SARDISTAN, “onorevoli” (?) alla sbarra per grinfie lunghe.

Fra tre giorni 19 onorevoli dal giudice

Fase di verifica per l’inchiesta della procura di Cagliari, per Ladu processo il 5 novembre

CAGLIARI. C’è chi con i soldi destinati all’attività politica dei gruppi regionali ha pagato il carrozziere, chi dice di averli regalati alle donne della pulizia, chi ha saldato le bollette telefoniche del proprio studio legale e chi neppure si è preoccupato di spiegare dove siano finiti quei 2500 euro che ogni mese venivano versati a ciascuno dei consiglieri della massima assemblea sarda nel corso della legislatura 2004-2009. Al palazzo di via Roma er Batman non c’è, ma il primato nel settore supereroi del mangia-mangia a spese pubbliche è tutto sardo. Perché se a Roma, in Campania e in Lombardia le indagini sono appena all’inizio, la Procura di Cagliari ha già spedito davanti al giudice venti consiglieri regionali dei gruppi «Misto» e «Sardegna Insieme» accusandoli di peculato per le stesse ragioni che hanno messo in imbarazzo, non solo politico, Renata Polverini.

A denunciare uno scandalo che per motivi insondabili è rimasto circoscritto in Sardegna è stata Ornella Piredda, una funzionaria dei gruppi consiliari finita sotto mobbing soltanto perché chiedeva agli eletti del parlamento isolano di rendicontare le spese sostenute coi fondi che la presidenza del consiglio regionale assegna a tutti i gruppi per convegni, consulenze, viaggi di studio, spese istituzionali. Lei chiedeva e loro nicchiavano, convinti che lo statuto autonomo garantisse persino il segreto sull’uso del denaro pubblico. Una tesi piuttosto azzardata, che il pm Marco Cocco – forte di una sentenza della Corte di Cassazione dai contenuti tombali – ha confutato severamente nella richiesta di rinvio a giudizio depositata all’inizio dell’estate. Richiesta ancorata a una formula di rito uguale per tutti gli indagati: «In qualità di consigliere regionale, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso indebitamente percepiva, appropriandosene, le somme di denaro delle quali aveva la disponibilità per ragione del suo ufficio, erogate dal Consiglio in favore del gruppo di appartenenza».

Per l’ex assessore regionale e deputato del Pdl Silvestro Ladu il processo pubblico è già fissato: accusato di aver intascato illegalmente 253 mila euro dovrà presentarsi il 5 novembre davanti ai giudici del tribunale. Al suo fianco sarà Piero Longo, lo storico difensore di Silvio Berlusconi. Gli altri diciannove consiglieri ed ex consiglieri hanno un appuntamento questo mercoledì con il gup Cristina Ornano, che dovrà decidere se le prove raccolte dalla Procura, analoghe in buona parte a quelle che hanno incastrato Ladu, sono sufficienti a rinviarli a giudizio. I nomi sono questi: Adriano Salis e Giommaria Uggias (Idv), Carmelo Cachia (Pd), Giuseppe Giorico (ex Udeur), Sergio Marracini (Udc), Salvatore Serra (Sinistra autonomista), Tore Amadu, Oscar Cherchi e Renato Lai (Pdl), Mario Floris (Uds), Alberto e Vittorio Randazzo (Udc), Giuseppe Atzeri (Psd’Az), Beniamino Scarpa (prima Psd’az poi Pd), i socialisti Maria Grazia Caligaris, Raimondo Ibba, Pierangelo Masia e Raffaele Farigu, Peppino Balia (Socialista). Atzeri dovrà rispondere anche di falso, abuso d’ufficio, maltrattamenti e lesioni per via del suo rapporto travagliato con la funzionaria Piredda, che si è costituita parte civile con l’avvocato Andrea Pogliani e ha già vinto la causa di lavoro intentata contro l’esponente sardista, costretto dal giudice a risarcirle di tasca le somme che le aveva tagliato dallo stipendio per aver violato l’omertà interna. Quella che la coraggiosa funzionaria decise di segnalare alla Procura sembra infatti che fosse una prassi molto diffusa in consiglio regionale, dove un’indennità che supera i 15 mila euro al mese non basta a soddisfare le esigenze finanziarie di molti onorevoli sardi.

Se il procedimento penale ha coinvolto soltanto due gruppi la ragione è semplice: sono quelli in cui ha lavorato la Piredda, i due esposti della funzionaria e le sue testimonianze riguardano quelli e non altri. Ma non è detto che i venti chiamati finora in tribunale siano i soli a dover spiegare dove sono andati a finire quei soldi: in alcuni passaggi dei verbali d’esame davanti al pubblico ministero affiorano riferimenti che sembrano confermare l’abitudine quasi generalizzata in consiglio regionale di considerare quei fondi come una sorta di appannaggio personale, esentasse e da usare liberamente. Il pm Cocco non ha ancora concluso il lavoro, un fascicolo resta aperto e i processi che stanno per cominciare.

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