La tragica fine di silvio berlusconi: un nano malavitoso in un mondo di giganti. Opposizione stupida.

Amici, siamo davvero la barzelletta del mondo intero.

Solo in Italia ha potuto trovare spazio e arricchirsi a dismisura un povero mentecatto senza arte né parte. La pseudo opposizione non ha MAI speso una sola parola sulle tragiche verità che accompagnano la vita miserabile di questo omuncolo.

Lo hanno sempre trattato come se fosse  REALMENTE un normale avversario politico, dimenticandosi che è figlio di un mafioso (luigi, suo padre, era il manutengolo della banca della mafia: la banca Rasini. Unica banca al mondo chiusa per mafia e riciclaggio!)

Amici, siamo davvero la barzelletta del mondo intero!

Hanno dimenticato, i vari veltroni/d’alema/violante e lo stesso Bersani, che il nanerottolo ha cominciato a fare danni, corrompendo, minacciando, ricattando chiunque, forte dei miliardi sporchi di sangue e dell’appoggio di Cosa Nostra.

Hanno dimenticato che si è scaraventato in politica quando il suo mondo sporco di affari loschi e padrini ancora più loschi è crollato sotto i colpi della Procura di Milano nel 1993: TANGENTOPOLI.

Hanno dimenticato che burlesquoni era un mafioso, un piduista, un delinquente inveterato che, nonostante le vagonate di miliardi della mafia e di molte banche compiacenti, nel 1993 aveva debiti per oltre 6000 miliardi ed era in bancarotta.

COME HA FATTO TANTI SOLDI COSI’ IN FRETTA?

DEPREDANDO LO STATO! Cosa che non ha mai smesso di fare.

Il Pds/Ds/PD ha dimenticato che questo cialtrone ha preso il potere con brogli, compravendita di voti, voti delle mafie e con il 90% dei media in mano, promettendo UN MILIONE DI POSTI DI LAVORO… beh, in soli sette mesi di governo ha devastato l’Italia, ha perso un milione di posti di lavoro, ma se n’è tornato a casa con oltre 12 mila miliardi in attivo.

Come li ha fatti?!

SI è SEMPRE DIMENTICATA DI DIRE, QUESTA RIDICOLA OPPOSIZIONE, CHE ANCHE LA CASA NON è SUA! L’immensa proprietà di Arcore, burlesquoni l’ha RUBATA, insieme a cesare previti – noto delinquente pluricondannato  e suo sodale – alla povera orfanella marchesina CASATI STAMPA! Una proprietà del valore di 180 miliardi del 1970, rubata senza pagare un cent.

Insomma, amici, non esiste un solo reato previsto dal codice penale che silvio berlusconi non abbia commesso.

Ha portato in parlamento una massa di delinquenti, pregiudicati, pluricondannati, zoccole, faccendiari, mafiosi: la  feccia della feccia della feccia.

Ma questa vergognosa opposizione lo ha sempre aiutato, temuto, trattato come se fosse stato DAVVERO uno statista. VERGOGNA!

veltrusconi

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HARDCORE: «Così Berlusconi ha truffato mia cognata»

La contessa Rangoni Machiavelli: «Così Berlusconi ha truffato mia cognata»

di Claudia Fusani

 È stata una doppia rapina. Consumata alle spalle di una ragazzina minorenne, choccata dalla morte del padre, fuggita dall’Italia per sfuggire alla curiosità di giornalisti e paparazzi e raggirata da quel professionista che si chiama Cesare Previti al servizio di Silvio Berlusconi». Beatrice Rangoni Machiavelli è una nobile signora di ferme tradizioni liberali, illustre casato, impegnata nel sociale, ex deputato del parlamento europeo. E’ anche la cognata di Anna Maria Casati Stampa di Soncino, la ragazza che nel 1970 resta orfana all’improvviso e tragicamente ed eredita tutto il patrimonio del casato tra cui villa San Martino ad Arcore. La stessa villa in cui dieci anni dopo si trasferisce Il Cavaliere già Re del mattone e in procinto di diventare anche Signor Tv.

Cosa intende per “doppia rapina”?
«Dal 1974 vado denunciando il furto perpetrato ai danni di mia cognata Annamaria Casati Stampa di Soncino, per le modalità dell’acquisto della Villa di Arcore e dei terreni, centinaia di ettari, su cui è stata fatta la speculazione di Milano 2».

Non ci sono sentenze che lo dimostrano.
«Siamo arrivati tardi, quando ci siamo accorti del raggiro erano già passati dieci anni ed era scattata la prescrizione. Ma quelle due acquisizioni restano comunque due rapine».

Chi è Annamaria? E dove vive oggi?
«È una signora di 59 anni, vive all’estero con la sua meravigliosa famiglia e ogni volta che si parla di questa storia per lei sono solo dolori e incubi. La famiglia, i marchesi Casati Stampa di Soncino, sono uno dei più illustri casati milanesi proprietari in Brianza e a Milano di terreni e palazzi».

