Sicilia: trivelle pronte per l’oro nero. E per la Prestigiacomo è un affare di famiglia

Ferruccio Sansa

Sicilia: trivelle pronte per l’oro nero.

E per la Prestigiacomo è un affare di famiglia

In Sicilia le trivelle sono pronte a cercare il petrolio. E’ coinvolta la società di famiglia del ministro dell’Ambiente. La “sua” Coemi ha tra i clienti, colossi come: Eni, Erg, Esso. Tutte aziende petrolifere interessate direttamente ai risultati

Decine di pozzi di petrolio nel blu del Mediterraneo, per fermare le trivelle si sono mobilitati cittadini e comitati. Ma intorno alla Sicilia pendono 40 richieste di concessioni. Le trivelle sono pronte a entrare in azione a pochi chilometri da gioielli come Pantelleria e le Egadi.

Per arrestare la febbre da oro nero si è schierato anche Montalbano, alias Luca Zingaretti. In molti, però, da queste parti oltre che sul commissario più famoso d’Italia, puntavano anche su un altro alleato: il ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. Chi meglio di lei? È siciliana e vicina a Berlusconi.

Da qualche settimana, però, la gente di Pantelleria, delle Egadi, di Trapani comincia ad avere qualche dubbio. Già, perché in Sicilia c’è chi

punta il dito sui legami che Prestigiacomo e la sua famiglia hanno con le società che affondano i loro pozzi nel mare dell’isola. Niente di illegale, per carità, ma una questione di opportunità, questo sì. Racconta Alberto Zaccagni, nemico accanito delle trivellazioni: “Ci chiediamo se questo ministro dell’Ambiente possa valutare obiettivamente le concessioni petrolifere in Sicilia quando le società amministrate da suoi parenti hanno rapporti d’affari con chi affonda i pozzi nel nostro mare”. Una leggenda metropolitana? Articoli di cronaca (per esempio su Terra) e visure camerali del ministro e dei suoi familiari confermano i nodi sollevati da cittadini e comitati. I giornali di Siracusa hanno raccontato che sono riprese le attività del campo petrolifero Vega (Edison ed Eni) nello Stretto di Sicilia. Una notizia accolta con entusiasmo dagli industriali locali, anche perché alle operazioni hanno collaborato con massicci investimenti imprese di Siracusa. Ecco allora il consorzio Cem che ha acquistato e trasformato la petroliera Leonis, un colosso da 110mila tonnellate, che deve essere ormeggiata alla piattaforma per raccogliere il greggio estratto.

Una commessa da 30 milioni che ha portato una boccata di ossigeno alle imprese. Niente di male, ma i maligni ricordano che del consorzio Cem fanno parte diversi soggetti tra cui la Coemi. Ecco il punto: la Coemi, come dice lo stesso sito della società, è nata come impresa di famiglia dei Prestigiacomo. L’amministratore delegato è Maria Prestigiacomo, sorella maggiore del ministro dell’Ambiente. Di più: la Coemi è oggi proprietà della società Fincoe, di cui Stefania Prestigiacomo deteneva il 21,5 per cento fino al novembre 2009 quando l’ha donato alla madre Sebastiana Lombardo, oggi azionista di maggioranza. Emergerebbe quindi che una società di cui fanno parte familiari stretti del ministro dell’Ambiente è impegnata nell’attività di estrazione di petrolio intorno alla Sicilia. Ancora niente di illegale, ma certo una questione che non rassicura chi si oppone alla caccia al petrolio nei mari dell’isola. Di più: sul sito della Coemi si legge che tra i clienti della società (oltre al ministero della Difesa, ma questa è un’altra storia) ci sono anche Eni, Erg, Esso.

Insomma, alcuni tra i principali operatori nel settore petrolifero in Italia. E in Sicilia. Proprio a Priolo, denunciano le associazioni e i comitati siciliani, “la Erg e l’Eni sono interessate agli accordi transattivi previsti dal ministero dell’Ambiente per chiudere la vertenza sui danni ambientali provocati dalle raffinerie”. Pierfrancesco Rizza, presidente Wwf Sicilia commenta: “Le cifre finora spuntate dai privati (nell’ordine di decine di milioni) sono modeste rispetto a un danno enorme. Ma bisogna dire che molte delle società coinvolte non esistono più oppure sono passate di mano”. Un’altra storia, certo, ma sempre una questione di opportunità per Prestigiacomo. Perché qualcuno in Sicilia si chiede se sia giusto che un ministro dell’Ambiente (pur avendo alienato le proprie quote sociali) possa vigilare sull’operato di colossi petroliferi che sono clienti di imprese legate alla sua famiglia.

Ecco, però, allora che le questioni da chiarire per il ministro non riguardano più solo i pozzi di petrolio. Certo non è un anno fortunato per la Prestigiacomo, già ampiamente citata negli atti dell’inchiesta P4 per i suoi rapporti con Luigi Bisignani. Un colloquio tra il faccendiere e il ministro dell’Ambiente del 2 dicembre 2010 è diventato famoso. Prestigiacomo sbotta: “Mamma mia, ma come si può vivere così! Se escono le intercettazioni con me, mi rovini”. Il punto adesso è un altro: il nome Prestigiacomo ricorda soprattutto una delle ministre in lizza come miss governo, ma a Siracusa tutti lo collegano a una delle dinastie industriali più note dell’isola.

La Coemi (che controlla tra l’altro la Nuovenergie), ha ricordato il Corriere della Sera, è anche impegnata nel business del fotovoltaico che dipende da scelte politiche del ministero dell’Ambiente. Un’altra questione di opportunità. Non basta: della galassia Fincoe fa parte la Ved (Vetroresina Engineering Development) di cui è amministratore Maria Prestigiacomo (il ministro non ha cariche, né quote sociali). Una società in passato finita due volte nel mirino della magistratura di Siracusa anche per questioni ambientali (nel 2008 i manager di allora non furono processati anche per intervenuta prescrizione). Nessun reato, fino a prova contraria. Ma le domande restano: Prestigiacomo è il ministro giusto per occuparsi di Ambiente? È lei la persona che può decidere delle trivellazioni in Sicilia? Dal ministero dell’Ambiente respingono i dubbi: “Da quando è arrivata Stefania Prestigiacomo la legge in materia di trivellazioni è diventata più severa. Abbiamo messo il limite di 5 miglia dalla costa e di 12 miglia da qualsiasi zona protetta. Nessun altro Stato fa altrettanto”.

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Con Mafiolo via a nuovi abusi

Abusi edilizi e turismo di massa: così muore il Parco nazionale del Cilento
Le responsabilità delle amministrazioni locali: «Era più intatto prima che diventasse area protetta»

Le costruzioni abusive di Montecorice devono essere abbattute da oltre vent’anni

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SALERNO – Gli abusi edilizi e un distruttivo turismo di massa stanno danneggiando il Parco nazionale del Cilento. È l’accusa formulata nel Secondo dossier Cilento, redatto dal CodaconsCampania e pubblicato sul sito web dell’associazione con le molteplici violazioni denunciate.

VIOLAZIONI – Il parco è stato istituito nel 1991 e grazie ai suoi 180 mila ettari è il secondo parco nazionale più grande d’Italia. Nello stesso anno è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco e dal 1997 la stessa agenzia dell’Onu l’ha riconosciuto riserva di biosfera. Ricco di aree protette e di significativi siti storico-culturali (tra i più famosi i templi di Paestum e la Certosa di Padula), a vigilare sull’integrità del territorio e tutelarne le qualità culturali e naturali è l’Ente parco. Secondo il Codacons, però, nel corso degli ultimi anni si sono protratte «sistematiche violazioni delle leggi» che hanno determinato «numerosissime sofferenze ambientali e paesaggistiche» in tutto il territorio protetto. Dal dossier si deduce che le principali responsabilità dell’emergenza ambientale del Parco nazionale vanno ricercate nelle amministrazioni locali, troppo spesso pronte a «svendere legalità per acquistare consenso». Lo stesso l’Ente parco, in numerose occasioni, ha dimostrato inerzia e incapacità a svolgere un’effettiva azione di tutela dell’ambiente e del paesaggio. Alla fine il documento constata, non senza amarezza, che «il Cilento era più intatto prima che diventasse un’area protetta».

ABUSI EDILIZI – L’abusivismo edilizio è una delle piaghe maggiori che si registrano nel parco nazionale. Nel 2005 i carabinieri hanno accertato cento casi di abuso edilizio, ma il fenomeno è in netta crescita. Il Codacons afferma che sia la popolazione sia le istituzioni tollerano questo costume tanto da «non applicare le misure di contrasto e di repressione previste dalla legge». L’Ente parco, nel corso della sua quasi ventennale esistenza, ha emesso solo quattro ordinanze di demolizione, mentre non ha promosso azioni effettive nei confronti dei ripetuti abusi edilizi. Il caso più eclatante è quello di Montecorice, nei pressi della riserva di Punta Licosa, dove manufatti di cemento che devono essere abbattuti da oltre 20 anni sono ancora in piedi malgrado le sentenze passate in giudicato. Scheletri di cemento che deturpano una meravigliosa collina che si affaccia sulla baia di Punta Licosa.

