Berlusconi, gangster impunito

In arrivo la norma che cancella tutte le prove
di Claudia Fusani

Il delitto perfetto esiste. Basta avere molta fortuna. Oppure essere molto abili nel cancellare scientificamente ogni prova e ogni indizio. Non solo quelli lasciati sulla scena del delitto ma anche ogni collegamento o riferimento possibile. Ecco, la vicenda giudiziaria del premier Silvio Berlusconi assomiglia molto al tentativo lucido, costante, scientificio di cancellare ogni prova e indizio. Una bonifica a prova di Ris. O di Csi.

Fiction televisive a parte, la via maestra per il Presidente del Consiglio sarebbe sempre la stessa: farsi processare, accettare il giudizio dei giudici e poi sbandierare le sentenze. Quali che siano. Come ha fatto il senatore Giulio Andreotti, non l’ultimo nome nella storia della Repubblica. Lui invece fugge dai processi, impazzisce quando gli si parla di toghe e magistrati e continua a mettere la sua vita al riparo della giustizia grazie alle leggi ad personam, le norme studiate a tavolino proprio per blindarsi rispetto ad inchieste, sospetti e accuse.
Se la madre delle leggi ad personam è stato il lodo Alfano (impunibilità delle quattro più alte cariche dello Stato, luglio 2008) per cui Berlusconi è uscito dal processo dove era coimputato con l’avvocato inglese David Mills, l’inizio è stato nel 2001 quando, appena insediato a Palazzo Chigi fece approvare la norma che di fatto depenalizzò il falso in bilancio (all’epoca c’erano un paio di processi incardinati con questa ipotesi di reatoprocessi,incardinati,reato,rogatorie,internazionali,conti esteri,Previti,Squillante,dimezzò,termini,prescrizione,). Nel mezzo c’è una lunga lista: dalla legge che ha modificato le rogatorie internazionali (2001) per cui divennero inutilizzabili le dichiarazioni sui conti esteri di Previti e Squillante; alla ex Cirielli (o salva Previti, 2004) che dimezzò i termini di prescrizione del reato così che l’ex ministro della Difesa e avvocato del premier evitò la conferma in appello delle condanne a 16 anni per tre corruzioni giudiziarie (Imi-Sir, Lodo Mondadori, Squillante). L’operazione non è ancora conclusa.

Nell’obiettivo di bonificare, cancellare, ripulire – perché in fondo se il premier “cade” sul caso Mills e diventa corruttore è come tirare un filo e sciogliere tutto il gomitolo che imbozzola la sua purezza di leader nonché di vittima del sistema giudiziario – il governo ha approvato a dicembre un complesso di norme che modificano il codice penale e di procedura. «La riforma della giustizia per assicurare più velocità nei processi e più certezza della pena» fu l’obiettivo dichiarato. Bene. Ecco come l’articolo 4 di quel pacchetto di norme (32 in tutto) interviene nel nostro sistema giudiziario. Il secondo comma di quella norma prevede che una sentenza passata in giudicato «non possa più essere acquisita ai fini della prova». Significa che le sentenze passate in giudicato, e quindi definitive, non potranno più essere utilizzate come prova anche in processi diversi. Significa che ogni volta si dovrà ricominciare da capo e non avere mai nulla di acquisito, Neppure se ha il certificato massimo della Cassazione. Significa che quando, e se mai, Berlusconi dovesse essere processato con l’accusa di corruzione per le tangenti alla Fininvest, quando non avrà più lo scudo del lodo Alfano, la sentenza del suo ex coimputato Mills, quella che ci dice che l’avvocato inglese ha mentito per tutelare il premier e la sua azienda, non potrà essere utilizzata come prova.

Sfugge, francamente, come questa modifica possa accellerare i processi e i tempi della giustizia. Anzi, semmai avverrà il contrario.
La Commissione Giustizia del Senato sta valutando in questi giorni il disegno di legge. Luigi Li Gotti, penalista, ex sottosegretario alla Giustizia, ora senatore per l’Idv, non ha dubbi: «E’ un’altra legge vergogna, che serve al premier».

