Le cazzate del NO al referendum smontate una per una.

Carlo Fusaro @CarloFusaro · 28 maggio 2016
I pinocchi del No/3. Chi spara balle senza aver letto la riforma e chi aggiunge offese
Referendum Un’immagine del ‘Pinocchio’ di Enzo D’Alo’, Roma, 12 maggio 2012. ANSA/UFFICIO STAMPA
Le ultime bugie sulla riforma costituzionale, nella nostra raccolta settimanale
Stavolta nessun dubbio. Pinocchio, meglio: Pinocchia numero 1, con distacco, Anna Falcone, avvocata “specializzata in diritto costituzionale e amministrativo”, vicepresidente del Comitato nazionale per il No (Corriere della Sera, 25 maggio). Colgo fior da fiore: «I ritardi causati dalle ‘navette’ fra le Camere sono un’invenzione». E ancora: con la riforma, «il Senato non vota la fiducia, ma deve essere consultato su materie vitali per i governi, come la legge di bilancio» (come non fosse la cosa più ovvia del mondo, ferma l’ultima parola alla Camera); «per la richiesta di referendum abrogativo le firme richieste salgono da 500 a 800mila», stop: falso (ha letto la riforma?); «il governo fa le leggi», ovvero: «il governo monopolizza l’attività legislativa del Parlamento» (‘mbé? ha idea di come funzioni un regime parlamentare? lo sa che il nostro è quello con il più basso tasso di successo per le proposte governative e il più alto per quelle parlamentari, e c’è poco da vantarsi?); «mettendo tutte le regioni sullo stesso piano, si torna indietro rispetto alla spinta del decentramento» (ma ha letto l’art. 116?); lascio da parte il resto. Se gli interlocutori del “No” son questi…

Pinocchio numero 2 e premio alla carriera, un pur pacato Roberto Calderoli (Avvenire, 25 maggio). Il vicepresidente del Senato, già correlatore del progetto, uno degli uomini più intelligenti del Parlamento, ammette che le scelte di fondo sono giuste, ma poi, dice, sono state attuate male (qui è nel suo diritto). Aggiunge: «i passaggi in Senato sono stati costruttivi», ma «alla Camera hanno ribaltato completamente le cose…». Peccato che il progetto iniziale ha subito quasi 70 emendamenti al Senato (60 nella prima fase, 8 nella seconda) e circa 30 alla Camera. Soprattutto, basta vedere i testi per capire che la riforma altro non è che il testo Renzi-Boschi in versione Finocchiaro- Calderoli! Alla fine il nostro sciupa tutto associandosi alle solite balle del ‘No’(deriva autoritaria, col 20% di voti si prendono 340 deputati, le cariche di garanzia diventano di maggioranza: dette così, semplicemente cose non vere).

Non definirò invece “pinocchio”Annibale Marini, già presidente della Corte (Avvenire, 18 maggio). Egli però sposa la tesi del Parlamento non legittimato a fare revisioni costituzionali, dice che accelerare il processo legislativo non è positivo, che il Senato deve per forza essere eletto direttamente, e infine – sobriamente – che «l’Italicum fa rimpiangere non solo la legge truffa ma…» (boom!) «… la legge Acerbo». Col che mi pare pronto per il Fatto.

Extra rubrica, infine, due – come definirli? – “teppisti del no” (quelli che non si limitano alle balle, ma offendono), e un mistico. In testa Michele Prospero (Manifesto, 22 maggio): dopo aver elegantemente definito Giorgio Napolitano «il più longevo politico della ‘casta’», sbertucciato Beppe Vacca, elogiati Reichlin e Bersani, intima a Renzi («espressione crepuscolare della crisi della democrazia») di «rimuovere lo scempio dell’Italicum»: se lo fa, via libera (testuale) a «ricavare in blocco i senatori dai consigli comunali di Rignano, Montelupo Fiorentino, Campi Bisenzio o Laterina» e anche a farne nominare dal presidente «i banchieri dell’Etruria o del Credito fiorentino».

Segue Maurizio Viroli, principe del radicalismo snob pseudorepubblicano, che da Princeton (Fatto, 20 maggio) se la piglia con tutti all’insegna della tesi che la riforma farà diventare «ancora più forte e arrogante la casta politica italiana» (causa l’elezione indiretta del Senato). Per lui anche la minoranza Pd «dovrebbe vergognarsi». Quanto agli italiani, ecco un popolo di beoti che «si sarà fatto beffare ancora una volta». Solo il “No”permetterebbe loro di «riconquistare la loro dignità…». Ma come si permette?

Dulcis in fundo, l’editoriale del direttore di Panorama, Giorgio Mulé (18 maggio), dal titolo “Lo sfregio renziano a una preghiera laica” (sic). Scrive: «la Costituzione è come una preghiera…, il credo di ogni cittadino…, deve arrivare dritta al cuore e alla testa. Deve avere lo stesso profondissimo significato di una frase… del tipo ‘mamma ti voglio bene’». Mon dieu!

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