TRAVAGLIO: IL DIFFAMATORE PER ANTONOMASIA.

Ma continua a fare la morale in tv

Travaglio il diffamatore, il disegno ‘criminale’ contro Renzi: tutte le condanne del direttore del Fatto

Paolo Pandolfini — 7 Ottobre 2023

Marco Travaglio pianificò e realizzò una campagna diffamatoria contro Matteo Renzi. Lo ha stabilito il tribunale di Firenze che ieri lo ha condannato ad 80mila euro di risarcimento, oltre al pagamento delle spese processuali e alla pubblicazione della sentenza su tre quotidiani nazionali. Il direttore del Fatto Quotidiano, scrive il giudice Massimo Donnarumma, iniziò il suo “progetto denigratorio” nel 2015, pubblicando una “grande mole di articoli e prime pagine” in cui il nome di Renzi veniva puntualmente accostato ad “indagini, inchieste e a fatti illeciti”.

La campagna denigratoria nei confronti di Renzi durò cinque anni, con la pubblicazione di più di cinquanta articoli che avevano un solo scopo: insinuare nel lettore, tramite titolazioni, accostamenti ambigui ed immagini, il sospetto di un coinvolgimento di Renzi nelle vicende giudiziarie riguardanti suoi parenti o amici. Un disegno ‘criminale’, pianificato a tavolino, che Travaglio ha portato avanti con un linguaggio volgare e scurrile. Fra gli appellativi utilizzati: “Cazzaro”, “Ducetto”, “l’Innominabile”, “Mollusco”, “Disperato”, “Caso umano”, “Mitomane”, “Stalker”, “Cozza”, “Criminale”. Non contento, Travaglio aveva poi iniziato a chiamare Renzi “Bullo”, anche a prescindere dal fatto narrato, superando tutti i limiti esterni del diritto, sia di critica che di satira politica. Il numero delle volte in cui Renzi è stato identificato con tale appellativo, ricorda il giudice, “è così imponente ed attraversa un arco di tempo così vasto (dal 2014 al 2020) che si può ritenere che Il Fatto Quotidiano, nell’ambito della sua strategia comunicativa, abbia deliberatamente attribuito a Renzi il soprannome o nomignolo di “Bullo””. Una condotta che ha leso specificamente i diritti all’onore ed all’identità personale di Renzi, protetti, quali diritti in violabili della personalità, dall’articolo 2 della Costituzione. Improbabile la difesa di Travaglio che ha tentato di convincere il tribunale della bontà del suo operando, affermando che fino al 2014 il Fatto Quotidiano aveva difeso e condiviso la linea politica di Renzi. Il cambio di passo, squisitamente politi- co ed attinente al “merito delle sue scelte”, sarebbe iniziato a seguito della presentazione dei progetti di riforma della Costituzione e della legge elettorale.

Fra i provvedimenti del tutto contrari alla linea editoriale del Fatto, “il Jobs Act, l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la Buona Scuola, l’innalzamento delle soglie di non punibilità per molti reati di evasione e di frode fiscale, l’innalzamento della so glia minima, consentita per i pagamenti in contanti”. “Scelte che si sarebbero rivelate sbagliate, come la personalizzazione del referendum costituzionale, fino all’impegno solenne (poi tradito) di abbandonare la vita politica, in caso di sconfitta, evidenziandosi le contraddizioni rispetto ai programmi annunciati e alle promesse fatte”, aveva scritto Travaglio nella memoria difensiva. Nell’ambito della campagna denigratoria, il giudice cita un articolo in particolare: “Vacanze ad Hammamet” del 2019. Un articolo pieno di falsità dove Travaglio attribuiva a Renzi gravi fatti di rilievo penale. Più nel dettaglio, si ipotizzava che vari imprenditori e la madre di uno di essi avessero effettuato versamenti in denaro alla Fondazione Open, diretta da Renzi, nonché direttamente allo stesso, ricevendone in cam- bio favori.

Si trattava di “insinuazioni pesanti che vanno al di là dell’esercizio del diritto di cronaca giornalistica”. Travaglio, infatti, non si era limitato ad esporre il contenuto degli atti di indagine della Procura fiorentina, ma “ha indossato i panni del Pm”, elaborando una propria ricostruzione dei fatti in un momento in cui Renzi non risultava nemmeno indagato. C’è da chiedersi come il Direttore del Fatto Quotidiano possa andare ancora in tv a fare la morale agli altri.

Paolo Pandolfini

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