Tubercolosi, scabbia, sifilide. Tornano le malattie della povertà

VITTORIA IACOVELLA

Tubercolosi, scabbia, sifilide
Tornano le malattie della povertà

Tubercolosi, scabbia, sifilide Tornano le malattie della povertà

I casi dell’ospedale Gemelli a Roma e della scuola Da Vinci a Milano fanno emergere un problema serio. Il contagio parte dall’impossibilità del sistema (a causa dei tagli) a fare prevenzione nelle classi sociali più deboli. Il ministero minimizza, ma i medici che lavorano per strada con i derelitti dicono che il fenomeno è preoccupante e Giulia Bongiorno, avvocato e deputato, attacca: “Fatti e modalità inaccettabili”

ROMA – Tubercolosi, scabbia, sifilide si riaffacciano dal passato assieme a povertà e precarietà. Con la crisi economica cresce il numero dei poveri e dei senza fissa dimora. In parallelo, i medici cominciano a denunciare l’aumento delle malattie storicamente legate alle classi sociali più deboli. Tuttavia, nel momento in cui in una comunità parte il contagio, gli effetti possono colpire tutti, come dimostra il
caso dei bambini contagiati al Policlinico Gemelli di Roma o alla scuola Da Vinci di Milano. Nonostante ciò, i dati ufficiali parlano invece di un calo del numero dei casi, mostrando anche un’enorme disparità fra regioni. Fra gli addetti al settore c’è chi denuncia gravi carenze nel sistema di notifica. Se ciò fosse vero, significherebbe che i dati diffusi da ministero della Salute non corrispondono alla realtà.

Detenuti, senzatetto, immigrati, anziani sono i primi a essere colpiti: i più deboli, a causa della malnutrizione e di un sistema immunitario depresso. Ma l’aumento della Tbc fra chi vive ai margini non ha fatto notizia finché il contagio non è arrivato ai bambini, nelle scuole e negli ospedali: 122 a Roma, 179 a Milano. Figli sani di una classe media italiana che si credeva protetta. La crisi avanza e l’Italia si ritrova con un sistema sanitario azzoppato da numerosi tagli. Si finisce per lavorare, quindi, più sulle emergenze che sulla prevenzione. Le persone si ammalano e c’è chi cerca i colpevoli sia nel sistema sanitario che fra chi ha contratto il morbo. Se però esiste un untore, questo è la povertà che colpisce italiani e immigrati senza alcuna discriminazione.

La tubercolosi, il mal sottile che pensavamo accantonato tra le righe di una certa letteratura, diventa l’esempio delle antiche malattie che tornano assieme ai tempi di carestia. Gli ultimi dati elaborati a disposizione in Italia risalgono al 2008. Dall’arrivo della crisi economica a oggi possiamo semplicemente osservare i dati empirici, alcuni numeri provvisori forniti dalle regioni e ascoltare le testimonianze di chi opera sul campo, i medici che stanno lanciando segnali di allarme. A causa dei tagli alle spese, anche fare monitoraggio e rilevazioni statistiche diventa più difficile. Così scopriamo che non tutte le regioni riescono a fare un adeguato lavoro di segnalazione dei casi e che i dati risultano viziati da una sottonotifica, come ammette in sordina lo stesso Istituto superiore di sanità. Giorgio Besozzi, direttore del Centro di formazione permanente sulla tubercolosi Villa Marelli, dell’ospedale Niguarda di Milano, nel denunciare le falle del sistema afferma che i numeri reali si aggirano addirittura tra i sette e gli ottomila casi a fronte dei circa 4.500 dichiarati.

Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, sosteneva durante il question time alla Camera il 7 settembre: “Non esiste un’emergenza tubercolosi nel nostro Paese”. Ma Medici senza frontiere ha diffuso già da tempo un rapporto intitolato “Omissione di Soccorso”, come spiega nell’intervista video di questa inchiesta Gianfranco de Maio. “I servizi sanitari iniziano a scarseggiare – testimonia Annalisa Ricci, medico dell’associazione La Tenda – e anche le unità come la nostra, che operano in strada, sono state dimezzate”.

Il problema sembra essere la difficoltà ad accedere a cure e farmaci. Spesso le persone malate, se indigenti, non riescono a curarsi e diventano focolai pericolosi per tutti. “Vi faccio un esempio recente – spiega Ilaria Uccella, medico infettivologo del San Gallicano di Roma -, un farmaco molto usato per la sifilide, la Betadin Penicillina, è stato portato dall’Aifa da classe A a classe C: significa che ora per una terapia si è passati da 2 euro a 140 euro. Questo è gravissimo”.

Nelle carceri sovraffollate e in cui manca di tutto “si entra sani e si esce malati – denuncia Fabio Gui, operatore sanitario per il Garante dei detenuti del Lazio -. A Paliano, in provincia di Frosinone, c’è un sanatorio in cui arrivano da tutta Italia detenuti risultati positivi alla Tbc, curati e ora in convalescenza. Qui fino al 2008 in media trovavamo 2-3 persone, ora ne troviamo 10-12. Bisogna capire che i malati che escono dal carcere tornano per strada. Se non do i farmaci per la Tbc e se non faccio prevenzione, poi quando vado in metro è possibile che me la prendo”.

In questo quadro sembra che nessuno riesca a capire come possa essere arrivata la tubercolosi fin dentro il reparto di ginecologia ostetricia del Gemelli di Roma. “Un caso raro e sfortunato – sostiene Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità – comunque ricordiamo che meno di una persona positiva su dieci poi svilupperà la malattia”.

“Non sono accettabili il contagio, né le modalità con le quali questo è avvenuto, né il fatto che si sia minimizzato su questa situazione”, sostiene l’avvocato Giulia Bongiorno che sta seguendo le denunce fatte da alcuni genitori dei piccoli contagiati, pronti a chiedere risarcimenti di milioni di euro. Nel caso del Gemelli sono già partiti sette avvisi di garanzia per epidemia colposa e lesioni colpose. Così nessuno si prende la responsabilità di ammettere che potrebbe essere solamente la punta di un iceberg e che a questo punto la salute di detenuti, senzatetto, immigrati e anziani non è più una questione marginale.

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