, fondando un partito collocato all’opposizione e reclamando le dimissioni del premier. E per Schifani, che, per come ha consentito l’irruzione del «caso Santa Lucia» al Senato, si è mosso anch’egli quasi alla stregua di un capo-fazione. Dimostrando entrambi difficoltà a sottrarsi alle reciproche appartenenze di partito, hanno fatto lievitare un altro motivo di disagio per Napolitano. Il presidente della Repubblica ha riservatamente spiegato a tutti e due i motivi delle sue preoccupazioni e, di conseguenza, l’inderogabile necessità di preservare l’immagine e la sostanza «neutrale» delle istituzioni loro affidate. Così come lui stesso si sforza di tenere l’istituzione Quirinale al riparo dalla tempesta. A quanto pare, sia Fini sia Schifani gli hanno espresso una pari consapevolezza della pericolosa scivolosità di un conflitto che non risparmia più nessuno. «Mai come ora l’Italia ha avuto bisogno di persone che non siano protagoniste di un duro scontro politico e reggano con forza il timone delle regole e delle procedure»: così ha scritto Sergio Romano l’altro ieri sul Corriere, in un editoriale che rispecchiava molte idee del capo dello Stato. Regole, procedure, decoro delle cariche istituzionali, senso di responsabilità da parte di tutti: è l’intero sistema democratico che rischia di essere violentemente travolto (per non dire della paralisi dell’azione di governo), in questi momenti convulsi e confusi. Il problema, nella prospettiva del Colle, è che nessuno dimostra di voler fare un passo indietro. Non lo fa Silvio Berlusconi, che a giorni alterni inonda le televisioni di ansiogeni videomessaggi: un disco rotto in cui si autoassolve e, insieme, attacca la magistratura, altro potere dello Stato. Non lo fanno certi esponenti di spicco della maggioranza che, se pure in privato confessano al presidente un profondo malessere, in pubblico smarriscono il coraggio e mostrano troppa timidezza e poca autonomia, magari temendo di essere messi ai margini. E non lo fanno i mass-media che – a parte alcuni casi di provocazioni e manipolazioni interessate – lo stesso incalzare delle notizie costringe ad alimentare il tritacarne delle polemiche. Una delegittimazione incrociata e un crescendo di tensioni che Napolitano segue con ansia, impressionato per lo scenario generale. Un panorama di rovine così sconfortante da fargli immaginare (e temere) che, a questo punto, le elezioni siano forse il male minore e il solo modo per sbloccare la situazione. «Il voto non è un balsamo per tutte le febbri», aveva detto a metà settembre, replicando a chi gli intimava di prepararsi a firmare il decreto di scioglimento delle Camere. Ma questa sta diventando più che una semplice, fisiologica febbre.
Marzio Breda 30 gennaio 2011]

°°° Credo che sia ora di smetterla di trattare Silvio Berlusconi come se fosse davvero il premier di questa nazione. Tutto il mondo sa benissimo che si tratta solo di un pericoloso delinquente che si è comprato un partito di malavitosi ed ha devastato per tre volte l’Italia intera per arricchirsi e sfuggire alla giustizia. Io non mi sono mai sentito rappresentato da questo cialtrone e come me almeno l’80% dei miei concittadini. Una preghiera alla dormiente opposizione:  SVEGLIATEVI! Cacciamolo via, riprendiamogli tutto ciò che ha rubato e mandiamolo in galera a scontare le giuste pene. SOLO COSI’ TORNEREMO A ESSERE UN PAESE NORMALE.

b.delinquente

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