La stupidità dei tecnici-macellai: ora uccidono anche il biologico che fa profitti!

Settore bio, eccellenza senza crisi. Ma la ‘spending review’ lo vuole tagliare

Crab, lo sportello piemontese per l’agricoltura biologica, rischia la chiusura anche se, pur costando 280mila euro all’anno, ne genera da solo oltre mezzo milione. Colpa dei tagli imposti dal governo Monti, ma anche di una miopia che non valorizza i prodotti e i lavoratori della terra

di aglio
Settore bio, eccellenza senza crisi. Ma la ‘spending review’ lo vuole tagliare
Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Crisi, in Sicilia nasce il movimento “dei forconi”°°° Toh, si comincia?

Crisi, dalla Sicilia parte la protesta
del movimento dei forconi

Cinque giorni di mobilitazione. Tir e trattori fermi sulle strade dell’isola. Una settimana di mobilitazione del movimento, alleati con i trasportatori. Per la terra che non produce reddito ma solo debito

Il movimento dei forconi

Gli “indignati” di Sicilia hanno rispolverato un’icona di chi lavora la terra: il forcone. In Trinacria è diventato il simbolo di un movimento di agricoltori che vuol far sentire la propria voce. Quelli dei forconi sono assolutamente determinati. Perché non hanno più nulla da perdere. Le loro aziende agricole sono in default. Quello che producono non genera più profitto, è solo un costo. Arance e pomodori, grano e zucchine non hanno più valore. I prezzi al mercato ortofrutticolo sono alterati dalla globalizzazione, dalla grande distribuzione, da prodotti importati spacciati per locali. Un chilo di limoni ormai si vende a meno di 30 centesimi di euro. Trasportarlo su un tir che va al Nord costa più del doppio.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/15/crisi-dalla-sicilia-parte-protestadel-movimento-forconi/184027/

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Si mette male…

Il RAPPORTO
Allarme migrazioni di massa
In fuga dal clima impazzito
I mutamenti climatici stanno già causando spostamenti significativi della popolazione. E nei prossimi decenni metteranno a rischio intere comunità con ripercussioni globali

di ALESSIA MANFREDI

UNA MAREA umana in fuga da siccità, inondazioni, mari che si innalzano fino a mangiare la terra, e da altri fenomeni figli dei mutamenti del clima. Migrazioni di massa, alla ricerca di una vita migliore o, più semplicemente, di un modo per rimanere vivi, che si verificheranno su larghissima scala nei prossimi decenni, coinvolgendo decine di milioni di persone: qualcosa di mai visto prima, per ampiezza ed estensione. E’ lo scenario tratteggiato da un nuovo rapporto presentato oggi a Bonn a margine dei negoziati per un nuovo accordo contro il riscaldamento globale, curato dal Center for International Earth Science Information Network della Columbia University, di New York, dalla United Nations University e da Care International. Che non azzarda cifre precise – anche se altri studi hanno indicato fra i 25 ed i 50 milioni di potenziali sfollati e profughi entro il 2010 e 700 milioni entro il 2050, mentre l’Organizzazione internazionale dei migranti si tiene su una cifra mediana, di 250 milioni nel 2050 – ma sottolinea quanto il clima giochi e giocherà sempre di più un ruolo chiave in questo fenomeno, a fianco di altri elementi come l’instabilità politica ed economica, e la distruzione da parte dell’uomo di specifici ecosistemi oltre allo sfruttamento eccessivo dei terreni per l’agricoltura.

Pensare che riguardi solo i paesi più poveri è un’illusione: le ripercussioni, scrivono i ricercatori nel rapporto “In search of shelter, mapping the effects of climate change on human migration and displacement”, si faranno sentire per tutti, su scala globale. Perché “il clima è il contenitore nel quale ognuno di noi vive quotidianamente la propria vita”, ricorda Alexander de Sherbinin, coautore dello studio.

Cause – ed effetti – dei “profughi del clima” sono a tutto campo. E vanno dalla distruzione delle economie basate su ecosistemi di sussistenza specifici come la pastorizia, agricoltura e pesca, fattore dominante nelle migrazioni forzate, all’aumento per frequenza ed intensità di calamità naturali come cicloni, inondazioni e siccità, dovuti al cambiamento del clima. Le piogge in Messico ed America Centrale, ad esempio, nel 2080 caleranno dell’80 per cento. A causa di queste modifiche ambientali, gli allevatori, in alcune parti del Messico così come nel Sahel africano, stanno già oggi lasciando le loro case per spostarsi in zone più accoglienti.