ECOMOSTRI CON I FONDI EUROPEI – Càpita anche che in un’area protetta siano costruiti improbabili e maestosi edifici con finanziamenti europei. È il caso di due singolari progetti: il Centro internazionale per lo studio delle migrazioni e il Museo del fiume e dell’area faunistica della lontra. Il primo è stato portato a termine nel Comune di Centola con una spesa di circa 1.290.000 euro di fondi europei. Il secondo è stato edificato nel Comune di Aquara e ha comportato un esborso di oltre 500 mila euro. Oggi queste strutture non sono attive e secondo il Codacons la loro costruzione ha prodotto «una devastazione paesaggistica di un’intera area, prima di allora pregiatissima». «È incredibile», afferma l’avvocato Pierluigi Morena, dell’ufficio legale del Codacons, «come si sperperi il denaro pubblico per creare eco-mostri in aree sensibili». Il dossier denuncia che il Centro internazionale per lo studio delle migrazioni non è stato costruito con «materiali ecologici, compatibili e facilmente mimetizzati con l’ambiente circostante», ma è stata innalzata in posizione dominante e con calcestruzzo «una vera palazzina di tre piani, a forma di fungo circolare».

CEMENTIFICAZIONE E TURISMO DI MASSA – L’area del Cilento vive soprattutto di turismo. Località come Palinuro, Agropoli, Acciaroli ospitano decine di migliaia di villeggianti nei mesi estivi. Spesso le amministrazioni locali, pur di incrementare l’afflusso dei turisti, approvano progetti di dubbio impatto ambientale. È il caso della cementificazione del porto turistico di Pisciotta, cittadina a pochi chilometri da Palinuro (i lavori sono attualmente fermi dopo l’intervento della Sopraintendenza che ha constatato «la completa asportazione della scogliera preesistente, nonché il salpamento di parte della scogliera a sud del porto»). O ancora del progetto di costruzione di circa 40 villini da parte della cooperativa Sea Village in un’area protetta in località Lacco di Pisciotta, a pochi metri dal mare. Quest’ultimo progetto ha dato luogo a una vicenda giudiziaria con risvolti penali che ha visto coinvolti anche amministratori locali. Naturalmente il litorale costiero è quello che soffre di più la minaccia del turismo di massa. Il Codacons denuncia «le crescenti concessioni agli stabilimenti balneari nell’area dunale» sul pregiato litorale di Marina di Camerota. Il carico degli stabilimenti danneggerebbe l’intero territorio, «con pregiudizio anche per le specie di uccelli (gabbiano reale e gabbiano corso) che nidificano sulle falesie rocciose lì presenti». L’attività umana avrebbe tra l’altro provocato «gravi perdite di specie autoctone sulla spiaggia di cala del Cefalo».

IL KARTODROMO E LA GALLERIA – La fantasia degli amministratori locali non conosce limiti. Il Comune di Torraca vuole portare a termine la costruzione di un kartodromo e di una centrale eolica sulla montagna di Casalbuono, sul golfo di Policastro, «zona ritenuta dall’Autorità di bacino molto fragile per la sua natura carsica, quindi inadatta a ogni attività umana». Dopo la denuncia del Codacons sarà l’autorità giudiziaria a stabilire se effettivamente è possibile costruire una pista di kart su una montagna carsica. Ma forse il progetto più incredibile è quello denominato Interconnessione degli schemi idrici Sele–Alento, presentato nel luglio 2008 dal Consorzio Velia per la bonifica dell’Alento. Il piano prevedeva la deviazione del fiume Calore, nel tratto delle note gole, e la costruzione di una galleria di 2,5 km che avrebbe permesso alle acque di confluire nel bacino dell’Alento, lago artificiale e importante fonte di approvvigionamento idrico per il territorio. Lo scopo del progetto era aumentare l’acqua a disposizione per fini domestici e combattere «la tropicalizzazione del clima nel sud Italia». Sulla questione è intervenuto anche il Wwf Italia che, attraverso il presidente Enzo Venini, ha sostenuto che se il progetto fosse stato attuato «avrebbe causato la scomparsa del fiume Calore, tra i più vitali e meno inquinati del sud Italia, con la conseguente distruzione dell’ecosistema legato al fiume». Il Codacons su questa vicenda aveva avviato una campagna di tutela intitolata Salviamo il fiume Calore. «Quella campagna», sostiene il presidente del Codacons Campania, professore Marchetti, «ha dato un contributo decisivo per fermare un progetto faraonico, inutile e dannoso».

ABBATTIMENTO – Il direttore dell’Ente parco, Angelo De Vita, non nasconde i numerosi problemi che affliggono il Parco nazionale, ma pone l’accento anche sulle tante attività intraprese: «Nel corso degli ultimi anni abbiamo portato a termine numerose iniziative che hanno fatto conoscere i nostri territori anche al di fuori dell’Italia. Gli abusi edilizi sono un problema grave. Spesso però gli abbattimenti non sono portati a termine per mancanza di fondi. Infine ci sono i soliti problemi burocratici con i singoli Comuni. Non voglio certo scaricare le colpe sugli amministratori locali, ma nell’immediato futuro cercheremo di trovare un’intesa con loro e abbatteremo quelle costruzioni che da anni sono state dichiarate illecite».

Francesco Tortora
21 maggio 2009

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