Pulire, bonificare, annullare. Togliere di mezzo ogni possibile indizio. O rischio. Nello stesso pacchetto di norme diventano molto più severi i motivi di ricusazione del giudice: basta che abbia, anche solo una volta, detto qualcosa, «formulato un giudizio sulle parti del processo», e sarà obbligato ad astenersi. Sacrosanto, ma la norma è talmente generica che sembra diventare possibile ogni tipo di ricusazione. In pratica, passa il principio che si possa essere giudicati solo da chi è gradito all’imputato. E se l’imputato è un boss di mafia?

Ecco perché sarebbe tanto più semplice per il nostro Presidente del Consiglio rinunciare agli scudi e accettare il processo. Sarà sicuramente innocente, come sostiene. E almeno non se ne parla più.

°°° Certo, innocente come hitler e lo squartatore di Boston. Stampatevi questo pezzo tenetelo in tasca, pronti a sputare in faccia qualunque scimmietta che si permetta di ripetere la solita, vecchia, balla: “E’ SEMPRE STATO ASSOLTO!” UN CAZZO, NON è stato MAI assolto… si è fatto fare le leggi per non finire in galera. Cosa che ripetiamo da 15 anni.

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Bandito corruttore, DIMETTITI!!!

Un leader in fuga dalla verità
di GIUSEPPE D’AVANZO

È giusto ricordare che, se Silvio Berlusconi non si fosse fabbricato l’immunità con la “legge Alfano”, sarebbe stato condannato come corruttore di un testimone che ha protetto dinanzi ai giudici le illegalità del patron della Fininvest. Condizione non nuova per Berlusconi, salvato in altre occasioni da norme che egli stesso si è fatto approvare da un parlamento gregario.

Le leggi ad personam, è vero, sono un lacerto dell’anomalia italiana che trova il suo perno nel conflitto di interessi, ma la legislazione immunitaria del premier è soltanto un segmento della questione che oggi l’Italia e l’Europa hanno davanti agli occhi. Le ragioni della condanna di David Mills (il testimone corrotto dal capo del governo) chiamano in causa anche altro, come ha sempre avuto chiaro anche il presidente del consiglio. Nel corso del tempo, il premier ha affrontato il caso “All Iberian/Mills” con parole definitive, con impegni che, se fosse coerente, oggi appaiono temerari: “Ho dichiarato pubblicamente, nella mia qualità di leader politico responsabile quindi di fronte agli elettori, che di questa All Iberian non conoscevo neppure l’esistenza. Sfido chiunque a dimostrare il contrario” (Ansa, 23 novembre 1999, ore 15,17). Nove anni dopo, Berlusconi è a Bruxelles, al vertice europeo dei capi di Stato e di governo. Ripete: “Non conoscevo Mills, lo giuro sui miei cinque figli. Se fosse vero, mi ritirerei dalla vita politica, lascerei l’Italia” (Il sole24ore. com; Ansa, 20 giugno 2008, ore 15,47). È stato lo stesso Berlusconi a intrecciare consapevolmente in un unico destino il suo futuro di leader politico, “responsabile di fronte agli elettori”, e il suo passato di imprenditore di successo. Quindi, ancora una volta, creando un confine indefinibile tra pubblico e privato. Se ne comprende il motivo perché, nell’ideologia del premier, il suo successo personale è insieme la promessa di sviluppo del Paese. I suoi soldi sono la garanzia della sua politica; sono il canone ineliminabile della “società dell’incanto” che lo beatifica; quasi la condizione necessaria della continua performance spettacolare che sovrappone ricchezza e infallibilità.

Otto anni fa questo giornale, dando conto di un documento di una società internazionale di revisione contabile (Kpmg) che svelava l’esistenza di un “comparto estero riservato della Fininvest”, chiedeva al premier di rispondere a qualche domanda “non giudiziaria, tanto meno penale, neppure contabile: soltanto di buon senso. Perché questi segreti, e questi misteri? Perché questo traffico riservato e nascosto? Perché questo muoversi nell’ombra? Il vero nucleo politico, ma prima ancora culturale, della questione sta qui perché l’imprenditorialità, l’efficienza, l’homo faber, la costruzione dell’impero ? in una parola, i soldi ? sono il corpo mistico dell’ideologia berlusconiana” (Repubblica, 11 aprile 2001). Berlusconi se la cavò come sempre dandosi alla fuga. Andò a farsi intervistare senza contraddittorio a Porta a porta per dire: “All Iberian? Galassia off-shore della Fininvest? Assolute falsità”.