Cosa succede il 30 agosto 1970?
«Annamaria arriva a Fiumicino da un viaggio con alcuni amici. Chiama il padre, il marchese Camillo che dopo la morte della mamma di Annamaria si era sposato con Anna Fallarino, per farsi venire a prendere. Camillo la rassicura ma le dice restare ancora qualche giorno con gli amici. Il marchese in realtà, depresso e in pessimi rapporti con la signora Fallarino, aveva già pianificato di suicidarsi. Solo che nelle stesse ore in quella casa arrivano la moglie e il suo amante Massimo Minorenti, lo ricattano, gli chiedono un miliardo di lire per ritirare alcune foto compromettenti già consegnate ai giornali. Lui perde la testa, ammazza e si ammazza. Fu Annamaria a dover riconoscere i corpi sfigurati del padre e della matrigna. Del caso parlò tutta Italia, per mesi. Potete immaginare lo choc di quella ragazza».

Come entra in scena Cesare Previti?
«Il padre Umberto è un noto fiscalista calabrese che nei primi anni settanta sta architettando la complessa struttura societaria della Fininvest. Cesare è un giovane avvocato che ha una relazione con la sorella di Anna Fallarino. La prima cosa che fa è cercare di dimostrare che la famiglia Fallarino è l’unica erede del patrimonio Casati Stampa perchè la donna è morta dopo il marito. L’autopsia gli dà torto: la giovane e minorenne Annamaria è l’unica erede. Il padre, Camillo, è morto due minuti e trenta secondi dopo».

Poi però il giovane Previti diventa tutore della ragazza e amministratore del suo patrimonio.
«Eh, già, si vede che questo era il piano B… Annamaria, minorenne, è affidata a un avvocato amico di famiglia Giorgio Bergamasco il quale però diventa senatore e poi ministro in uno dei governi Andreotti. In un modo o nell’altro rispunta fuori Previti che piano piano diventa l’unico responsabile del patrimonio di Annamaria. La quale si ritrova titolare di beni mobili e immobili per circa tre miliardi di lire ma anche un sacco di debiti per via della tasse di successione con rate da 400 milioni».

E Annamaria decide di vendere…
«Non è così. Qui comincia il raggiro. La ragazza non ha soldi, non ha potere di firma e ogni decisione è delegata a Bergamasco-Previti. Fatto sta che un giorno, siamo nel 1973, Previti dice ad Annamaria: “Ma come sei fortunata, c’è un certo Berlusconi che vuole comprare, 500 milioni…”. Annamaria replica che è un po’ poco, e Previti la rassicura: “Mavalà, in fondo gli diamo solo la villa nuda, la cappella e un po’ di giardino intorno…”. Previti lascia intendere che arredi, pinacoteche, biblioteche, il parco, tutto sarebbe rimasto a lei mentre invece stava vendendo tutto».

Nessuno si accorge di nulla?
«Il fatto è che Annamaria, esausta, nel 1973, appena maggiorenne si sposa quasi di nascosto, una notte, e va a vivere in una fazenda in Brasile, con la sua famiglia, felice e lontana dalla sua prima vita di cui vuol sapere poco o nulla. Il curatore ha campo libero. Io me ne accorgo solo nel 1980, dopo che è stata completata la vendita di villa San Martino. Avverto Previti che avrei raccontato tutto a Anna Maria. Lui mi risponde, ancora lo ricordo, che mai sarei riuscita a portare un pezzo di carta ad Annamaria in Brasile con delle prove. Invece ce l’ ho fatta: avevo nascosto il dossier con la documentazione in un biliardino. Ricordo anche che a Fiumicino ci perquisirono con molta accuratezza. Per andare in Brasile, strano no…».

Che succede poi?
«Annamaria ritira deleghe e procure e le affida a me. Lì comincia la mia battaglia. Abbiamo provato negli anni a riprendere almeno qualche quadro, un Annigoni, ad esempio. Mio fratello andò di persona ad Arcore, fu la volta che si trovò davanti Mangano con tanto di fucile. Berlusconi ci chiese quanto volevamo per venderlo a lui. Ma noi non volevamo venderlo. Non ce l’ha mai reso. Così come le 14 stazioni della via Crucis di Bernardino Luini, nella cappella di famiglia».

All’inizio parlava di due truffe…
«Così come si sono presi il parco e la villa, si sono presi anche tutti i terreni dove poi è sorta Milano 2, terreni agricoli della famiglia Casati Stampa».

In che modo?
«Avevano frazionato i terreni in tante srl e poi li hanno resi edificabili. Quando ce ne siamo accorti, abbiamo scoperto che ogni srl era intestata a vecchini con l’Alzheimer pensionati all’ospizio della Baggina. “Lei non mi può denunciare, io conosco tutti» ci disse Berlusconi. E aggiunse: “E poi domani scioglierò tutte le srl». Ci riuscì, tranne che per poche pezzature di terreni di cui ci fece avere in tre giorni i soldi. Oltre al danno anche la beffa: la speculatrice, la palazzinara, quella che aveva trasformato i terreni da agricoli in edificabili, risultava essere Annamaria Casati Stampa. Il colmo, no? ».

