Renzi aveva mille volte ragione: inizia lo scaricabarile dei colpevoli. Film visto troppe volte.

Woodcock scarica Scafarto: “Sono stato io ingannato da lui”. Ma al Csm resta sotto accusa

Woodcock scarica Scafarto: "Sono stato io ingannato da lui". Ma al Csm resta sotto accusa
Il pm di Napoli Henry John Woodcock (ansa)

L’interrogatorio del pm di Napoli sui falsi nelle carte Consip contro il padre di Renzi. E le intercettazioni con il capitano del Noe

di LIANA MILELLA E CONCHITA SANNINO

ROMA. “Io sarei l'”ingannato””. È l’autodifesa di Henry John Woodcock, certificata negli atti della Procura di Roma. Così il pm si autodefiniva, pur usando il modo condizionale, il 7 aprile, intercettato al telefono proprio con Giampaolo Scafarto. Il magistrato e l’ufficiale del Noe (oggi maggiore) parlano al telefono nelle ore in cui il carabiniere apprende d’essere sotto inchiesta dalla Procura di Roma: il pm esclude l’eventuale “malafede” di Scafarto, lo esorta a difendersi “da uomo di Stato”. Esattamente tre mesi dopo, però, il 7 luglio, dinanzi ai colleghi romani che lo interrogano, lo stesso Woodcock scarica una delle tesi difensive di Scafarto definendola “totalmente falsa “. Aggiungendo che da tempo l’ufficiale aveva riferito a lui e anche ad altri magistrati napoletani “di essere intercettato”.

Conversazioni e verbali che fotografano lo scandalo sulle ipotetiche manipolazioni. Proprio mentre la vicenda su Alfredo Romeo e Consip, con i riflessi di dissidi interni alla Procura di Napoli nei mesi caldi, esplode anche al Csm. Dove ieri, in prima commissione (che ha aperto la pratica per il trasferimento d’ufficio di Woodcock) sono stati ascoltati per 5 ore i procuratori aggiunti di Napoli Alfonso D’Avino (Pubblica amministrazione) e Giuseppe Borrelli (Antimafia, area casalesi) su Consip e Cpl Concordia, in particolare sull’intercettazione tra Matteo Renzi e il generale della Guardia di Finanza Michele Adinolfi, pubblicata dal
Fatto.

“IL SUV NON ERA DEI SERVIZI”
Il 7 aprile – come documenta il dossier della procura di Roma – Scafarto telefona a Woodcock e i carabinieri del Nucleo di Roma sintetizzano: “Scafarto precisa: perché nell’informativa ho omesso di riferire di quello del Cherokee, che insomma facemmo gli accertamenti e vedemmo che insomma non c’entrava niente, che era uno… quello di Caracas, Venezuela, ve lo ricordate?”. Il riferimento riguarda la paura – poi rivelatasi erronea – che scatta quando Scafarto e compagni sono negli uffici di Romeo e si sentono osservati, sospettano che quel fuoristrada sia utilizzato dai Servizi, poi risalgono al titolare, un sudamericano, che non c’entra. Tuttavia, il capitolo sui Servizi resta, nell’informativa Noe trasmessa da Woodcock, e non c’è traccia dell’integrazione. Qui Woodcock risponde: “Eh me lo ricordo che lo avete detto… come no”. Scafarto, in alcune chat delle stesse ore, aveva raccontato a un collega che l’omissione sarebbe stata “una scelta investigativa precisa, condivisa con Woodcock “. Poi Scafarto parla al pm dell’altra contestazione: aver attribuito a Romeo la frase “Renzi (Tiziano, ndr), l’ultima volta che l’ho incontrato”, mentre era stata pronunciata da Italo Bocchino, in riferimento al leader Matteo.

PM: IO TIRATO IN TRANELLO?
La conversazione tra pm e ufficiale continua, i carabinieri scrivono: “Parlano del fatto che si tratta di un atto dovuto e che Scafarto farà valere la sua onestà”. Poco dopo: “Woodcock lo rassicura, gli dice che comunque si chiarirà tutto e che si sta confrontando con persone perbene e professionali. Woodcock dice di essere in difficoltà in quanto lui sarebbe l'”ingannato” in quanto destinatario dell’inganno. Ma esclude la malafede di Scafarto. Il magistrato ribadisce che lui ha sempre consigliato alla pg di essere più asettica e oggettiva possibile “.

“SAPEVA DELL’INTERCETTAZIONE”
“È vero che io dissi a Scafarto di fare un capitolo sui Servizi, così come gli dissi di fare capitoli autonomi per singoli soggetti (Consip e quant’altro)”. È il 7 luglio e Woodocock risponde all’aggiunto Paolo Ielo, al pm Mario Palazzi, alla presenza del procuratore capo Giuseppe Pignatone: “Si trattava di un’indicazione di tipo redazionale (…)”. Sul mancato inserimento del dato che il suv “sospetto” non era riconducibile ai Servizi, qui il pm smentisce seccamente Scafarto: “Quanto alla presunta condivisione della scelta investigativa, evocata nelle intercettazioni di Scafarto, di omettere nell’informativa l’identificazione del proprietario del suv, è un’affermazione totalmente falsa “. E aggiunge: “Preciso inoltre che Scafarto, ben prima di quella telefonata, era venuto da me in diverse occasioni alla presenza della dottoressa Carrano, dicendomi di sapere di essere intercettato “.

IL CSM E I 2 PROCURATORI
Cinque ore dinanzi al Csm, per i due aggiunti, D’Avino e Borrelli. Puntigliosamente, il primo, interrotto da molte domande, ha ribadito la sua tesi, e cioè che Woodcock non avrebbe dovuto essere il destinatario dell’inchiesta Consip, in quanto essa spettava al suo pool, quello sulla Pa, trattandosi di un caso di corruzione, mentre Woodcock è un pm in carico al gruppo che si occupa di criminalità organizzata. Borrelli invece, ha ribadito – al pari di come pure aveva già fatto D’Avino – che l’indagine napoletana (con archiviazione per 4 carabinieri del Noe Caserta) sulla fuga di notizie del Fatto per ‘intercettazione tra il generale Adinolfi e Renzi contenuta nell’inchiesta Cp Concordia (in cui si esprimeva un giudizio sprezzante sull’operato dell’allore premier Letta) aveva accertato che la fonte della trasmissione atti si era consumata all’Ordine degli avvocati di Napoli: quindi relativa agli atti “gemelli” presenti in altro filone partenopeo sui casalesi, non a quelli trasmessi (senza omissis) al procuratore capo Musti, a Modena. Proprio per approfondire l’origine dell’assegnazione al Csm sarà sicuramente sentito proprio Colangelo, il magistrato che di Woodcock aveva detto: “E’ un cavallo di razza, ma bisogna tenergli le redini strette al collo”.

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