La scena oggi è mutata in modo radicale. Se il processo “All Iberian” (condanna e poi prescrizione) aveva concluso in Cassazione che “non emerge negli atti processuali l’estraneità dell’imputato”, le motivazioni della sentenza che ha condannato David Mills ci raccontano il coinvolgimento “diretto e personale” di Silvio Berlusconi nella creazione e nella gestione di “64 società estere offshore del group B very discreet della Fininvest”. Le creò David Mills per conto e nell’interesse di Berlusconi e, in due occasioni (processi a Craxi e alle “fiamme gialle” corrotte), Mills mentì in aula per tener lontano Berlusconi dai guai, da quella galassia di cui l’avvocato inglese si attribuì la paternità ricevendone in cambio “enormi somme di denaro, estranee alle sue parcelle professionali”, come si legge nella sentenza.

È la conclusione che ha reso necessaria l’immunità. Berlusconi temeva questo esito perché, una volta dimostrato il suo governo personale sulle 64 società off-shore, si può oggi dare risposta alle domande di otto anni fa, luce a quasi tutti i misteri della sua avventura imprenditoriale. Si può comprendere come è nato l’impero del Biscione e con quali pratiche. Lungo i sentieri del “group B very discreet della Fininvest” sono transitati quasi mille miliardi di lire di fondi neri; i 21 miliardi che hanno ricompensato Bettino Craxi per l’approvazione della legge Mammì; i 91 miliardi (trasformati in Cct) destinati non si sa a chi (se non si vuole dar credito a un testimone che ha riferito come “i politici costano molto? ed è in discussione la legge Mammì”). E ancora, il finanziamento estero su estero a favore di Giulio Malgara, presidente dell’Upa (l’associazione che raccoglie gli inserzionisti pubblicitari) e dell’Auditel (la società che rileva gli ascolti televisivi); la proprietà abusiva di Tele+ (violava le norme antitrust italiane, per nasconderla furono corrotte le “fiamme gialle”); il controllo illegale dell’86 per cento di Telecinco (in disprezzo delle leggi spagnole); l’acquisto fittizio di azioni per conto del tycoon Leo Kirch contrario alle leggi antitrust tedesche; la risorse destinate poi da Cesare Previti alla corruzione dei giudici di Roma; gli acquisti di pacchetti azionari che, in violazione delle regole di mercato, favorirono le scalate a Standa, Mondadori, Rinascente. Sono le connessioni e la memoria che sbriciolano il “corpo mistico” dell’ideologia berlusconiana: al fondo della fortuna del premier, ci sono evasione fiscale e bilanci taroccati, c’è la corruzione della politica, delle burocrazie della sicurezza, di giudici e testimoni; la manipolazione delle leggi che regolano il mercato e il risparmio in Italia e in Europa.

Questo è il quadro che dovrebbe convincere Berlusconi ad affrontare con coraggio, in pubblico e in parlamento, la sua crisi di credibilità, la decadenza anche internazionale della sua reputazione. Magari con un colpo d’ala rinunciando all’impunità e accettando un processo rapido. Non accadrà. Il premier non sembra comprendere una necessità che interpella il suo privato e il suo ufficio pubblico, l’immagine stessa del Paese dinanzi al mondo. Prigioniero di un ostinato narcisismo e convinto della sua invincibilità, pensa che un bluff o qualche favola o una nuova nebbia mediatica possano salvarlo ancora una volta. Dice che non si farà processare da questi giudici e sa che non saranno “questi giudici” a processarlo. Sa che non ci sarà, per lui, alcun processo perché l’immunità lo protegge. Come sa che, se la Corte Costituzionale dovesse cancellare per incostituzionalità lo scudo immunitario, le norme sulla prescrizione che si è approvato uccideranno nella culla il processo. Promette che in parlamento “dirà finalmente quel che pensa di certa magistratura”, come se non conoscessimo la litania da quindici anni. Finge di non sapere che ci si attende da lui non uno “spettacolo”, ma una risposta per le sue manovre corruttive, i metodi delle sue imprese, i sistemi del suo governo autoreferenziale e privatistico. S’aggrappa al solito refrain, “gli italiani sono con me”, come se il consenso lo liberasse da ogni vincolo, da ogni dovere, da ogni onere. Soltanto un potere che si ritiene “irresponsabile” può continuare a tacere. Quel che si scorge in Italia oggi ? e non soltanto in Italia ? è un leader in fuga dalla sua storia, dal suo presente, dalle sue responsabilità. Un leader che non vuole rispondere perché, semplicemente, non può farlo.

