Giù il cappello davanti agli immigrati che lavorano e ci pagano le pensioni coi loro contributi miliardari!

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagne

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagne
Molti lavoratori della viticoltura sono stranieri 

Per fortuna non ci sono solo caporalato e sfruttamento: uno studio presenta numeri, prospettive e storie dell’integrazione nell’agricoltura. Seguici anche su Facebook

di LICIA GRANELLO

Il latte dei migranti. Ma anche i vini – e che vini! – olio, formaggi (Parmigiano in primis). Non di soli pomodori vive l’agricoltura demandata a braccia straniere. E, per fortuna, non di solo caporalato. Nei giorni di Cheese e della battaglia per le produzioni a latte crudo – che non è questione di snobismo gastronomico o golosità compulsiva, ma conditio sine qua non di stalle pulite, benessere animale, ricchezza nutrizionale – il tema dei migranti in agricoltura è salito prepotentemente alla ribalta.

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagne

A sorreggerlo, numeri impressionanti, se è vero che il 70% dei pastori ufficialmente salariati in Piemonte (al di là di agricoltura famigliare e lavoro in nero) arriva dall’estero ed è in maggioranza romeno e albanese. In quanto ai macedoni, a loro è deputata per larghissima parte la cura delle pregiate vigne del Barolo. Una progressione epocale, senza la quale oggi non avremmo più un gregge, avendo già perso quasi un terzo del patrimonio ovino negli ultimi vent’anni. La ricerca presentata a Bra domenica scorsa porta la doppia firma di Laura Fossati, antropologa sociale e produttrice casearia, e dell’agronomo Michele Nori dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze. Un lavoro di straordinaria attualità, che affonda le sue radici nella storia di ieri e ci ricorda come i migranti di oggi siano ampiamente assimilabili – per ruolo e incidenza – a quelli che nel dopoguerra salvarono la nostra agricoltura. A cambiare, la provenienza. I contadini che stanno ridisegnando il panorama sociale delle nostre campagne arrivano dall’Europa più sofferente, dall’Africa e dal subcontinente indiano, a differenza di quelli di settant’anni fa (soprattutto sardi e veneti), mentre i piemontesi emigravano dalle poverissime Langhe per governare gli armenti delle pianure francesi.

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagneI migranti oggi possono salvare il settore agricolo

Carlo Petrini “scalda” la neutralità dei numeri con un’annotazione etica e morale: “Dimentichiamo sempre che trovandoci davanti a un’altra persona dovremmo parlare di interazione piuttosto che di integrazione, di scambio di conoscenze, saperi, tradizioni. Come succede in Val d’Aosta, dove i giovani locali hanno lasciato il posto ai maghrebini, oppure in Emilia, dove i lavoratori Sikh contribuiscono per il 60% alla produzione del Parmigiano Reggiano. O ancora nel mio Piemonte, che annovera 1800 addetti salariati all’allevamento, di cui 850 stranieri. E mancano i dati di quelli in nero”. Gli esempi potrebbero continuare quasi all’infinito, tra culture importate da terre lontane e neofiti agricoli svelti nell’apprendimento. Così una ragazza nigeriana è diventata una delle più brave produttrici di robiola di pura capra camosciata e un gruppo di ragazzi indiani governa con amore le bufale a cui si devono le superbe mozzarelle casertane.

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagne“Dietro le produzioni ci sono i progetti di integrazione più riusciti” dice Petrini

Dietro le produzioni, naturalmente ci sono le comunità e i progetti di inclusione più riusciti. Marene, cittadina distante una manciata di km da Bra, vanta la seconda comunità Sikh più importante in Italia. Daljit Singh, guida spirituale e mungitore per le Fattorie Fiandino di Villafalletto ricorda bene gli inizi: “Quando sono arrivato in Piemonte eravamo una dozzina. Non è stato facile. Adesso siamo quasi tremila, orgogliosi della nostra comunità  aperta e accogliente, senza distinzioni di credo o appartenenza politica.Siamo bravi con gli animali perché abbiamo un profondo rispetto della natura e di tutto ciò che ne fa parte”.

Formaggi, olio, pomodori e vino: il lavoro degli immigrati che mantiene vive le nostre campagneIn Campania numerosi Sikh impegnati nel settore caseario

Rispondere a chi sostiene che i lavoratori stranieri rubano il posto a quelli italiani è fin troppo facile. Il mestiere dei campi è pesante – “la terra è bassa”, recita un proverbio contadino – la retribuzione scarsa, le incertezze grandi. I migranti sono perfetti per ripopolare le campagne abbandonate: hanno un bisogno disperato di lavorare, non hanno nulla da perdere, si accontentano di poco, a volte quasi niente, come i pastori migranti che si mangiano la vita in Calabria per cinquecento euro al mese (ma superare i mille euro è un sogno al limite dell’impossibile in tutta Italia). Anche per questo, i nostri magnifici formaggi – come gran parte del nostro made in Itlay alimentare – devono essere pagati il giusto e valorizzati al meglio. Per dirla con Petrini, “Mi piacerebbe che un giorno, con calma e raziocinio, potessimo essere tutti più fraternamente uniti su questi temi, indipendentemente dalla pelle, dalla religione, dalla politica, e proprio a partire dal cibo”.

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