Il livello dei mari, poi, è una minaccia per moltissimi Paesi e città, da Mumbai a Los Angeles, da Rio de Janeiro a New York. L’arrivo di acque salate, insieme ad inondazioni ed erosioni, rischia di distruggere l’agricoltura nei popolati delta del Mekong, del Nilo o del Gange. Con danni inimmaginabili: un innalzamento del livello del mare di due metri – ampiamente previsto in diverse proiezioni per questo secolo – inonderebbe quasi la metà dei 3 milioni di ettari di terreni coltivati del Mekong. E isole del Pacifico stanno già considerando un esodo di massa della popolazione: è il caso ormai famoso delle Maldive.

Non solo: lo scioglimento dei ghiacciai alpini nell’Himalaya porterà la devastazione in diverse terre coltivate in Asia, aumentando le inondazioni e riducendo drasticamente le riserve di acqua a lungo termine. Un dato drammatico se si pensa che i bacini del Gange, del Brahmaputra, dell’Irawaddy, dello Yangtzee e del Fiume Giallo danno sostentamento a 1,4 miliardi di persone.

La maggior parte dei migranti, probabilmente rimarrà all’interno dei confini del proprio stato, rileva il rapporto, o si trasferirà nei Paesi confinanti, ma questo non sarà possibile in tutti i casi. Se i conflitti interni si esaspereranno, le conseguenze arriveranno lontano, fino ad interessare anche i Paesi più ricchi. Uno scenario sorprendente e molto serio, avverte Charles Ehrhart, coordinatore dei mutamenti climatici per l’organizzazione internazionale CARE, in cui le società colpite maggiormente dai cambiamenti ambientali potrebbero trovarsi invischiate “in una spirale negativa di degrado ecologico, che le trascina in basso, dove non esistono più reti di sicurezza sociali, mentre violenza e tensioni aumentano”.

Per questo, raccomandano i ricercatori, è vitale che i Paesi raggiungano un accordo per il taglio delle emissioni di gas serra all’incontro sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a dicembre. Anche se il processo negativo è già innescato e le conseguenze rischiano di essere inevitabili. “I cambiamenti del clima stanno avvenendo con velocità ed intensità maggiori rispetto alle previsioni precedenti” si legge nelle conclusioni del rapporto. “I livelli di sicurezza per i gas serra atmosferici potrebbero essere molto inferiori rispetto a quanto non si pensasse prima e allo stesso tempo le emissioni di CO2 aumentano ad un tasso sempre più elevato”. Con ripercussioni senza precedenti per la popolazione: “Le migrazioni vanno riconosciute come un elemento importante dell’adattamento” ai mutamenti climatici, sottolinea ancora Ehrhart.

Prioritari, quindi, raccomandano gli esperti, sono gli investimenti per i Paesi più a rischio, ed un approccio della comunità internazionale pratico, con accorgimenti come lo sviluppo di tecniche di irrigazione che sfruttino una minore quantità di acqua, e la preparazione di sistemi specifici per affrontare meglio i disastri naturali. I Paesi devono inoltre trovare un accordo su come trovare una sistemazione per le popolazioni che abitano pianure a rischio. E occorre migliorare il sistema delle rimesse degli emigrati per i familiari che rimangono nelle regioni più vulnerabili.

°°° Tutto questo cataclisma epocale arriva proprio mentre, per stupidi e volgari FINI ELETTORALISTICI, quell’idiota del mafionano si scaglia contro gli immigrati di Milano. “Milano sembra Africa”… Se volete cercare la statura di questo “statista”, amici, dovrete scendere nelle fogne più sotterranee.

afp_15955319_34160

MA CHE MINCHIA DI MONDO E’?

mondo


°°° Ma dove cazzo sono capitato?

aquarium-of-the-exotic-aquatic

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Belle notizie

Scattata in Brasile l’esecuzione di una sentenza che difende le terre degli Indios
Per la prima volta sono i latifondisti
a essere cacciati dall’Amazzonia

Tensione per l’allontanamento forzato dei grandi coltivatori. Il governatore: «Diventerà uno zoo umano»

La scheda sui popoli indigeni che abitano nella zona di Raposa-Serra do Sol

Prima di lasciare le loro proprietà bruciano tutto, per non lasciare niente agli Indios. Per la prima volta a essere cacciati dalla loro terra, nell’Amazzonia brasiliana, non saranno gli indigeni: sono loro ad avere vinto, per la prima volta, una battaglia legale che riconosce i loro diritti e vieta ai latifondisti di frazionare un’altra fetta di foresta. A dover fare le valige, con le buone o con le cattive, sono i bianchi. Scaduta la data limite di 45 giorni per il ritiro volontario dei non-indios, la polizia federale brasiliana ha infatti cominciato le operazioni di espulsione dei grandi coltivatori di riso (arrozeiros), dei latifondisti e dei contadini che ancora occupano abusivamente la terra indigena Raposa/Serra do Sol, nello stato amazzonico settentrionale di Roraima.

