Ronde

Procura di Milano: indagine sulle ‘ronde nere’

La procura di Milano ha disposto accertamenti da parte degli agenti della Digos sulle cosiddette “ronde nere”, il gruppo che vorrebbe collaborare con le forze dell’ordine in tema di sicurezza e che è stato presentato ieri a Milano composto per un terzo da ex membri delle forze dell’ordine legate al nuovo Msi di Gaetano Saya. Gli accertamenti, a quanto si è saputo, sono stati disposti dal procuratore aggiunto Armando Spataro, capo del pool antiterrorismo, d’intesa con il procuratore Manlio Minale. Allo stato non ci sono indagati e non vi è una ipotesi di reato che, comunque, potrebbe essere quella di una violazione delle legge Scelba che punisce la ricostituzione e l’apologia del fascismo. Le divise delle ronde nere, infatti, richiamano simboli di età fascista.

Gli agenti della Digos analizzeranno filmati, notizie di stampa, sulla scorta delle quali è stato aperto un fascicolo, e redigeranno un rapporto da consegnare nei prossimi giorni alla Procura. Allora, a quanto si è saputo, sarà formulata una precisa ipotesi di reato. Il fondatore delle cosidette ronde nere, Gaetano Saya, era rimasto coinvolto in un’inchiesta della Procura di Genova su una sorta di polizia parallela, chiamata DSSA (Dipartimento studi strategici antiterrorismo).

Ieri era stato il deputato del Pd Emanuele Fiano, membro del Copasir ed ex presidente della Comunità ebraica di Milano, ad auspicare che «la magistratura indaghi sulla natura di questa organizzazione per verificarne la sua costituzionalità e per evitare che l’Italia diventi il teatrino triste e pericoloso dei nostalgici di un tempo passato». Come per Fiano, anche secondo il capogruppo alla Camera dell’Idv, Massimo Donadi, queste ronde sono una conseguenza del ddl sulla sicurezza ed è per questo che «il governo – spiega – deve fare marcia indietro».

Ma anche oggi la politica si sta mobilitando per fermare le “ronde nere”: «Il governo intervenga subito per vietare le ronde nere di militanti neofascisti pronti a farsi giustizia come fossimo nel ‘ventennio’» dice il capogruppo dell’Udc al Senato, Giampiero D’Alia. «Avevamo messo in guardia – aggiunge – sui rischi di un provvedimento demagogico e pericoloso come le ronde: oggi abbiamo il primo esempio di una giustizia sommaria fai da te che porterà solo danni al Paese e nessuna sicurezza». «Presenteremo – conclude – un’interpellanza chiedendo al governo di vietarle per motivi di pubblica sicurezza: che siamo nere, rosse o verdi, le ronde sono la resa dello Stato e un vero rischio per i cittadini».


ECCO DUE ESPONENTI DELLE RONDE PADANE CON LE LORO DIVISE SOFISTICATISSIME

vacca

vacco


PROVETTA TIRATRICE PADANA, POCO PRIMA DI DIVENTARE CIECA E RONDA DELLE DONNE FASCISTE

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processione

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Il governo del fare… CAZZATE

Protestano i sindacati: “Siamo furibondi, questo accade mentre si parla
di tolleranza e si fanno proclami sui risultati della lotta alla criminalità”
Scattano i tagli agli straordinari
la rabbia dei poliziotti romani

di ALBERTO CUSTODERO

IL MINISTERO dell’Interno ha tagliato 4000 ore di straordinari alla polizia romana, il 5% del monte ore della Questura della Capitale per un importo di circa 40 mila euro al mese. La notizia ha suscitato le proteste di tutti i sindacati di polizia. I poliziotti, prendendo a prestito la battuta del titolare del Viminale Roberto Maroni quando gli fu bocciata alla Camera la proposta di portare a sei mesi il soggiorno nei Cie (“sono furibondo”, tuonò allora), commentano il decurtamento della busta paga con un “anche noi siamo furibondi”.