Annamaria?
«Non ne vuole sapere più nulla e nesuno ha mai pensato che potesse essere risarcita. Io però continuo da allora la mia battaglia a tutti i livelli perchè credo sia giusto che si conosca la qualità delle persone che ci governano. Sotto il profilo penale, purtroppo, non è mai stato possibile fare nulla».

Qualche volta ne parlate tra di voi?
«Mia cognata ha un’altra vita, vive lontana, non è affatto legata ai soldi. In quei pochi giorni in cui Previti è stato in carcere mi disse solo: “Chissà, Magari stavolta potrò riavere il mio quadro…”».

DELINQUENTI, CORRUTTORI,  E LADRI.

previti

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Da Travaglio

L’uomo che sapeva troppo poco

Da quando, in via del tutto ipotetica, il suo on. avv. Niccolò Ghedini l’ha definito “utilizzatore finale” di prostitute a sua insaputa, Silvio Berlusconi si staglia come il politico più ingenuo o più sfortunato della storia dell’umanità. Dal 1974 al 1976 ospita nella villa di Arcore un noto mafioso, Vittorio Mangano, intimo del suo segretario Marcello Dell’Utri e già raggiunto da una dozzina fra denunce e arresti, ma lo scambia per uno stalliere galantuomo: anche quando glielo arrestano due volte in casa. Dal 1978 (almeno) al 1981 è iscritto alla loggia deviata P2, convinto che si tratti di una pia confraternita. Dal 1975 al 1983 le finanziarie Fininvest ricevono l’equivalente di 300 milioni di euro, in parte in contanti, da un misterioso donatore, ignoto anche al proprietario: infatti, dinanzi ai giudici antimafia venuti a Palazzo Chigi per chiedergli chi gli ha dato quei soldi, si avvale della facoltà di non rispondere.

Negli anni 80 l’avvocato David Mills crea per il suo gruppo ben 64 società offshore nei paradisi fiscali, ma lui non sospetta nulla, anzi non sa nemmeno cosa sia la capofila All Iberian. Questa accumula all’estero una montagna di fondi neri che finanziano, fra gli altri, Bettino Craxi (23 miliardi di lire) e Cesare Previti (una ventina). Previti, avvocato di Berlusconi, ne gira una parte ai giudici romani Vittorio Metta (nel 1990) e Renato Squillante (nel 1991), ma di nascosto al Cavaliere. Il quale però s’intasca il gruppo Mondadori grazie a una sentenza di Metta, corrotto da Previti con soldi Fininvest. Nei primi anni 90 il capo dei servizi fiscali del gruppo, Salvatore Sciascia, paga almeno tre tangenti alla Guardia di finanza. E nel 1994, quando la cosa viene fuori, il consulente legale Massimo Berruti tenta di depistare le indagini dopo un incontro a Palazzo Chigi col principale. Ma questi non si accorge di nulla (“giuro sui miei figli”). Nemmeno quando Sciascia e Berruti vengono condannati, tant’è che se li porta in Parlamento. Nel 1997-’98 Mills, testimone nei processi Guardia di Finanza e All Iberian, non dice tutto quel che sa e lo “salva da un mare di guai” (lo confesserà al commercialista). Poi riceve 600 mila dollari dal gruppo di “Mr. B”. E Mr. B sempre ignaro di tutto (rigiura sui suoi figli).

Di recente si scopre che il Nostro, nell’ottobre scorso, prese a telefonare a Noemi, una minorenne di Portici, proprio mentre il suo governo varava una legge per stroncare la piaga delle molestie telefoniche (“stalking”). Ma lui scoprì che era minorenne solo quando fu invitato al suo diciottesimo compleanno. Ora salta fuori che Patrizia D’Addario, che trascorse con lui una notte a Palazzo Grazioli, è una nota “escort” barese, pagata da un amico del premier (l’”utilizzatore iniziale”?). Ma lui non ne sapeva nulla, tant’è che in quel mentre il suo governo varava una legge per arrestare prostitute e clienti. E’ sempre l’ultimo a sapere. Può un uomo così ingenuo, o sfortunato, o poco perspicace, fare il presidente del Consiglio?

b-21

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

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Bandito corruttore, DIMETTITI!!!

Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D’AVANZO

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la “legge Alfano”, sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso “All Iberian/Mills” con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: “Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario” (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: “Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia” (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, “responsabile di fronte agli elettori”, e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della “società dell’incanto” che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un “comparto estero riservato della Fininvest”, chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda “non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana” (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: “All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità”.

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo “All Iberian” (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che “non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato”, le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento “diretto e personale” di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di “64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”. Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle “fiamme gialle” corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio “enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali”, come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del “group B very discreet della Fininvest” sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come “i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì”). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il “corpo mistico” dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno “questi giudici” a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento “dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura”, come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno “spettacolo”, ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S’aggrappa al solito refrain, “gli italiani sono con me”, come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene “irresponsabile” può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

ber-galera

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