LA RESISTENZA DEI LATIFONDISTI – Il capo degli “arrozeiros”, Paulo Cesar Quartiero, accusato di molteplici episodi di violenza contro i nativi locali e di danni all’ambiente, ha resistito quasi 12 ore allo sgombero opponendosi a una pattuglia di 25 agenti. La sua Fazenda Providencia, riferiscono i giornali brasiliani, è stata assegnata dal “tuxaua” (capo indigeno) Avelino Pereira della comunità di Santa Rita a dieci famiglie di nativi che vivranno di agricoltura. Le autorità locali stimano che il ritiro forzato degli occupanti da Raposa si protrarrà, tra le tensioni, almeno per due settimane.

LA DECISIONE DELLA CORTE – Con una decisione che avrà ripercussioni anche sulle terre indigene ancora da demarcare, il Supremo tribunale federale brasiliano si era pronunciato a metà marzo per l’allontanamento dei bianchi confermando l’omologazione in area continua e senza frazionamenti di Raposa, 1,7 milioni di ettari abitati da 17.000 indigeni Macuxi, Wapixana, Ingariko, Patamona e Taurepang, già firmata dal presidente Lula nel 2005 a conclusione di un iter legale durato quasi 30 anni.

IL GOVERNATORE: «DIVENTERA’ UNO ZOO UMANO» – A peggiorare le cose è intervenuto anche il governatore di Roraima, José de Anchieta Júnior, da sempre contrario ai diritti degli Indios. Nelle dichiarazioni al quotidiano “Globo” non ha certo nascosto il suo disappunto per la decisione della Corte suprema: « Non pretendo nè voglio discutere oltre. Ne abbiamo già parlato a fondo. La riserva indigena di Roraima si trasformerà in un autentico zoo umano. Senza contatto con i Bianchi, quelli che vedremo vivere là saranno animali umani».

NUOVE INSIDIE PER GLI INDIOS – Nella sentenza ci sono comunque alcune clausole che potrebbero avere gravi conseguenze per gli Indiani in tutto il Brasile. I giudici della Corte Suprema hanno infatti stabilito che i governi federali dello stato brasiliano – alcuni dei quali notoriamente anti-Indiani – dovrebbero essere coinvolti in modo più attivo nei processi di demarcazione dei territori indigeni. La loro partecipazione potrebbe rendere le demarcazioni più lente e difficoltose. La sentenza sancisce anche che i popoli indigeni non debbano essere consultati su progetti di sviluppo che, pur riguardando le loro terre, vengano dichiarati “di interesse nazionale”. I giudici hanno anche stabilito che i territori indigeni che sono già stati demarcati (e mappati) non devono essere ampliati. Questo preoccupa in modo particolare tribù come i Guarani, a cui sono state riconosciute legalmente solo piccole aree di terra prima della costituzione del 1988 che garantisce i loro “diritti originali” sulle terre ancestrali. Ana Paula Souto Maior, avvocato della ONG brasiliana ISA (Istituto Socio Ambientale), ha commentato: «Alcune di queste condizioni sono allarmanti e non resta che vedere che tipo di impatto potranno avere sui numerosi territori che ancora aspettano di essere demarcati o ampliati».

Stefano Rodi

indios_b1

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

A proposito del latrin lover

Scandali e dimissioni all’estero
di Cesare Buquicchio

Esistono motivi di opportunità morale, prima che politica. Pressioni di alleati. Richieste formali degli oppositori politici. Spinte dell’opinione pubblica. Sollecitazioni della stampa. Sono tanti i percorsi che hanno portato i politici di mezzo mondo a rassegnare le dimissioni se coinvolti in scandali sessuali più o meno gravi.

Ilkka Kanerva, ministro degli Esteri del governo finlandese, sposato e padre di due figlie trentenni, è stato costretto a rassegnare le dimissioni, nell’aprile 2008, in seguito alle rivelazioni di una spogliarellista di 29 anni, che ha fatto sapere di essere stata bombardata di sms a sfondo sessuale. Solo sms.

