“Lorenzin: “Pronti ad assumere ricercatori ventimila posti nella sanità pubblica” Alla faccia delle destre ed estrema sx. Le cose si fanno.

Eravamo 35 anni che si andava indietro e che si tagliava tutto per la ricerca. Ecco come, un passo dopo l’altro, Renzi ci sta riportando tra i primi al mondo su tutti i fronti. Senza fare miracoli, ma con un lavoro e un impegno mai visti prima.

Il piano per fermare la fuga di cervelli: contratti di sette anni, stipendi fino a duemila euro. “Il precariato non dà certezze, per questo molti scappano”

di MICHELE BOCCI

Lorenzin, la sfida: "Pronti ad assumere ventimila ricercatori nella sanità pubblica"

ROMA. Ricercatori assunti nel servizio sanitario nazionale con contratti che possono durare 7 anni ma anche il doppio. Quante persone? Anche 20mila. Il ministro alla Sanità Beatrice Lorenzin lancia la sua proposta agli Stati generali della ricerca sanitaria in corso anche oggi a Roma. L’idea è quella di regolarizzare i precari già presenti e anche di attrarre altri professionisti.

Che progetto avete per i ricercatori?
“Partiamo dall’idea di rendere possibile per loro un percorso all’interno della sanità ospedaliera. In questo senso ci siamo ispirati all’Irlanda. Nei nostri Irccs (Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico tra i quali il Besta di Milano e il San Matteo di Pavia, ndr) ci sono già circa 10mila precari. Persone che lavorano con contratto di uno o due anni, a progetto, senza avere certezze per il futuro”.

Come farete a dargliele?
“Con dei bandi selezioneremo chi merita di ottenere il finanziamento per condurre una ricerca. Sceglieremo non solo in base alle pubblicazioni fatte ma anche all’idea di studio proposta, valutando che margini di sviluppo pratico ha. Poi offriremo contratti che in una prima fase arrivano a durare fino a 7 anni. Ci saranno valutazioni ogni anno per capire come procede il lavoro. Se tutto va bene si potrebbe arrivare fino a 15 anni di contratto. Altrimenti si interrompe il rapporto”.

E gli stipendi?
“Chi fa ricerca negli Irccs e in generale nel sistema sanitario talvolta guadagna pochissimo, anche solo 800 euro al mese. Vogliamo portare lo stipendio a 1.800-2.000 euro. Ma l’importante è dare la stabilità anche dal punto di vista della prospettiva. Spesso i ricercatori vanno via dall’Italia proprio perché non hanno certezze sul futuro del progetto di studio che stanno portando avanti. Così perdiamo persone che potrebbero produrre valore qui. Miglioriamo le condizioni di vivibilità, diamo loro la possibilità di costruire una carriera in Italia, teoricamente anche all’interno di un reparto ospedaliero, e non se ne andranno per sempre”.

Quante persone pensate di coinvolgere, con quali fondi?
“Potrebbero essere meno di 20mila ma anche di più. Molti soldi li spendiamo già per chi sta negli Irccs e ci saranno stanziamenti aggiuntivi. Non ci dimentichiamo però che con il nuovo sistema chi non produce ricerche interessanti smetterà di essere pagato. Stiamo creando uno scenario nuovo, nel quale dare tranquillità a chi già lavora e offrire nuove opportunità a chi ha talento. Questa materia è un asset tecnologico fondamentale per il Paese, abbiamo chiesto a tutti i ministri, al Miur, all’Agricoltura, al Lavoro e allo Sviluppo economico di collaborare per farla crescere”.

Una volta concluse, le ricerche vanno messe in pratica.
“L’incontro di Roma serve anche a creare rapporti con l’industria che poi è in grado di sviluppare le ricerche, per arrivare a una cura. Vogliamo che l’Italia in questo campo sia al livello di paesi come Inghilterra o Germania. Ce la possiamo fare perché partiamo da un impact factor, cioè da un bagaglio di pubblicazioni, migliore degli altri. Ci manca però il trasferimento tecnologico, in pratica inventiamo ma poi sono altri a produrre”.

Perché in Italia cala l’aspettativa di vita, come ha detto il rapporto Osservasalute della Cattolica?
“La prima cosa che viene da pensare, è che il dato sia collegato al picco di mortalità che abbiamo avuto in Italia l’anno scorso. Comunque ho coinvolto i tecnici del ministero, aspetto che mi facciano una relazione”.

Comunque la ricerca solleva vari problemi.
“Certo, nella sanità italiana cose che non vanno ce ne sono. Il primo tema è la prevenzione: dobbiamo invecchiare meglio. Lavoriamo per promuovere gli stili di vita, legati all’alimentazione e all’assenza di alcol e di fumo. Poi c’è la vaccinazione, fondamentale per il benessere dei cittadini. La definirei il primo salvavita. Inoltre bisogna che gli screening funzionino. Devono essere chiamati tutti i cittadini nelle fasce di età a rischio ma bisogna anche fare in modo che tutti quelli che vengono convocati poi rispondano. Cosa che in molti casi non avviene. Ma quando ci si muove nel settore della prevenzione non vanno fatti interventi a pioggia, uguali in

ogni regione. Ognuna deve muoversi a seconda della sua situazione. Al Sud ad esempio ci sono molti bambini obesi ma meno anziani, e di conseguenza un numero più basso di demenze rispetto al Nord. Bisogna quindi impegnarsi di più sul problema dei giovani con l’alimentazione”.

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