Paniz, una nuova marionetta del teatrino di Mafiolo

Paniz, inutilmente risorgimentale

di Maria Novella Oppo

Improvvisamente, l’onorevole Maurizio Paniz del Pdl è dappertutto. Giovedì sera, Enrico Mentana ce lo ha fatto rivedere mentre interveniva a Tg3 Linea Notte, dove, nell’intento di sminuire la gravità delle accuse rivolte da Berlusconi ai magistrati, ha detto che, alla fine, di brigatisti non ci sono stati solo quelli rossi, ma anche quelli siciliani. Insomma, i briganti. Una vera stronzata, ma non così grave come quella che ha fatto votare alla Camera dalla maggioranza. E cioè la mozione in cui si dichiarava praticamente che Ruby è davvero la nipote di Mubarak. Dopo questa prova, superata con vivo sprezzo del ridicolo, l’onorevole Paniz è diventato politicamente indispensabile; tanto da partecipare a tutti i talk show. Dove peraltro si dimostra garbato e incapace di urlare come fanno tutti i pidiellini. Infatti Paniz (quinto uomo più ricco del Parlamento), ad Annozero, ha addirittura sopportato che parlassero anche gli altri, limitandosi a dire pacatamente la sua. Come si addice a una persona rassegnata al fatto di aver ormai perso del tutto la faccia, che porta inutilmente risorgimentale.

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Il Teatrino dell’impunito

La filastrocca del complotto

di GIUSEPPE D’AVANZO

È “una persecuzione e, come sempre, prima delle elezioni”, dice Berlusconi come da copione. C’è qualcuno che ancora può credere che i tempi di un’indagine possano essere regolati sull’agenda politica? Niccolò Ghedini, il chierico per eccellenza, finge di crederlo e lo suggerisce. È il primo a uscire allo scoperto. Ghedini indossa molte maschere nel teatro di Silvio Berlusconi. È l’avvocato delle difese corsare che proteggono il presidente del consiglio negli affari milanesi.

È il soprintendente, controllore e coordinatore, di un multiforme sistema legale – nazionale e internazionale – che si preoccupa di rappresentare trasversalmente gli interessi di imputati e testimoni che potrebbero mettere nei guai, da Bari a Los Angeles, il capo del governo. È il parlamentare che ispira, sulle questioni di giustizia, i lavori della Camere. È il ministro di giustizia effettivo, anche se in via Arenula non ci mette mai piede: Angelino Alfano è solo l’attor giovane in scena e si può essere Guardasigilli anche da Palazzo Grazioli o Villa San Martino. Di Ghedini sono le sofisticherie, le furberie, i mostri disseminati – senza risultato, finora – nei codici e nelle procedure per evitare al Cavaliere processi e sentenze. L’avvocato di Padova ha imparato da Berlusconi un’arte affabulatoria, con il tempo diventata monotona. Ricordate? Al Cavaliere capitò di negare – e con sdegno – di aver riformato a uso proprio il falso il bilancio e le rogatorie. Me lo imponevano le norme europee, disse.

La pretesa di negare quel che tutti sanno e ricordano è la strategia abituale di Berlusconi e Ghedini. La si può rappresentare così: in pubblico, respingere ogni evidenza con un assalto istrionesco e idrofobo appena una toga si avvicina al Cavaliere (seguirà tempesta mediatica dei giornali della casa e la claque dei Tg obbedienti). In tribunale, in assenza di giudici pieghevoli, difesa a istrice, asfissia ostruzionistica, infiniti cavilli perditempo. In parlamento, leggi ad personam. Dinanzi all’opinione pubblica, denuncia dell’aggressione giudiziaria.

Lo spettacolo va in scena anche ieri sera quando diventa ufficiale che il pubblico ministero di Milano ha concluso le indagini sui metodi di Mediatrade ipotizzando per Silvio Berlusconi l’appropriazione indebita delle risorse di Mediaset (quotata in Borsa).
Il fabulario di Berlusconi e Ghedini prevede a questo punto l’evocazione (noiosissima) di un complotto politico: i pubblici ministeri colpiscono ora “perché si sta riformando la giustizia e a marzo si vota per le regionali”. Dimentica, l’avvocato mille maschere, che addirittura da ottobre 2009 si sa che quell’indagine è di fatto chiusa. Ghedini ne conosce il merito, le fonti di prova, gli atti, i documenti, le testimonianze, i tempi e l’impianto organizzato dall’accusa, ma gridare all’accanimento investigativo è sempre una buona medicina per non affrontare i fatti.

I fatti? Dove sono i fatti? Quali sono? È il secondo passo, rituale come una filastrocca precostituita. Dice Ghedini: “Le contestazioni mosse hanno dell’incredibile sia per il contenuto sia per gli anni a cui si riferiscono, periodo in cui Silvio Berlusconi non aveva la benché minima possibilità di incidere sull’azienda”. Anche una superficiale verifica smaschera il gioco. L’affarismo societario nascosto in Mediatrade affiora con una domanda: perché un gigante come Mediaset rinuncia a trattare i diritti televisivi direttamente con le majors per affidare la faccenda a un egiziano diventato cittadino americano, Frank Agrama? Il pubblico ministero ritiene di avere dimostrato che Agrama acquistava i diritti e poi li rivendeva alle società di Berlusconi “a prezzi enormemente gonfiati”. A Los Angeles li comprava a cento. A Milano li rivendeva a mille. E la differenza tra cento e mille restava all’estero e Agrama si preoccupava, molto curiosamente, di “restituire” i profitti su conti nella disponibilità di manager Mediaset, in Svizzera, nel Principato di Monaco, alle Bahamas.

