POVERO, RIDICOLO, MASSONE AL SERVIZIO DEI TRAVAGLI E DELLA MAFIA RUSSA!

Movimento lento.

L’insostenibile inconsistenza politica di Giuseppe Conte

Mario Lavia

Il leader grillino vive ancora di rendita e acquattato assiste al doppio wrestling dialettico tra Meloni, Schlein e Salvini

Assiste al doppio wrestling – quello tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini e quello tra Giorgia Meloni ed Elly Schlein – rimastica brandelli di propaganda antigovernativa, si affaccia nei pastoni e stasera da Bruno Vespa, politicamente è fermo come un paracarro: bella vita, quella di Giuseppe Conte. Posizionamento tattico ideale, per uno come lui. Completamente afono nei contenuti, lucra sulla crisi del governo e i balbettamenti del Partito democratico specie su temi che fanno male a chiunque vi si accosti a partire dall’immigrazione. 

Tutti, più o meno brillantemente, si stanno scervellando per capire come comportarsi di fronte alla fortissima pressione di queste settimane su Lampedusa e le coste siciliane, si riunisce il Consiglio dei ministri per fare la faccia feroce dei carcerieri, si fanno comizi anti-immigrati come sul prato di Pontida, si riunisce d’urgenza la segreteria del Pd (le altre volte evidentemente fanno con calma) per escogitare una linea che non sia tacciabile di permessivismo né del suo contrario, molte idee ma alla fine l’italiano medio non capisce bene se possano entrare tutti o no e se è no cosa succede. L’unico che sta zitto è il capo del M5s, non si espone, sta al balcone come Eduardo a sorbire il caffè, il ciuffo ribelle e lo sguardo severo come di chi parla di un Paese che non è il suo, fa finta di fare politica ma capisce che non è il momento.

D’altra parte fa così su tutto. Che propone, l’avvocato? Che dice, il Movimento? Zero. Meglio stare sulla riva del fiume, cosa c’è di più comodo? È talmente fuori dal dibattito pubblico, Conte, che ci si è dimenticati di lui, che pure sull’immigrazione ha il torto storico di aver assecondato i famigerati decreti Salvini sotto il suo primo governo, è vero, basterebbe questo per squalificarlo dal dibattito. È stato massacrato, a ragione, sul Superbonus ma lui ha alzato le spalle, tanto il dividendo c’è già stato. 

Vive di rendita, l’avvocato, il salario minimo è un rimpianto per molti e i suoi elettori sanno che è il più professionista di tutti, senz’altro meglio – pensano – della «ginnasiale» (copyright Giuliano Ferrara) che guida un Pd che da qualche tempo ha il terrore di non riuscire a risalire la china, complice anche l’iperattivismo della segretaria che induce confusione, non riuscendo a sfondare il muro dello scetticismo di massa che si erige alto attorno al fortino del Nazareno. 

Pungere Meloni, poi, per un uomo di mondo come Conte è un gioco da ragazzi mentre Carlo Calenda e Matteo Renzi ormai lo ignorano, cordialmente ricambiati. Così, per inerzia, il Movimento 5 stelle cammina radendo i muri come i ladri di notte e riesce a mantenere in questo modo paradossale suoi numeri nei sondaggi, il che è forse il problema numero uno per un Pd che se non arraffa lì dove altro li deve prendere i voti.

La scommessa di Schlein, mai esplicitata, è infatti quella di riportare il suo partito almeno ai livelli di Pier Luigi Bersani (venticinque per cento) senza escludere dunque con un po’ di fortuna di poter diventare primo partito ma se non riesce a scalfire la corteccia contiana l’obiettivo non verrà centrato, e lui lo sa, per questo ha scelto di stare al largo della tempesta nella prospettiva di salvarsi dal naufragio della politica di cui egli è peraltro tra i principali responsabili.

Ecco perché Conte è per Schlein quello che Salvini è per Meloni, per le due leader una concorrenza in un certo senso sleale – entrambi lucrano sulle disgrazie altrui – ma che rischia di funzionare portando ulteriori blocchi di melma nelle due paludi stagnanti del governo e dell’opposizione.

Condividi:

Unsplash

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter