Il delinquente berlusconi cerca ancora di scappare dai processi, mentre l’Italia muore.

Pdl a Fini: “Conflitto tra poteri”
Pd: “Richiesta incredibile e ridicola”

I capigruppo della maggioranza alla Camera chiedono la discussione dello spostamento del giudizio per Berlusconi dal Tribunale di Milano a quello dei Ministri. Fini: “Non ci sono precedenti, decideremo alla luce dei regolamenti”. Pd: “Vogliono solo evitare il processo al premier

Pdl a Fini: "Conflitto tra poteri" Pd: "Richiesta incredibile e ridicola" Karima El Marough

ROMA – I capigruppo di maggioranza, Fabrizio Cicchitto (Pdl), Marco Reguzzoni (Lega) e Luciano Sardelli (Iniziativa responsabile) hanno inviato al presidente della Camera, Gianfranco Fini, una lettera nella quale chiedono di sollevare il conflitto di attribuzioni fra i poteri dello Stato “a tutela delle prerogative della Camera”, sulla base dell’articolo 96 della Costituzione.

I capigruppo della maggioranza chiedono, tra l’altro, di sollevare conflitto di attribuzioni per “l’assoluta infondatezza ed illogicità dei capi di imputazione”. “All’Organismo parlamentare – si legge nella lettera trasmessa a Fini – non può essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria. Né tantomeno ove non condivida la conclusione negativa espressa dal Tribunale dei ministri – la possibilità di sollevare conflitto d’attribuzioni davanti alla Corte costituzionale – assumendo di essere stata menomata per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall’Articolo 96 della Costituzione”. Nella lettera, firmata da Cicchitto, Reguzzoni e Sardelli, si parla anche di “superficialità” che sarebbe stata dimostrata dai magistrati di Milano. La richiesta di sollevare conflitto è infatti nei confronti della Procura e del gip di Milano che, per il caso Ruby, hanno imputato al premier i reati di concussione e prostituzione minorile.

Dura la reazione del Pd. “Trovo incredibile

che i capigruppo della maggioranza, anziché portare in aula provvedimenti che riguardano gli italiani, siano solerti solo sui provvedimenti che sono fondamentali per bloccare i processi del presidente del Consiglio”, ha commentato il capogruppo democratico alla Camera Dario Franceschini. “Ci si espone al ridicolo di sostenere che si tratta di reato ministeriale, perché il presidente del Consiglio quando ha fatto la telefonata era convinto che si trattasse della nipote di Mubarak. Una cosa di fronte alla quale ha riso tutto il mondo. Capitasse ancora a Berlusconi di dover intervenire per la nipote di un capo di Stato straniero, la mandi a prendere da un console o da un rappresentate dei servizi segreti ma non la affidi ad una ragazza che la manda a dormire da una prostituta brasiliana. Un fatto che smonta il castello costruito per questo caso”.

Intervistato ieri a proposito dell’eventualità che il Pdl sollevasse la questione del conflitto di attribuzione con l’obiettivo di sottrarre il premier Berlusconi al giudizio dei pm di Milano e affidare il caso al Tribunale dei ministri, Fini aveva spiegato che “non ci sono precedenti. Sarà una decisione presa alla luce dei regolamenti”. Il presidente della Camera ha poi aggiunto: “Non ci sarà conflitto istituzionale tra il mio ruolo di presidente della Camera e il mio ruolo politico”. La questione, aveva anche detto, “sarà valutata dall’ufficio di presidenza e dalla giunta per il regolamento”. Che cosa farà Futuro e Libertà? “Credo che farà ciò che ha fatto fin qui, nella migliore tradizione della destra italiana. Fli ha un tratto distintivo nel tema della legalità, che vuol dire in primo luogo che la legge è uguale per tutti e chi sbaglia paga. Lo vorrei ricordare a qualche amico che ha dimenticato che questa era la posizione di An”.

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REGIME ALL’AMATRICIANA

Quando Tremonti ordinò sanzionate la Gabanelli

«Con la presente il sottoscritto prof. avv. Giulio Tremonti chiede l’immediato esercizio dei poteri sanzionatori». Inizia così l’ultimo affondo del ministro dell’Economia contro l’informazione, avviato ai danni di Milena Gabanelli e la sua «pericolosa» trasmissione Report. Non è piaciuta al ministro la puntata su social card e Tremonti bond, nonostante fosse stato intervistato lui stesso.

Così ha scritto 5 cartelle di esposto-denuncia alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’intento è chiaro: dimostrare la poca obiettività del programma, e dunque la lesione del dovere di informazione imparziale e completa imposto dal servizio pubblico. Insomma, non è una rettifica, tantomeno una querela. Ma Tremonti vuole comunque farsi sentire, esercitare «il potere sanzionatorio».

In effetti il rapporto del ministro con giornali e mass media in generale è costellato di eventi leggendari. Rumors più disparati raccontano di telefonate infuocate, battibecchi nervosi, arrabbiature furibonde. Certo, tutti i politici si arrabbiano con la stampa. E tutti vorrebbero averla amica e, se possibile, asservita. Ma Tremonti è tra i pochi (non l’unico, nell’intero arco parlamentare) a prendere iniziative in prima persona, a guerreggiare all’arma bianca con chi si occupa di lui. È quasi un corpo a corpo che il ministro ingaggia a colpi di pressioni indebite e invettive. Anche perché – lo sanno bene anche i non addetti ai lavori – la verve non gli manca.

A scorrere le cinque cartelle anti-Gabanelli traspare un furore montante. Tremonti parla di «lesione dei principi di completezza, correttezza, – si legge – obiettività ed imparzialità dell’informazione». Poi procede per punti, elencandone sette. Nel primo parla di «sintesi deformata di alcuni delicati e rilevanti aspetti dell’attualità, che ha assunto i contorni della propaganda negativa». Si riferisce forse il ministro al fatto che la social card è stata fornita solo a pochi, e che molti l’hanno ricevuta scarica? O che rappresenta anche uno strumento su cui MasterCard riesce a fare un buon business grazie alle commissioni versate dai commercianti? Tremonti parla di «tesi preconfezionata», ma la realtà non è molto lontana da questa tesi. Anzi. Il ministro non dimentica di difendere, naturalmente, il «legittimo esercizio del diritto di critica». Peccato però che questo secondo lui non sia il caso: perché tutto il contesto sarebbe stato creato da Gabanelli attraverso una «capziosa estrapolazione di brani tratti da conferenze stampa».

Si arriva così all’accusa (terzo punto) di «utilizzo strumentale del mezzo televisivo». Tremonti rammenta come «tutte le trasmissioni di informazione devono rispettare la pluralità dei punti di vista e la necessità di contraddittorio». Peccato che (troppo) spesso molti esponenti di governo appaiono in video davanti a un microfono e senza neanche una «faccia» a porgere la domanda. A proposito di contraddittorio. Naturalmente meglio se all’ora di cena, e in una giornata in cui qualcun altro ha lanciato critiche all’operato dell’esecutivo.


°°° La sintesi è questa: la libertà di stampa e la democrazia reale questi cialtroni li disintegrerebbe in due settimane. Ecco perché a loro serve il regime e l’oscuramento delle notizie. BUFFONI!!!

tvemonti_sfiga


LA SEGRETARIA DI TVEMONTI

terrorista

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I veri fannulloni

In calo la produttività in aula. Migliore la performance
della Camera, dove c’è seduta da lunedì a giovedì
Al Senato si lavora solo 10 giorni al mese
Il record di aprile: 7 ore in una settimana

di CARMELO LOPAPA

ROMA – Tre giorni di lavoro a settimana. Non uno di più, qualche volta meno. Come nell’ultima di aprile, quando gli onorevoli senatori hanno varcato l’ingresso di Palazzo Madama martedì 28 alle 16,30 per chiudere i battenti già l’indomani, mercoledì 29, alle 20,08. Per non dire della seconda settimana di aprile, quella che ha preceduto la Pasqua, al lavoro solo il mercoledì 8, poi trolley e via, tutti a casa in vacanza per tornare 13 giorni dopo, il 21. Ad ogni modo, negli ultimi due mesi il pallottoliere ha segnato una media di 10-11 giorni lavorativi al mese, con minimi storici da 7 ore d’aula, come in quell’ultima settimana di aprile.

Sarà pure l’età media più alta, ma la questione si pone perché, a scorrere il timing delle sedute della Camera alta, si scopre che la campanella non suona mai prima del martedì pomeriggio e il giovedì mattina quasi sempre si chiude. Settimana corta, cortissima. Certo, c’è l’attività delle commissioni, ma la media di lavoro settimanale (come si riscontra nella tabella in alto) è quella che è. E, sebbene nel periodo preso in esame, marzo-aprile, siano stati approvati al Senato importanti ddl, dal testamento biologico al federalismo, i dati stridono con quelli dello stesso periodo alla Camera.

A Montecitorio, da marzo, il presidente Gianfranco Fini ha introdotto la cosiddetta “settimana bianca”, per consentire ai deputati di lavorare sui rispettivi territori. Ha compensato tuttavia allungando le restanti tre settimane: aula già dal lunedì e fino al giovedì sera. Anche lì, c’era la promessa di prolungare fino al venerdì mattina, ma finora è accaduto solo nell’ultima settimana di marzo, con pochissimi deputati presenti per interrogazioni e interpellanze. La media resta tuttavia almeno di quattro giorni a settimana e 16 al mese.

Al Senato il presidente Renato Schifani aveva provato a suonare la sveglia. “Al di là delle richieste di modifica del regolamento, si possono disciplinare meglio i lavori dell’aula in modo da lavorare qualche ora in più durante la settimana”. Era il 2 ottobre scorso e già allora – 4 mesi dopo l’inizio della legislatura – i numeri lasciavano a desiderare, sebbene non si fossero toccati picchi negativi di queste ultime settimane. La presidenza si scontra tuttavia con l’andazzo generale.

“Aumentare l’attività può essere un obiettivo condivisibile, ma smentisco che esista un caso Senato – sostiene Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo Pdl – Anzi, in questi mesi la nostra assemblea si è ritrovata in anticipo sul lavoro, rispetto alla Camera. Andiamo più veloci e abbiamo approvato in prima lettura ddl che ancora attendono la seconda a Montecitorio. Disponibili a una razionalizzazione dei lavori, alla riforma dei regolamenti, ma anche quella deve essere bicamerale”.

E invece il problema esiste, eccome, a sentire i Democratici che sollevano il caso. “Si lavora meno del dovuto e si lavora male – sostiene Luigi Zanda, vicecapogruppo Pd – La nostra proposta di riforma del regolamento consentirebbe un salto in avanti, sia nel numero di sedute che nella qualità del lavoro. Chiediamo che si lavori almeno 4 giorni alla settimana, 3 nelle commissioni, 1 in aula, perché il problema è non trasformare l’aula in una semplice macchina approva-decreti. Purtroppo, col “porcellum”, i parlamentari di maggioranza sono esecutori della volontà dell’esecutivo e il Parlamento in questa legislatura è un ufficio “disbrigo” del governo. Unica missione, trasformare in legge i decreti. I poteri ne risultano stravolti: l’esecutivo fa le leggi, le Camere eseguono ordini”.


°°° A parte le varie zanicchi e de michelis che vanno a rubarsi 40mila euro al mese (oltre a benefit e pensioni d’oro) in Europa, ecco gli schiavetti senza spina dorsale del mafionano come vengono beneficiati in cambio del loro servilismo. E io pago!

senato

I SENATORI E I DEPUTATI DESTRONZI.

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