I primi a protestare sono quelli politicamente più “vicini” al governo, l’Ugl polizia. “E’ vergognoso – dice Massimo Nisida, segretario provinciale di Roma – Allora si abbia anche il coraggio di tagliare i servizi di ordine pubblico”. “Questo – aggiunge Enzo Letizia, segretario nazionale dei Funzionari di polizia – è il primo effetto su Roma dei tagli nella Finanziaria per 16 milioni di euro al Dipartimento pubblica sicurezza. E tutto ciò mentre il Viminale parla di tolleranza zero e, sotto elezioni, fa proclami sui risultati della lotta alla criminalità”. “I proclami sono una cosa – chiosano in coro Letizia e Nisida – questi tagli sono i fatti”. Al ministro Maroni che fa sua la “tolleranza zero”, Letizia ricorda che “chi inventò quella politica dura di sicurezza, l’ex sindaco di New York Giuliani, aumentò del 40% le risorse alla polizia”.

Ancora Nisida dell’Ugl: “Si tratta dell’ennesimo attacco alla dignità professionale di chi è chiamato a presidiare il territorio e tutelare la sicurezza dei cittadini, anche perché, oltre a essere letteralmente sottopagato (meno dell’ora ordinaria), lo straordinario in Polizia, purtroppo, sopperisce alla grave carenza di personale dovuta al blocco delle assunzioni e del turn over”.

“E impensabile – continua Nisida – che il governo da un lato si faccia garante di assicurare la pacifica riuscita di importanti eventi nazionali e internazionali con grande sacrifcio delle forze dell’ordine e, dall’altro, sottragga importanti risorse proprio a questi”.

A questo punto i sindacati dell’Ugl richiamano e fanno propria la proposta fatta in campagna elettorale dal segretario del Pd, Dario Franceschini, che aveva proposto l’election day per risparmiare risorse da destinare alla polizia. “Con il solo election day – conclude Nisida – accorpando europee, amministrative e referendum, il governo avrebbe evitato di spendere ingenti somme che avrebbe potuto destinare alle forze dell’ordine. Ora la rabbia di noi poliziotti cresce”. “Continuiamo a non capire – dichiara Letizia – perché il governo e il Viminale abbiano sottratto al Dipartimento di pubblica sicurezza cento milioni per dirottarli a fare controllare il territorio dalle ronde di cittadini”.

Sulla stessa linea critica – ma riferendosi non alle ronde di cittadini, bensì a quelle dei militari – anche Claudio Giardullo, segretario genereale Silp Cgil. “Alle forze di polizia – spiega – si fanno mancare le risorse mentre il governo progetta di aumentare la costosa presenza di militari per il pattugliamento delle città. Questo, per noi, non solo non è una soluzione, ma è un ulteriore aggravio di lavoro per le forze dell’ordine come il caso emergenza rifiuti a Palermo dimostra”.

Giardullo: “Nel capoluogo siciliano c’è stato un aumento di carico di lavoro della polizia che ha dovuto scortare non solo il personale dell’azienda raccolta rifiuti, ma anche i soldati che avrebbero dovuto scortarli. Ciò dimostra che l’esercito non era in grado di badare alla propria sicurezza, né a quella dei dipendenti della ditta. La morale è che, per tutelare le ronde dell’Esercito, sono state sottratte risorse per la sicurezza dei cittadini”.

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La farsa tragica

La corsa delle divise al posto in lista
A guidare la “hit” delle candidature c’è la polizia penitenziaria

Mille agenti delle forze dell’ordine candidati: per loro stipendio pieno e permessi
A. BARBERA, F. SANSA
ROMA
Altro che disaffezione per la politica. In Italia c’è chi le elezioni le aspetta con ansia divorante. Poliziotti, forestali, agenti di polizia penitenziaria affollano le liste elettorali. Al Nord, al Centro, al Sud, spesso con liste improbabili, in luoghi improbabili. All’inizio può sembrare un caso o una scelta dei partiti dettata dalla fame di sicurezza che assilla gli italiani. Ma poi si capisce che ci deve essere dell’altro. Come spiegare altrimenti la lista che nel 2008 si presentò a San Pietro in Amantea (Cosenza): «I tredici candidati erano tutti agenti di polizia penitenziaria e nessuno era del Paese», sospira Francesco Gagliardi, un maestro che segnalò l’episodio. Nel nome del partito i poliziotti penitenziari infilarono una parola che sentono spesso sul luogo di lavoro: San Pietro per la Libertà. «Da anni un gruppo di agenti di Campobasso formano una lista che si presenta nei comuni vicini», sospira Donato Capece, segretario nazionale del Sappe, il sindacato della Polizia Penitenziaria. Quest’anno i candidati dovrebbero essere più di mille.

Tanti, così tanti, che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria mercoledì ha diffuso una circolare che dispone un censimento degli agenti aspiranti politici. I conti sono presto fatti: soltanto nel carcere di Augusta, in Sicilia, ci sono 17 candidati su 250 agenti. Niente rispetto a quanto accadde alle Amministrative nel 2007, quando 70 erano in lista, il 35 per cento dell’organico. Anche nei commissariati di polizia in questi giorni si contano le poltrone vuote: 17 a Roma, 44 a Bologna, 20 nel torinese. Nei corridoi degli uffici c’è chi racconta di quell’agente campano emigrato a Brescia per candidarsi per i Pensionati. Oppure di quel giovane poliziotto bolognese che nel 2008 si candidò in Friuli e a Piacenza. Sempre sconfitto. Sempre con i Pensionati. Ma da dove nasce questa passione politica che spinge a candidarsi a destra e a sinistra? I maligni indicano l’articolo 81 della legge 121 del 1981, quella che riformò il comparto sicurezza: «Gli appartenenti alle forze di polizia candidati a elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento dell’accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale».

Insomma, un mese e mezzo senza lavorare a stipendio pieno (tranne qualche indennità). Una norma del tutto eccezionale rispetto a qualunque contratto pubblico e privato: «I contratti collettivi prevedono l’aspettativa in caso di candidatura, ma può essere negata e comunque non è mai retribuita», spiega Alfredo Garzi della funzione pubblica Cgil. «La norma era nata con un altro spirito», sostengono Flavio Tuzi e Filippo Bertolami del sindacato di polizia Anip-Italia Sicura. «Si voleva così garantire l’osmosi tra forze dell’ordine e società civile, per evitare quel muro contro muro anche violento tra uomini in divisa e cittadini». Ma qualcosa non funzionò, ottenere consenso dalle persone su cui prima dovevi esercitare l’autorità di polizia può creare cortocircuiti e il Dipartimento di Pubblica Sicurezza introdusse il divieto di lavorare dove ci si era candidati. Risultato: i candidati ci sono lo stesso, ma si assiste a una migrazione elettorale. Tuzi e Bertolami la spiegano così: «Adesso ci sono due categorie. I furbi che si presentano in circoscrizioni lontane dal posto di lavoro pur di usufruire dei 45 giorni di aspettativa retribuita oppure coloro che ci credono davvero e vorrebbero impegnarsi nella società civile».

Così un mese e mezzo prima delle elezioni gli uffici si svuotano. Per la gioia di chi parte e il mal di fegato di chi resta e deve lavorare come un pazzo per coprire i buchi nell’organico lasciati dai colleghi. Bianco o nero, lavativi e onesti? Non è così semplice. Sebastiano Bongiovanni è agente di polizia penitenziaria ad Augusta e consigliere comunale. Ma politica lui la fa davvero: nel 2007 segnalò alla Procura di Siracusa che 70 suoi colleghi erano candidati alle elezioni, «Non perché si trattasse di lavativi, anzi. Dovremmo candidarci tutti e 250». Prego? «Sì perché la nostra vita è un inferno. I detenuti sono più di seicento, in un carcere che cade letteralmente a pezzi, dove l’acqua c’è soltanto tre ore al giorno. E noi rischiamo la vita per 1.500 euro al mese, senza possibilità di trasferimenti». Sì, i politici abbondano soprattutto tra chi fa i servizi più usuranti, come gli agenti dei Reparti Mobili, quelli che passano le domeniche in mezzo ai fumogeni degli stadi. Ma c’è anche chi usa la politica per ottenere il trasferimento che non arriva mai. Semplice: basta candidarsi nella città dove lavori. E’ vietato, incompatibile, così all’amministrazione non resta che spostarti altrove. Ferie, indennità, trasferimenti altrimenti impossibili… e poi c’è chi dice che la politica è lontana dalla gente.

UN POLIZIOTTO CANDIDATO IN INCOGNITO

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Regime e figure di merda mondiali

Rapporto del commissario Hammarberger dopo la visita nel nostro Paese
“La criminalizzazione dei clandestini è spropositata, rivedete le vostre leggi”
Immigrati, il Consiglio d’Europa
‘In Italia norme incompatibili con diritti’
di VITTORIO LONGHI

DEEP CONCERN, ovvero “profonda preoccupazione”. È la formula diplomatica che indica situazioni di particolare gravità ed è l’espressione che ricorre con più frequenza nelle 25 pagine del rapporto sull’Italia scritto da Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa. Il rapporto, che esce oggi, fa seguito alla visita di Hammarberg a metà gennaio, quando ha incontrato esponenti del governo e delle amministrazioni locali, rappresentanti di organizzazioni governative e non, per verificare il rispetto dei diritti umani dei migranti e delle minoranze.

Dai campi Rom della periferia romana al sovraffollato centro di espulsione di Lampedusa, il Commissario ha voluto vedere con i propri occhi le condizioni in cui sono tenute queste persone e le conclusioni che ne ha tratto non sono affatto confortanti per il governo, tanto più alla vigilia delle elezioni europee. Le preoccupazioni riguardano innanzitutto i nuovi provvedimenti in materia di immigrazione e asilo, già adottati o in discussione, che nel rapporto sono definiti “draconiani”, come l’aumento della pena per i migranti irregolari, il cosiddetto aggravante di clandestinità, oppure l’obbligo per i medici di denunciare chi ha bisogno di cure ma non ha i documenti.

“La criminalizzazione dell’immigrazione irregolare è una misura sproporzionata che va oltre gli interessi legittimi di uno stato a tenere sotto controllo i propri confini, una misura che erode gli standard legali internazionali”, spiega Hammarberg, avvertendo che una simile politica finisce per provocare “ulteriore stigmatizzazione ed emarginazione dei migranti, nonostante la maggioranza di questi contribuisca allo sviluppo degli stati e delle società europee”. Pertanto rivolge la richiesta al governo di “rivedere le parti della nuova normativa che sollevano serie questioni di compatibilità con gli standard dei diritti umani”.

Tra i casi più clamorosi presi in esame, quello di alcuni immigrati tunisini che avevano tentato di opporsi ai rimpatri, per il rischio di tortura, appellandosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Il governo italiano ha proceduto lo stesso con l’espulsione, ignorando la richiesta formale della Corte di sospendere il provvedimento in attesa di una valutazione del caso. Il Commissario si dice “decisamente contrario ai rimpatri forzati verso paesi con precedenti di tortura provati e di lunga durata, anche se le espulsioni avvengono sulla base di rassicurazioni diplomatiche” e invita il governo a “riconsiderare urgentemente la propria politica” anche su questa materia, conformandosi invece alle misure sospensive intimate dalla Corte europea.

Oltre ai casi specifici, il rapporto mette in evidenza una crescente tendenza al razzismo e alla xenofobia, a volte alimentata dalle stesse autorità locali, che ha provocato atti di violenza verso migranti, Rom e Sinti oppure verso cittadini italiani di origine straniera. E gli esempi citati vanno dalle esternazioni del sindaco di Treviso, definite “discorsi di incitamento all’odio”, alla storia dello studente ghanese percosso e insultato dai vigili di Parma. Riguardo alle comunità Rom e Sinti, in particolare, vengono ribadite le perplessità già espresse a luglio dal Parlamento europeo dopo l’annuncio del censimento dei Rom su base etnica e il presunto “stato di emergenza” invocato da Berlusconi per la situazione dei campi di Napoli, Roma e Milano.

Ovvia la raccomandazione di prestare la massima attenzione ai dati “sensibili” raccolti, che nelle intenzioni dichiarate dal governo dovrebbero servire solo a facilitare l’assistenza e l’integrazione dei Rom, comunque cittadini italiani nella maggior parte dei casi secondo quanto rilevato dallo stesso censimento. In merito agli sgomberi dei campi, invece, nel documento si denuncia la mancanza di qualsiasi consultazione con i rappresentanti delle comunità Rom e si chiede la preventiva individuazione di luoghi alternativi adeguati, secondo un vero piano d’azione nazionale.

Un’altra raccomandazione è rivolta a una maggiore severità nella legislazione contro le discriminazioni e richiede la creazione di organi di controllo appositi, autonomi e indipendenti. Invece l’attuale Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, Unar, non è affatto indipendente, dato che fa capo al Dipartimento per le pari opportunità della presidenza del Consiglio.

Il governo italiano ha già risposto, a marzo, alla prima bozza del rapporto del Commissario Hammarberg, con rassicurazioni varie sulle misure di contrasto al razzismo e alla xenofobia, tra cui spiccano corsi di formazione, pubblicazioni e siti web. Invece, di fronte alle accuse di violazione dei diritti umani e di non conformità agli standard europei, l’esecutivo giustifica le proprie leggi usando l’argomento della sicurezza, secondo la prevedibile equazione tra immigrazione irregolare e criminalità.

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