Jin Renging, ministro delle Finanze del governo cinese si è dimesso nell’agosto del 2007 ufficialmente per ragioni personali. Secondo un giornale di Hong Kong, sarebbe legato costretto a rassegnare l’incarico a causa dello scandalo sessuale in cui era coinvolto con la sua amante.

Moshe Katsav, presidente dello Stato di Israele, si è autosospeso dall’incarico nel gennaio 2007 dopo uno scandalo sessuale. Andrzej Lepper, vicepremier e ministro dell’Agricoltura in Polonia, è stato licenziato dal Capo di Stato nel settembre 2006 a causa di uno scandalo sessuale. E si potrebbe continuare a lungo.

Il caso più celebre di tutti rimane quello del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, coinvolto nel 1998 in un eclatante scandalo sessuale dopo le rivelazioni di Monica Lewinsky, una ex stagista della Casa Bianca. Il Presidente fu sottoposto a formale richiesta di “impeachment” dai suoi oppositori politici e fu giudicato “non colpevole” dal Senato. Secondo stampa e opinione pubblica, a pesare sulla decisione fu il “perdono” di sua moglie, l’attuale segretario di Stato, Hillary Clinton.

Chissà come sarebbe finita per un presidente con la moglie “contro”…

clinton_monica

carfagna-berlusconi

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

GOVERNICCHIO DI MERDA 1

LA LEGGE
Caccia, arriva la legge liberi tutti
Ambientalisti: “Specie a rischio”
Una norma cancella i limiti: Italia sotto accusa perché permette di uccidere specie che l’Ue vuole proteggere di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA – Si potrà sparare a ferragosto, quando la città si trasferisce in campagna. A febbraio, mentre i migratori volano verso i luoghi della riproduzione. E poi, di deroga in deroga, i confini della stagione venatoria potrebbero allargarsi erodendo sempre di più il tempo della natura protetta. È la libera caccia versione due. Il primo tentativo del governo di far saltare le regole del gioco mettendo il fucile in mano ai sedicenni e permettendo di sparare a pagamento anche con il buio e sulla neve non ha avuto un buon indice di gradimento ed è rimasto prudentemente parcheggiato in Senato. Adesso il blitz si ripete alla Camera con maggiore accortezza: questa mattina si discute in commissione Agricoltura un testo in cui, camuffata sotto formule ambigue, si offre la possibilità di ampliare la stagione venatoria oltre i confini attuali che vanno dal primo settembre al 31 gennaio.

“È un capolavoro di retorica, nel senso peggiore del termine”, spiega Danilo Selvaggi, responsabile Lipu dei rapporti con le istituzioni. “Si pretende di dare una risposta alle richieste dell’Unione europea che accusa il nostro paese di cacciare troppo e male, ma in realtà si propongono modifiche che peggiorano la situazione in modo drastico. Se questa legge venisse approvata la pressione dei cacciatori dilagherebbe: una volta saltati i paletti che fissano l’inizio e la fine della stagione venatoria le Regioni potrebbero decidere deroghe in ogni momento dell’anno. Uno schiaffo alla protezione della natura e all’Unione europea”.

Contro questa proposta si è immediatamente mobilitato un fronte composto da oltre venti associazione ambientaliste (Lipu, Lav, Wwf, Legambiente, Enpa, Animalisti italiani, Fare Verde) e dai cacciatori che difendono la legge quadro e il legame con il territorio (Arcicaccia). In poche ore sono arrivate le adesioni di personaggi del mondo della cultura e dello spettacolo, da Susanna Tamaro a Licia Colò, da Maurizio Costanzo a Danilo Mainardi, da Renato Zero a Marisa Laurito. E tra i parlamentari del Pdl c’è chi non ha gradito la deregulation selvaggia delle doppiette: Gianni Mancuso e Fiorella Ceccacci Rubino hanno presentato emendamenti per correggere la pressione degli oltranzisti della doppietta.

Anche all’interno del governo pare serpeggi un certo disagio. Un malumore aggravato dalla beffa che si aggiunge al danno: per far passare le misure anti europee si è usato lo strumento nato per sanare i contrasti con Bruxelles. Nella Legge Comunitaria è stato infatti inserito un emendamento firmato da due senatori del Pdl (Valerio Carrara e Sergio Vetrella) che cancella i termini di riferimento della stagione venatoria aprendo le porte a deroghe per allungare il calendario. Insomma l’Italia è sotto accusa perché permette di sparare a specie che secondo l’Unione europea vanno protette (ad esempio il fischione, la canapiglia, il mestolone) e invece di mettersi in regola getta le premesse per un altro contenzioso sui limiti della stagione venatoria che l’Europa ha fissato in modo da evitare lo sterminio dei migratori prima del momento della riproduzione.

