Furio Colombo ci spiega lucidamente l’incontro (finalmente) Obama-Monti.

Un giorno in America

Quel giorno, 11 febbraio 2012, resterà certamente come il segno di un prima e di un dopo. Sappiamo qual’è il prima e sappiamo il senso di sollievo, addirittura ostentato, del presidente americano Obama. Arriva l’Italia e non è Berlusconi. È Monti.

Vuol dire che ci si incontra fra persone preparate, vuol dire che le persone sono psichicamente normali e professionalmente competenti, nei due sensi del mestiere che fanno e dell’ incarico politico che rivestono. Vuol dire che si possono ascoltare con attenzione cose vere, progetti realistici e dati che sono certi e verificati.

Non c’è ipocrisia nella ritualità americana. Dunque la copertina di Time non è nè un favore nè un

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Furio Colombo fotografa la cloaca del parlamento-farsa del delinquente berlusconi

Il naufragio del Parlamento

Il Parlamento italiano, ai giorni nostri. Prima scena. Il deputato Antonio Razzi, gruppo dei “Responsabili”, che, insieme a Scilipoti, il 14 dicembre 2010 ha abbandonato Italia dei Valori e ha assicurato a Berlusconi l’ultima maggioranza, ha scritto un libro per l’importante editore Mondadori. Il 1 febbraio il libro viene presentato alla Camera e la folla trabocca nella grande sala di Montecitorio detta” Il Mappamondo”. Sono presenti a decine deputati del vecchio regime, autobus di giornalisti, l’autore “responsabile” e il suo editore, che è la stessa persona che Razzi ha salvato in
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Sotto il potere niente (Furio Colombo)


Sotto il potere niente

“È vero”, ha detto con pazienza Mario Monti a un certo punto della infinita discussione piena di distinguo e di ammonizioni: “È vero, non c’era bisogno di professori, bastavano i politici. Ma perché queste cose non le avete fatte prima voi?”.

Ha ragione, pensa chi ha assistito alla nuova opposizione leghista, teppismo allo sbando e insulti infantili nei banchi e nell’emiciclo della Camera e del Senato. Ha ragione, se si pensa al tipo di sostegno a luci spente e riserve mentali ad alta voce della ex Casa della libertà (mi permetto di dire “ex ” senza disprezzo perché essi stessi hanno fatto sapere che sono imbarazzati di se stessi e cambieranno nome). Ha ragione, se si pensa che il discorso di Di Pietro, che invitava a stare alla larga da Monti, è stato costantemente e calorosamente applaudito da poco più di

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Le minchiate di Frattini, il maestro di sci-marchetta, svelate da Furio Colombo.

Frattini, il liberatore della Libia

Pare che sia Franco Frattini, e non tutta la messa in scena dei ribelli libici e della Nato, il vero liberatore della Libia. Se lo state ad ascoltare nell’assemblea delle Commissioni Esteri della Camera e del Senato, lo scorso mercoledì 7 settembre, ecco che cosa vi annuncia.

Vi annuncia che l’Ambasciata italiana a Tripoli (un edificio bruciato dalle cantine al tetto) è aperta, funziona, con il tricolore che sventola non si sa da quale pinnacolo. Non esistono prove o fotografie del glorioso evento, ma l’annuncio è sempre stato il pezzo forte (e l’unico) di questo governo. Vi annuncia che l’Italia ha ricostruito tutte le condotte di acqua potabile di Tripoli, rendendo possibile il ritorno della vita normale. Vi annuncia (cito) che l’Italia sostiene tutti i tentativi in corso negoziando con tutte le tribù”, benché non vi sia traccia né notizia di tale negoziati e neppure di contatti con entità diverse che finora non si sono ancora coalizzate.

Stranamente il ministro Frattini, che pure è – ci garantisce – il vero deus ex machina della nuova Libia, non ci dice nulla delle carceri di Gheddafi, se siano state aperte, se siano state svuotate, se siano usate per rinchiudere i mercenari (veri o presunti) e collaborazionisti, e sotto quale autorità, e con quali garanzie. Eppure era stato lui ad annunciarci, in piena guerra, che Gheddafi stava aprendo le sue prigioni per riversare sull’Italia i suoi peggiori criminali. Ci ha detto di avere “fonti di servizi segreti” sull’argomento.

Alle Commissioni riunite Frattini ha detto (giuro) che è merito dell’Italia e del governo italiano se questo non è avvenuto, ovvero se una sua affermazione falsa si è rivelata falsa. Poi ci ha assicurato che (cito) “l’Italia è in testa” fin da maggio affinché si realizzi l’accordo di associazione tra Unione europea e Libia, e sia convocata entro nove mesi (avete letto bene, nove mesi) l’Assemblea costituente che darà alla Libia libera una nuova Costituzione e chiamerà il popolo libico alle urne.
Ma niente paura, questa non è un’iniziativa o un piano politico. Solo annuncio. Dentro l’Italia, se quegli impiccioni dei mercati non disturbassero, funzionerebbe ancora, data la benevola condiscendenza del sistema di informazione italiano e delle opposizioni, gentilissime, al governo di Arcore.

Per essere utile e preciso, il ministro Frattini ha voluto annunciare anche “le priorità”, tanto non costa niente, è solo un annuncio. Però rivelatore. Ecco: primo, il controllo delle frontiere; secondo, bloccare “il traffico di esseri umani” (strana definizione per il fiume di disperati che fugge dallo sterminio e dalla fame del Corno d’Africa; eppure persino il ministro degli Esteri Frattini dovrebbe sapere della guerra ventennale e della spaventosa carestia che tormentano Somalia, Eritrea, Etiopia).

Ma tutto ciò serve per introdurre alla frase detta, quasi con candore, da un uomo la cui faccia tosta deriva anche da questa qualità rara in politica, il candore. Ha detto, il 7 settembre 2011 il ministro degli Esteri Frattini: “Il Trattato di amicizia e partenariato con la Libia (nel trattato originale era “la grande Jamahirya libica”) sarà riattivato. Pensate che è la stessa persona che, all’inizio dell’operazione franco-inglese, non ancora Nato, a cui l’Italia aveva offerto le basi ma non gli aerei, aveva detto alla Camera che “il trattato è sospeso”. Dopo l’inizio dei bombardamenti Nato con partecipazione italiana aveva spiegato: “Un trattato è fra governi. Non c’e più quel governo, non c’è più il trattato”. E infine aveva assicurato che il voto del Consiglio di sicurezza che aveva autorizzato i voli Nato, ha annullato (ha proprio detto annullato) contestualmente il trattato.

Non era vero niente
, parola di Frattini. Il trattato italo-libico contestato in quasi ogni articolo dalle Nazioni Unite, dall’Agenzia dei Rifugiati, dall’Unicef, da Right Watch, da Amnesty International e da ogni organizzazione umanitaria del mondo civile, è vivo e opera assieme a noi.
Da un lato distribuisce ricchezza (ricordate? Ci costa 20 miliardi di dollari in cinque anni, questi cinque anni) dall’altro controlla le frontiere degli altri, usa le motovedette italiane, spara a vista e affonda gli emigranti proprio come Gheddafi.

Si può capire che la lunga esposizione al potere porti un po’ di cinismo. Ma come si fa ad augurarsi che il prossimo governo libico sia composto di canaglie a pagamento come quello, non ancora del tutto scomparso, di Gheddafi? E come mai, nell’aula delle commissioni Esteri, Camera e Senato riunite, nessuno ha fatto una piega, tranne i radicali Mecacci e Perduca e, non saprei dire a nome di chi, dato il silenzio, chi scrive?

Il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2011

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Lampedusa ammutinati contro il cinismo. L’Italia vera è UMANA! Non c’entra un cazzo con berlusconi

Furio Colombo

Lampedusa ammutinati contro il cinismo

Due brutti giorni sabato e domenica, per l’Italia, segnata da Berlusconi. Sabato mattina alle ore 10, nella città di Bergamo, nella sala in cui ha luogo l’Assemblea degli Industriali italiani, entra in sala l’amministratore delegato della ThyssenKrupp Italia, appena condannato a 16 anni perché nella sua fabbrica di Torino (un’acciaieria) sei giovani operai e il loro capo, sono finiti bruciati vivi, durante il turno di notte. Subito è scrosciato in sala un applauso caloroso, solidarietà di manager a manager e, degli schiavi, chissenefrega.

La sera dello stesso giorno giunge notizia della strage nel Mediterraneo. È affondato un barcone con seicento disperati in fuga dalla Libia, molti bambini, pochi salvati. La Padania intitola a tutta pagina: “Settimana anticlandestini”. Forse non sanno della strage in Libia. Invece un titolino spiega: “Affonda barcone con 600 a bordo”. La sera c’è un comizio di Bossi a Bologna. Accanto ha il ministro Tremonti. Quando tocca a lui, avverte la piazza: “State attenti o vi troverete presto con un sindaco di nome Alì”. È il mondo in cui Barack Hussein Obama è presidente degli Stati Uniti. Ma è il giorno in cui il premier ha dichiarato: “I pubblici ministeri che mi perseguitano sono un cancro da estirpare”.

Eppure, quella stessa notte, un barcone ha sbattuto sugli scogli davanti a Lampedusa (nel buio, senza alcuno strumento di soccorso) e stava rovesciando nel mare il suo carico di disperati, tra cui donne e bambini. Nel buio (pensate, ancora adesso Lampedusa è stata dotata di nulla) soldati, ufficiali, marinai, Guardia di finanza, Guardia costiera, vigili urbani, cronisti, cittadini di Lampedusa, hanno formato una catena umana passandosi corpi grandi e corpi piccoli, bambini spaventati e mamme che urlavano nomi. E hanno salvato tutti. Quasi tutti. Al mattino sono stati trovati tre cadaveri incastrati sotto la barca. Ma i bambini sono con le mamme, i papà hanno trovato i piccoli.

Questo è accaduto: l’Italia di Lampedusa si è ammutinata all’orrore a cui fino ad ora ha dovuto assistere e tutti (tutti) si sono buttati in acqua, nel buio, e ciascuno ha salvato chi poteva salvare. Forse il nostro Paese può ricominciare da qui, la parte decente e umana della sua Storia.

Il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2011

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Burlesquoni. La notte del processo breve, di Furio Colombo

di Furio Colombo

11 aprile 2011

La notte del processo breve

“Sindaco, anche lei, come Matteo Renzi, spera che Berlusconi esca indenne dai processi?” “Vorrei che Berlusconi cadesse per una presa di coscienza sul berlusconismo da parte dei cittadini italiani, e non a causa di un processo. La mia parte politica (Pd, ndr) si concentra sui guai giudiziari. Invece dovremmo elaborare un progetto per il Paese e studiare l’uomo Berlusconi. E’ un seduttore. Con uno così non si va allo scontro frontale. Lo si fa squagliare al sole.”

Ho citato dalla intervista di Vittorio Zincone al cinquantunenne (giovane, no?) sindaco Pd di Bari, Michele Emiliano (Sette, Il Corriere della Sera, 7 aprile) per mostrare quanto è lunga la fermata in stazione, ovvero la strana e radicatissima idea che ci si muove meglio da fermi, che,  sì, ogni
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Furio Colombo

Parlare male di Berlusconi
di Furio Colombo

Perché non possiamo non dirci antiberlusconiani, qualunque sia il risultato elettorale (che speriamo largamente democratico, nel senso politico, nel senso di antifascista, nel senso che Marco Pannella ha ridato alla abusata parola)? La ragione si esprime in pochi punti.

1. L’ideologia, ovvero il patrimonio di idee e di visioni che Berlusconi ha trovato abbandonati sul terreno quando è “ sceso in campo”, non c’entra. Questo non è un governo di destra. Non c’è il decoro e il senso delle istituzioni della Destra di Gianfranco Fini, né la concitazione aggressiva e xenofoba della Lega Nord che – in tante diverse incarnazioni – avvelena il clima morale e politico di mezza Europa. Berlusconi non è né Fini né Bossi. È solo se stesso. Un signore ricco, furbo, non intelligente ma svelto, svincolato dal peso della buona reputazione e ricoperto dal manto – tutto teatrale però efficace – del successo populista. Non c’è nulla prima di Berlusconi, nulla che gli assomigli. Non ci sarà nulla dopo di lui (certo non il devoto Bondi). Abbiamo a che fare con un caso unico in Europa e raro nella storia. Non è raro il leader squilibrato. È rara una così vasta sottomissione delle cosiddette classi dirigenti.

2. È vero (cito ancora Marco Pannella) che malgoverno e malaffare hanno a lungo lavorato insieme in Italia ben prima dell’uomo di Arcore. Ma sono confortato dal grido di allarme del leader radicale che, invece di scusarsi per l’antiberlusconismo dichiara, col consueto coraggio, che c’è un vero e imminente pericolo di fascismo e che la persecuzione delle persone segue, non precede, la strage di notizie. Questa strage è già in atto se pensate ai molti grandi giornali che non hanno osato pubblicare le immagini di comportamento indecente del premier alla parata del 2 giugno. Più ancora, se si ricorda a che punto estremo di manifestazione e di denuncia i nonviolenti Pannella e Bonino sono dovuti arrivare per rompere il silenzio.

3. Chiunque può avere, per un periodo, un ministro inutile come Brunetta; un capo dell’Economia impegnato a scrutare un altro orizzonte, non quello vero, come Tremonti; un finto ministro dell’Istruzione come la Gelmini (memorabile l’invenzione del 6 rosso) di cui si ricorderanno solo il tailleur alla Mary Poppins, gli occhiali e i tagli poderosi alla scuola pubblica. Ma nessuno ha avuto e continua ad avere per quindici anni un uomo troppo ricco, non nel pieno controllo del suo comportamento pubblico (la vivacità eccessiva certe volte lo aiuta, certe volte lo sputtana) e preoccupato solo di se stesso, immagine, donne (nei limiti e con la pena dell’età), e finti progetti, uno o due al giorno, annunciati e poi buttati, in un delirio di applausi che – ci siano o non ci siano gli oppositori – ad un certo punto cesserà di colpo.

4. Berlusconi siede sul groviglio dell’immondizia, del terremoto, della crisi economica senza governare. Tutte le sue leggi sono ritorsioni, punizioni, vendette, volute e votate per interesse aziendale o personale o tributo a un partito feudatario, come il disumano e incivile «pacchetto sicurezza», vero best seller di condanne nel mondo civile laico e religioso. In particolare non si registra una legge o misura o azione o strategia anticrisi che non sia una esortazione all’ottimismo e al consumo. La parola d’ordine del non-governo Berlusconi è «lavorare di più», ammonimento diretto non si sa a chi, date le cifre continuamente in crescita della disoccupazione. Lo dice mentre lo affianca la neoministro del Turismo Brambilla, di cui non si sa nulla, eccetto il colore vistoso dei capelli, e che non può far nulla in un Paese che affoga nell’immondizia e nel cemento. Infatti, nel frattempo, incombe sulla Toscana l’immensa colata di cemento detta «Spaccamaremma», l’inutile autostrada destinata a isolare la regione italiana più celebre al mondo dal suo mare (la colata di asfalto e cemento corre lungo le spiagge). E incombe su tutto il Paese il «piano casa». È un singolare condono preventivo che autorizza ciascuno al peggio, senza autorizzazioni, senza controlli, senza regole. Ma questo è il cuore del discorso. Berlusconi, da solo, siede sul Paese. Come se non bastasse lancia una frase squilibrata al giorno. L’ultima è “troppi negri a Milano”, nell’anno, nel giorno, nell’ora dello straordinario discorso al Cairo di Barack Obama, primo Presidente afro-americano degli Stati Uniti. Sua moglie – che deve averci pensato molto – ci dice che non sta bene. Alcuni italiani lo ammirano perché è ricco e sono sicuri che non usa aerei di Stato per ballerine di flamenco e chitarristi personali. Altri – come Pannella – vedono e dicono chiaro il pericolo. In Italia manca l’ossigeno delle notizie vere. Il piede sul tubo è quello di Berlusconi.

APTOPIX ITALY BERLUSCONI

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