Possibile che Berlusconi si facesse truffare come un sempliciotto da quell’americano? O non è il caso di pensare che quell’Agrama sia un socio occulto di Berlusconi? Purtroppo per Ghedini, come per la corruzione di David Mills, nell’inchiesta oggi conclusa appaiono testimoni che, cittadini di un altro mondo dove mentire è pericoloso e indecente, la raccontano tutta. Come Bruce Gordon, responsabile della vendite della Paramount. Dice Gordon: “In Paramount le società di Agrama sono indistintamente indicate come Berlusconi companies e l’esposizione creditoria come Berlusconi receivables”. Gordon dice che l’ascesa al governo di Berlusconi non ha mutato di una virgola quella situazione. “Agrama – ricorda Bruce Gordon – ci diceva che continuava a riferire a Silvio Berlusconi sulle negoziazioni per l’acquisto dei film anche dopo la sua nomina a presidenza del consiglio”. Dunque, non esistevano gli affari di Agrama, ma soltanto quelli di Berlusconi. Che poi il Cavaliere governasse un paese, che importa?
Questo il quadro (ipotetico, beninteso). Questi i fatti che – certo – possono essere controversi ed è per questo che si fanno i processi: in un processo leale (quindi, giusto), “la difesa è una forza che resiste all’accusa e non che sfugge all’accusa”. Ma nonostante sia il suo mestiere, Ghedini disprezza la discussione del merito. Provoca, protesta, deplora, inventa paesaggi sublunari preferendo lavorare alla malfamata immunità ora che il “processo breve” è stato approvato al Senato e il legittimo impedimento lo sarà alla Camera. È una fenomenologia (o una commedia?) che non ha nulla di nuovo. Come nulla di nuovo s’annuncia nel “discorso agli italiani” che Berlusconi minaccia nella notte.

b-bloccaprocessi

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Ronde

Procura di Milano: indagine sulle ‘ronde nere’

La procura di Milano ha disposto accertamenti da parte degli agenti della Digos sulle cosiddette “ronde nere”, il gruppo che vorrebbe collaborare con le forze dell’ordine in tema di sicurezza e che è stato presentato ieri a Milano composto per un terzo da ex membri delle forze dell’ordine legate al nuovo Msi di Gaetano Saya. Gli accertamenti, a quanto si è saputo, sono stati disposti dal procuratore aggiunto Armando Spataro, capo del pool antiterrorismo, d’intesa con il procuratore Manlio Minale. Allo stato non ci sono indagati e non vi è una ipotesi di reato che, comunque, potrebbe essere quella di una violazione delle legge Scelba che punisce la ricostituzione e l’apologia del fascismo. Le divise delle ronde nere, infatti, richiamano simboli di età fascista.

Gli agenti della Digos analizzeranno filmati, notizie di stampa, sulla scorta delle quali è stato aperto un fascicolo, e redigeranno un rapporto da consegnare nei prossimi giorni alla Procura. Allora, a quanto si è saputo, sarà formulata una precisa ipotesi di reato. Il fondatore delle cosidette ronde nere, Gaetano Saya, era rimasto coinvolto in un’inchiesta della Procura di Genova su una sorta di polizia parallela, chiamata DSSA (Dipartimento studi strategici antiterrorismo).

Ieri era stato il deputato del Pd Emanuele Fiano, membro del Copasir ed ex presidente della Comunità ebraica di Milano, ad auspicare che «la magistratura indaghi sulla natura di questa organizzazione per verificarne la sua costituzionalità e per evitare che l’Italia diventi il teatrino triste e pericoloso dei nostalgici di un tempo passato». Come per Fiano, anche secondo il capogruppo alla Camera dell’Idv, Massimo Donadi, queste ronde sono una conseguenza del ddl sulla sicurezza ed è per questo che «il governo – spiega – deve fare marcia indietro».

Ma anche oggi la politica si sta mobilitando per fermare le “ronde nere”: «Il governo intervenga subito per vietare le ronde nere di militanti neofascisti pronti a farsi giustizia come fossimo nel ‘ventennio’» dice il capogruppo dell’Udc al Senato, Giampiero D’Alia. «Avevamo messo in guardia – aggiunge – sui rischi di un provvedimento demagogico e pericoloso come le ronde: oggi abbiamo il primo esempio di una giustizia sommaria fai da te che porterà solo danni al Paese e nessuna sicurezza». «Presenteremo – conclude – un’interpellanza chiedendo al governo di vietarle per motivi di pubblica sicurezza: che siamo nere, rosse o verdi, le ronde sono la resa dello Stato e un vero rischio per i cittadini».


ECCO DUE ESPONENTI DELLE RONDE PADANE CON LE LORO DIVISE SOFISTICATISSIME

vacca

vacco


PROVETTA TIRATRICE PADANA, POCO PRIMA DI DIVENTARE CIECA E RONDA DELLE DONNE FASCISTE

rinculo

processione

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