cacc

vergogna12

anti

anti1

cacc1

caccia

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

BRRRRRRRRRRRRRRR

Ambiente

RAPPORTO
“Italia tra i paesi più a rischio”
Clima, l’Europa corre ai ripari
Il documento dell’Unione europea: “Serve una strategia di adattamento”. Agricoltura, industria alimentare e turismo i settori che soffriranno di più
di ALBERTO D’ARGENIO

Italia, Spagna e Grecia saranno le nazioni europee più colpite dai cambiamenti climatici. Soffriranno agricoltura, industria alimentare e turismo, tre pilastri economici dei paesi mediterranei. Ma ci saranno anche problemi di approvigionamento idrico ed energetico, di salute pubblica, di erosione delle coste e di tenuta delle infrastrutture. E’ questo, in sintesi, il quadro da disaster movie che la Commissione Ue renderà pubblico mercoledì prossimo, a pochi giorni dalla convocazione di un vertice straordinario sul clima da parte del presidente Usa Barack Obama.

Appuntamento per preparare al meglio il summit di Copenaghen del prossimo autunno, quando il mondo intero sarà chiamato a mettere nero su bianco una strategia per bloccare l’innalzamento delle temperature (l’Europa lo ha già fatto).

Ma, bisogna rassegnarsi: per quanto riusciremo a mitigare l’effetto serra, i disagi arriveranno lo stesso (e meno faremo, più saranno). Ecco perché mercoledì l’Ue lancerà la strategia sull'”adattamento”: da un lato bloccare gli sconvolgimenti climatici (Kyoto 2) e dall’altro prepararsi a convivere con quelli che inevitabilmente arriveranno.

Un piano che l’Italia, come i vicini del Mediterraneo, dovrà prendere molto sul serio, visto che da qui alla fine del secolo il nostro sarà uno dei Paesi più colpiti dalla rivoluzione del clima. Colpa di ondate di caldo, incendi, flessione del turismo, calo della produzione agro-alimentare e scarsità di acqua potabile. Anche la vita nell’Europa del Nord cambierà, ma con un mix di novità positive e negative. Il tutto costerà all’Ue oltre sei miliardi di euro all’anno fino al 2020, cifra che entro il 2060 potrebbe arrivare a 63.
“La portata dell’impatto varia da regione a regione. In Europa – scrive la Commissione Ue – quelle più colpite saranno la parte meridionale del continente e il bacino del Mediterraneo. A rischio anche Alpi, isole, aree costiere, urbane e pianure densamente popolate”. Un identikit dell’Italia che, pur senza essere citata nel rapporto, viene indicata come a rischio nelle varie cartine che lo accompagnano, come quelle sulla flessione delle colture e delle riserve di acqua potabile.

E ad essere duramente colpito sarà anche il turismo, con la diminuzione di neve nelle zone alpine (non bisogna farsi ingannare da un singolo inverno nevoso) e l’aumento delle temperature nel bacino mediterraneo, con tanto di erosione delle coste, diminuzione del pesce, deterioramento della qualità dell’acqua, aumento esponenziale di meduse e alghe.

Soffrirà anche l’agricoltura, con perdita di fertilità e carestie. Rischiano le foreste, la pesca, l’acquacoltura e gli ecosistemi marini. In pericolo le coste e le infrastrutture, sempre più colpite da fenomeni meteo estremi e da inondazioni (la loro capacità di adattarsi al climate change potrebbe diventare un requisito nell’assegnazione degli appalti). Gli sconvolgimenti delle temperature avranno effetti anche sulla salute animale, vegetale e umana, con un aumento di malattie e infezioni specialmente per anziani, bambini e malati cronici. Andrà in crisi il sistema dell’energia (ci sarà una maggiore richiesta e, nel Sud Europa, una diminuzione di produzione idroelettrica). Per non parlare dell’immigrazione, che gli sconvolgimenti climatici faranno aumentare.

E’ per tutti questi motivi che mercoledì Bruxelles lancerà un appello alla classe politica continentale: “E’ fondamentale sviluppare politiche che permettano il massimo livello di adattamento visto che il mercato da solo non sarà in grado di farlo”. E per farcela da oggi al 2012 si dovranno studiare al meglio gli effetti del cambiamento climatico, per poi passare all’azione dal 2013 integrando ogni aspetto delle politiche europee all’adattamento.


°°° Anche per questa merdata dobbiamo ringraziare le politiche cieche di bush, putin e burlesquoni.

mila

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter