Scusate, vagabondi, ma ero in giro per pagamenti e commissioni. Oggi inizio con una bella notizia: Carla Bruni mostra i dentini, schizza il mafionano, e se ne va da sola a parlare coi terremotati. Cosa che ha fatto anche Obama ieri e che ha fatto anche George Clooney. Mica luca barbareschi o gabriella carlucci…
Archivi tag: commissioni
REGIME ALL’AMATRICIANA
Quando Tremonti ordinò sanzionate la Gabanelli
«Con la presente il sottoscritto prof. avv. Giulio Tremonti chiede l’immediato esercizio dei poteri sanzionatori». Inizia così l’ultimo affondo del ministro dell’Economia contro l’informazione, avviato ai danni di Milena Gabanelli e la sua «pericolosa» trasmissione Report. Non è piaciuta al ministro la puntata su social card e Tremonti bond, nonostante fosse stato intervistato lui stesso.
Così ha scritto 5 cartelle di esposto-denuncia alla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e alla Commissione parlamentare per l’Indirizzo generale e la Vigilanza dei servizi radiotelevisivi. L’intento è chiaro: dimostrare la poca obiettività del programma, e dunque la lesione del dovere di informazione imparziale e completa imposto dal servizio pubblico. Insomma, non è una rettifica, tantomeno una querela. Ma Tremonti vuole comunque farsi sentire, esercitare «il potere sanzionatorio».
In effetti il rapporto del ministro con giornali e mass media in generale è costellato di eventi leggendari. Rumors più disparati raccontano di telefonate infuocate, battibecchi nervosi, arrabbiature furibonde. Certo, tutti i politici si arrabbiano con la stampa. E tutti vorrebbero averla amica e, se possibile, asservita. Ma Tremonti è tra i pochi (non l’unico, nell’intero arco parlamentare) a prendere iniziative in prima persona, a guerreggiare all’arma bianca con chi si occupa di lui. È quasi un corpo a corpo che il ministro ingaggia a colpi di pressioni indebite e invettive. Anche perché – lo sanno bene anche i non addetti ai lavori – la verve non gli manca.
A scorrere le cinque cartelle anti-Gabanelli traspare un furore montante. Tremonti parla di «lesione dei principi di completezza, correttezza, – si legge – obiettività ed imparzialità dell’informazione». Poi procede per punti, elencandone sette. Nel primo parla di «sintesi deformata di alcuni delicati e rilevanti aspetti dell’attualità, che ha assunto i contorni della propaganda negativa». Si riferisce forse il ministro al fatto che la social card è stata fornita solo a pochi, e che molti l’hanno ricevuta scarica? O che rappresenta anche uno strumento su cui MasterCard riesce a fare un buon business grazie alle commissioni versate dai commercianti? Tremonti parla di «tesi preconfezionata», ma la realtà non è molto lontana da questa tesi. Anzi. Il ministro non dimentica di difendere, naturalmente, il «legittimo esercizio del diritto di critica». Peccato però che questo secondo lui non sia il caso: perché tutto il contesto sarebbe stato creato da Gabanelli attraverso una «capziosa estrapolazione di brani tratti da conferenze stampa».
Si arriva così all’accusa (terzo punto) di «utilizzo strumentale del mezzo televisivo». Tremonti rammenta come «tutte le trasmissioni di informazione devono rispettare la pluralità dei punti di vista e la necessità di contraddittorio». Peccato che (troppo) spesso molti esponenti di governo appaiono in video davanti a un microfono e senza neanche una «faccia» a porgere la domanda. A proposito di contraddittorio. Naturalmente meglio se all’ora di cena, e in una giornata in cui qualcun altro ha lanciato critiche all’operato dell’esecutivo.
°°° La sintesi è questa: la libertà di stampa e la democrazia reale questi cialtroni li disintegrerebbe in due settimane. Ecco perché a loro serve il regime e l’oscuramento delle notizie. BUFFONI!!!
LA SEGRETARIA DI TVEMONTI
G8 alla Maddalena
Soldi spariti
■ ■ Niente copertura finanziaria, salta
in Senato l’emendamento sui fondi
da destinare alle opere. Chimica,
Cappellacci: pronto a incatenarmi.
°°° Bravo, Cappella… incatenati a sto ceppo di minchia. E tira forte. Che anche lui si cominci a rendere conto che non conta una sega ed è solamente il ragazzino delle commissioni del suo padrone?
I veri fannulloni
In calo la produttività in aula. Migliore la performance
della Camera, dove c’è seduta da lunedì a giovedì
Al Senato si lavora solo 10 giorni al mese
Il record di aprile: 7 ore in una settimana
di CARMELO LOPAPA
ROMA – Tre giorni di lavoro a settimana. Non uno di più, qualche volta meno. Come nell’ultima di aprile, quando gli onorevoli senatori hanno varcato l’ingresso di Palazzo Madama martedì 28 alle 16,30 per chiudere i battenti già l’indomani, mercoledì 29, alle 20,08. Per non dire della seconda settimana di aprile, quella che ha preceduto la Pasqua, al lavoro solo il mercoledì 8, poi trolley e via, tutti a casa in vacanza per tornare 13 giorni dopo, il 21. Ad ogni modo, negli ultimi due mesi il pallottoliere ha segnato una media di 10-11 giorni lavorativi al mese, con minimi storici da 7 ore d’aula, come in quell’ultima settimana di aprile.
Sarà pure l’età media più alta, ma la questione si pone perché, a scorrere il timing delle sedute della Camera alta, si scopre che la campanella non suona mai prima del martedì pomeriggio e il giovedì mattina quasi sempre si chiude. Settimana corta, cortissima. Certo, c’è l’attività delle commissioni, ma la media di lavoro settimanale (come si riscontra nella tabella in alto) è quella che è. E, sebbene nel periodo preso in esame, marzo-aprile, siano stati approvati al Senato importanti ddl, dal testamento biologico al federalismo, i dati stridono con quelli dello stesso periodo alla Camera.
A Montecitorio, da marzo, il presidente Gianfranco Fini ha introdotto la cosiddetta “settimana bianca”, per consentire ai deputati di lavorare sui rispettivi territori. Ha compensato tuttavia allungando le restanti tre settimane: aula già dal lunedì e fino al giovedì sera. Anche lì, c’era la promessa di prolungare fino al venerdì mattina, ma finora è accaduto solo nell’ultima settimana di marzo, con pochissimi deputati presenti per interrogazioni e interpellanze. La media resta tuttavia almeno di quattro giorni a settimana e 16 al mese.
Al Senato il presidente Renato Schifani aveva provato a suonare la sveglia. “Al di là delle richieste di modifica del regolamento, si possono disciplinare meglio i lavori dell’aula in modo da lavorare qualche ora in più durante la settimana”. Era il 2 ottobre scorso e già allora – 4 mesi dopo l’inizio della legislatura – i numeri lasciavano a desiderare, sebbene non si fossero toccati picchi negativi di queste ultime settimane. La presidenza si scontra tuttavia con l’andazzo generale.
“Aumentare l’attività può essere un obiettivo condivisibile, ma smentisco che esista un caso Senato – sostiene Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo Pdl – Anzi, in questi mesi la nostra assemblea si è ritrovata in anticipo sul lavoro, rispetto alla Camera. Andiamo più veloci e abbiamo approvato in prima lettura ddl che ancora attendono la seconda a Montecitorio. Disponibili a una razionalizzazione dei lavori, alla riforma dei regolamenti, ma anche quella deve essere bicamerale”.
E invece il problema esiste, eccome, a sentire i Democratici che sollevano il caso. “Si lavora meno del dovuto e si lavora male – sostiene Luigi Zanda, vicecapogruppo Pd – La nostra proposta di riforma del regolamento consentirebbe un salto in avanti, sia nel numero di sedute che nella qualità del lavoro. Chiediamo che si lavori almeno 4 giorni alla settimana, 3 nelle commissioni, 1 in aula, perché il problema è non trasformare l’aula in una semplice macchina approva-decreti. Purtroppo, col “porcellum”, i parlamentari di maggioranza sono esecutori della volontà dell’esecutivo e il Parlamento in questa legislatura è un ufficio “disbrigo” del governo. Unica missione, trasformare in legge i decreti. I poteri ne risultano stravolti: l’esecutivo fa le leggi, le Camere eseguono ordini”.
°°° A parte le varie zanicchi e de michelis che vanno a rubarsi 40mila euro al mese (oltre a benefit e pensioni d’oro) in Europa, ecco gli schiavetti senza spina dorsale del mafionano come vengono beneficiati in cambio del loro servilismo. E io pago!
I SENATORI E I DEPUTATI DESTRONZI.
Siamo (Pdl) la vergogna d’Europa
europarlamento
Italiani a Strasburgo: assenze record
Tra i 20 peggiori metà sono «nostri»
La ricerca (privata) di un assistente parlamentare. Basse anche le presenze in commissione
di GIAN ANTONIO STELLA
L’onore dell’Italia in Europa lo salva un tedesco. Si chiama Sepp Kusstatscher, è sudtirolese, fa parte del gruppo dei Verdi e su 270 sedute plenarie ne ha bucate 2. Evviva. Su gran parte degli altri è meglio stendere un velo. Basti dire che tra i primi cento eurodeputati più presenti a Strasburgo i nostri sono 3. Meno di un terzo dei tedeschi e degli inglesi, un quinto dei polacchi. In compenso, sono nostri 10 dei 20 più assenteisti. Da arrossire. I dati sono stati raccolti da Flavien Deltort, un giovane assistente che, dopo avere lavorato in passato con Marco Pannella, si è messo cocciutamente a raccogliere uno dopo l’altro tutti i documenti ufficiali a disposizione. Con l’intento di metterli on-line.
Un lavoro certosino. Interminabile. Deciso per supplire alla riluttanza dimostrata dall’Europarlamento nel fornire i dati che potrebbero consentire ai cittadini dell’Unione di vedere come lavorano i loro rappresentanti a Bruxelles e a Strasburgo. Riluttanza confermata nell’ottobre scorso quando il radicale Marco Cappato chiese ufficialmente, per avere infine un panorama chiaro, le tabelle delle presenze di tutti gli europarlamentari. Richiesta respinta dal segretario generale Harald Rømer, che gli spiegò: lei, come deputato, può chiedere solo i dati suoi. E basta: «Non esiste alcun documento consolidato che riporti il numero totale di presenze per Deputato alle diverse riunioni ufficiali» e il regolamento «non obbliga in alcun modo le Istituzioni a creare documenti per rispondere ad una richiesta». Una scelta da più parti contestata. E corretta tre mesi fa, nelle intenzioni, dal voto di una risoluzione presentata dallo stesso Cappato e approvata dall’assemblea a larga maggioranza: 355 a favore, 18 astenuti e 195 contrari, tra i quali quasi tutti i membri del Popolo delle libertà. Si trattava solo di una dichiarazione d’intenti. Ma esplicita: impegnava infatti l’assise continentale a «varare, prima delle elezioni europee del 2009, un piano d’azione speciale per assicurare sul proprio sito web, ad esempio nel quadro dell’iniziativa e-Parlamento, una maggiore e più agevole disponibilità di informazioni ».
Ci si arriverà davvero? Difficile. Anzi: ormai, agli sgoccioli della legislatura, sembra praticamente impossibile. Peccato. Perché solo quei dati ufficiali potrebbero spazzare via polemiche, contestazioni e accuse di assenteismo e «fannullonismo » che si trascinano da anni un po’ in tutti i paesi. Ma soprattutto in Italia. Basti ricordare, tra i tanti, lo studio dell’Università tedesca di Duisburg che nel 2004 accertò come nella legislatura che si chiudeva, la presenza italiana alle sessioni di voto fosse stata del 56,2%, contro l’80,9 dei greci o l’ 82,5% dei tedeschi. Capiamoci: non c’è stata occasione in cui i dati siano stati accettati senza rivolte corali. «Non contano le presenze alle assemblee plenarie, conta il lavoro in commissione!». «Non conta il numero degli interventi in aula, conta il loro peso politico!». «Non contano le interrogazioni in aula, contano i risultati che si ottengono magari con un solo dossier!». Per carità, osservazioni legittime. Come è legittima la prudenza nel maneggiare lo studio dal quale attingiamo i dati di oggi. La sostanza delle cose, però, è inequivocabile. Prendiamo il lavoro nelle commissioni. I deputati che ne fanno parte possono provare la loro presenza mettendo la firma su due diversi registri: quello della commissione o quello generale. Ma tra i due c’è una differenza sostanziale. Il primo è pubblico e consultabile (con un po’ di pratica) da tutti, il secondo no: segreto.
Risultato: ogni parlamentare beccato con un numero di presenze basso può sempre cavarsela giurando di avere partecipato molto più di quanto risulti. Anche a prendere i numeri con le pinze, però, ci sono domande che non trovano risposta. Come è possibile che pur avendo l’Italia un decimo dei seggi europei (78, come la Francia e la Gran Bretagna: solo la Germania coi suoi 82 milioni di abitanti ne ha di più: 99) ci ritroviamo con soli 6 rappresentanti nella classifica dei 250 più presenti nelle varie commissioni? Come mai possiamo schierare solo Vittorio Prodi (345 presenze), Umberto Guidoni (270), Patrizia Toia (255), il solito Kusstatscher (195), Pia Elda Locatelli (192) e Pasqualina Napoletano (155) per un totale appunto di sei parlamentari contro 13 dell’Olanda (che ha poco più d’un terzo dei nostri seggi), 22 della Spagna, 26 della Gran Bretagna e addirittura 49 della Germania? Gli italiani che in questa legislatura fino al 31 dicembre scorso si sono avvicendati sulle 78 euro-poltrone (una girandola pazzesca, frutto del disinteresse che la nostra classe politica prova nei confronti dell’Europa, vista troppo spesso soltanto come fonte di stipendi e prebende e benefit spettacolari) sono stati 109: è un disguido se solamente 25 risultano fra i 500 (cinquecento!) deputati più presenti nelle commissioni?
È un disguido se su 921 euro-deputati transitati per Strasburgo in questa legislatura (anche negli altri paesi capita che alcuni scelgano di abbandonare, sia pure molto meno che da noi) quelli che risultano oltre la 800esima posizione sono addirittura 37 e oltre la 900esima ben 9? Quanto alle presenze alle sedute plenarie, come dicevamo all’inizio, la situazione è forse ancora più pesante. Non solo abbiamo solo tre parlamentari (Kusstatscher, Francesco Ferrari e Pasqualina Napoletano) tra i primi cento più assidui ma ne abbiamo soltanto 10 tra i primi trecento. Contro 17 spagnoli (che hanno ventidue seggi in meno), 25 britannici, 39 tedeschi. In compenso dominiamo le posizioni di coda, quelle oltre il 900esimo posto, con Fabio Ciani, Gianni De Michelis, Gian Paolo Gobbo, Armando Veneto, Alessandra Mussolini, Rapisardo Antinucci, Paolo Cirino Pomicino, Raffaele Lombardo, Adriana Poli Bortone e Umberto Bossi. Qualcuno, come ad esempio Pomicino e Bossi, può invocare problemi di salute. Altri no. «Pesati» i valori massimi e i valori minimi, i più presenti e i più assenti, i più loquaci e i più muti, i più attivi nel presentare interrogazioni e i più pigri, le tabelle offrono anche una specie di classifica finale. Da cui viene fuori che, tra i primi cento deputati europei, ne abbiamo otto. Con in testa, unica tra i primi dieci, Luisa Morgantini. Può bastare, insieme con la presenza di un po’ di «mediani » che fanno dignitosamente il loro lavoro, per consolarci?
°°° Peoprio i destronzi nostrani, c’era da stupirsene? sono i più fannulloni e i più magnaccia d’Europa. Buoni solo a sparare cazzate e a rubare stipendi e mazzette. E adesso Mafiolo prepara un’ennesima infornata di zoccole ignoranti, che servno solo da sollazzo per qualche potente impotente. Come al solito. Spero che le puttane di professione di stanza a Strasburgo e a Bruxelles si oppongano clamorosamente alla concorrenza sleale.BLEAH!
La beffa della beffa
‘Rate mutuo: il debito resta anche se la casa non c’è più’
di Bianca Di Giovanni
Rate del mutuo sospese per un anno. Il governo ha annunciato il provvedimento in pompa magna, anche se molti istituti erano già pronti a intervenire. Il primo ad annunciare l’iniziativa è stato il Montepaschi: gli altri sono venuti dietro uno a uno. Ma nessuno ha chiarito bene cosa accade se la casa per cui ci si è indebitati è crollata. Rate solo sospese, o debito azzerato? Davanti a questa domanda si apre un buco nero. «In punta di diritto il debito esiste ancora», replica qualcuno. Dunque, tra 12 mesi si dovrà riprendere a pagare per un cumulo di macerie. Niente interessi, per carità, niente penali né commissioni, come promette l’ordinanza del governo. Ma pagare si deve: anche se la casa non c’è più.
http://www.lunita.it/news/83884/rate_mutuo_il_debito_resta_anche_se_la_casa_non_c_pi