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Vaticano+mafia= Berlusconi

Quel conto segreto dello Ior intestato a Giulio Andreotti….
I conti segreti e i beneficiari di bonifici e trasferimenti di denaro a vario titolo da parte dello Ior,
l’Istituto per le opere di religione, vengono alla luce grazie alla pubblicazione del foltissimo archivio tenuto nascosto per anni e ordinato da monsignor Renato Dardozzi, un parmense, nato nel 1922 ex Cancelliere della pontificia Accademia delle scienze e, per vent’anni consigliere dei cardinali che si sono succeduti alla Segreteria di Stato vaticano, da Agostino Casaroli ad Angelo Sodano.

Dardozzi, morto nel 2003, ha lasciato tra le sue volontà l’ordine che il suo sterminato e dettagliatissimo archivio diventasse pubblico. Il frutto di questa operazione è un libro, dal titolo «Vaticano Spa» (Chiarelettere, 15 euro) scritto dall’inviato di Panorama Gianluigi Nuzzi. Nel volume viene riconosciuta l’esistenza di conti segreti intestati a illustri politici come ad esempio Giulio Andreotti che però ha subito minimizzato con il settimanale: «Non mi ricordo di questo conto».
Libro Vaticano

Eppure non ci sarebbe solo il «divo Giulio» ad avere beneficiato del denaro della Chiesa, ma anche personaggi molto più discussi e largamente compromessi come Bernardo Provenzano e Totò Riina, come si sa, boss mafiosi di ingombrante peso. Ma non è tutto. Elemosina anche per Severino Citaristi, l’ex cassiere della Dc, pluricondannato per Tangentopoli, che avrebbe beneficiato di un assegno da 60 milioni di lire. Tra il 1989 e 1993 si calcola infatti che siano state condotte operazioni per un valore che supera i 310 miliardi di lire dell’epoca nei vari conti; mentre i movimenti in contanti, secondo una stima prudenziale dell’autore, del libro toccherebbero i 110 miliardi.

libro

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Silvio Berlusconi, la storia vera

SILVIO BERLUSCONI

Secondo il Collodi, che ha raccontato le sue avventure, Silvio Berlusconi nasce in Brianza circondato da mobilieri. Nasce già calvo, con la testa a forma di supposta, ed un culo così (e ancora non aveva avuto rapporti col pool di Borrelli!). Suo padre Geppetto, umile ma onesto falegname, lo inquadra subito e decide di disfarsene, scaraventandolo nottetempo nel ventre di una balena bianca (madre di certi Arnaldo e Giulio) che stanziava nell’idroscalo di Milano. La balena, che non era scema, lo risputò subito. Così il povero falegname fu costretto a riportarsi indietro quel fagottino pieno di alghe, fondotinta, e gamberetti asfittici. Sulla strada del ritorno, lo mollò davanti al portone di un un convento di suore.
Da qui tutte quelle “zie pie”. Le suore lo inquadrarono subito e lo mollarono ad una agiata famiglia di stronzi, che lo inquadrarono subito e proprio per questo decisero di tenerlo.
Lo viziarono in maniera schifosa: 15 megaculle, di cui sei in Sardegna. Pannolini tagliati da Caraceni. Un’orchestra da camera che veniva tutte le sere da Lucerna, per la ninna nanna… A un anno, aveva orchestra da camera, camera, e telecamera personale. Il piccolo Silvio cresceva, solo di età, ed era molto vispo. Imparò subito a smentirsi e poi piano piano imparò anche a parlare. La sua prima parolina fu MIO, la seconda TUTTO, la terza COMPLOTTO, poi RIBALTONE , SONO INNOCENTE, GIUDICI COMUNISTI, LO GIURO SULLA TESTA DEI FIGLI (tanto non sono miei), e così via.
Intorno ai sei anni cominciò ad andare a scuola. Contrariamente agli altri bambini, lui si presentava davanti ai portoni delle elementari alle cinque del mattino: dormiva pochissimo (già sniffava coccoina) ed era fissato con le lezioni anticipate.
Studiava con buona lena, ma soprattutto coi suoi maestri preferiti, “il Piccolo e il Grande Maestro” li chiamavano. Il piccolo sembrava tale perché era gobbo. Soffriva di amnesie, questo glielo rendeva più simpatico ed era sempre pronto a difenderlo dalle malignità dei suoi compagni, i quali dicevano che quella del maestro, più che una gobba era una cupola. Silvio amava il Piccolo Maestro anche perché parlava poco, era sempre intento a scrivere: articoli, libri, memorie difensive… Eppoi, sembrava nato in un’aula, da un’aula, per l’aula. Se volevi pesci dovevi cercare nell’acqua, così come il luogo naturale per il Piccolo Maestro era l’aula. La cosa curiosa era che, anche se conosciuto come “Piccolo Maestro”, egli per età e spessore veniva reputato un “Grande Vecchio”. Soprattutto in un certo tipo di Aule.
Ma Silvio amava ancor di più il Grande Maestro, un simpatico toscanaccio che aveva la mania degli scherzi. Nascondeva l’oro nelle fioriere e, a volte, si presentava travestito da tipico muratore: cappuccio, grembiule, compasso, dossier per i ricatti e tutto il resto. Più che amarlo, lo venerava proprio. Il Grande Maestro aveva anche il vezzo di donare delle speciali tessere di merito ai discepoli più diligenti. Silvio ne fece incetta, per sé e per i suoi amichetti. Ma chi erano i suoi amichetti? Uno era uno spilungone particolarmente fedele, tant’è che si chiamava Giovanni, ma lui lo chiamava proprio Fedele. Come il suo cane. E come un vecchio cameriere che raccoglierà, molti anni dopo, e lo accudirà amorevolmente. Questo cameriere, uno spilungone siciliano, era stato già al servizio di numerosi altri potenti. Patologicamente, come vedeva un potente si scaraventava ai suoi piedi. Lingua a smeriglio, fiera espressione ebete, con Silvio si superò: agli altri padroni portava semplicemente cappuccino e giornale, a Silvio portava addirittura cappuccio, grembiulino, e telegiornale.
E lui, per ripagarlo, anziché Fedele lo chiamava col diminutivo affettuoso di Fede (era l’unica cosa che poteva diminuirgli in un contesto da subumano già ridotto ai minimi termini). Inoltre, divideva con lui il fard, la tintura per capelli, e le pernacchie che si levavano alte dal Paese e dal mondo intero.
Ma torniamo all’infanzia e agli amici di allora.
Silvio, fin da piccolo e forse proprio per gli oscuri natali, ha sempre amato molto la famiglia. In tutti i sensi. I suoi amici facevano parte della famiglia.
Dieci amici formavano una decina. Se gli serviva una commissione, mandava i suoi amici e gli amici degli amici: il mandamento, appunto.
Fedele gli portava i libri. Sempre. Anche più tardi. Anche se qualcun altro, non proprio amico, si faceva avanti per portare lui i libri, magari in tribunale, Fedele si impuntava e teneva i libri ben stretti o li nascondeva. Magari all’estero. Un altro amichetto stretto era uno spilungone di emigrato romano, si chiamava Cesarone. Con lui organizzarono un esilarante scherzo ai danni di una piccola orfanella: uno la faceva piangere e, mentre lei era distratta, l’altro le portava via tutto, le casette di Barbie e di Arcore, terreni, pinacoteche, tutto! Poi dividevano in due parti uguali. Che si prendeva Silvio.
Ma Cesarone riusciva a fare la cresta e rubacchiava qualcosa anche per sé.
L’amico più importante era però Bettino, loro lo chiamavano Bottino (perché era cicciottello).
Il suo vero nome era Benedetto, ma nessuno lo trovava attinente.
Tranne, forse, le piccole ballerine Anja, Sandrina, Ilaria, i nani, e gli yuppies degli anni ‘80. Lo spilungone Bettino era un vero mago e trasformava la merda in oro, aree agricole o demaniali in aree fabbricabili e giù lavoro per muratori e muratorini!
Trasformava le banche in istituti di beneficenza per gli amici e l’etere in migliaia e migliaia di miliardi; gli sciocchi in miliardari e i deficienti in direttori generali; i madonnari in architetti e le mignotte e i ritardati mentali in star della TV. Tutto quello che toccava diventava oro, in lingotti e no, e divideva tutto in tante parti uguali. Che si prendeva lui.
Ma Silvio era astuto e riuscì a raschiare non poco.
Anche se i suoi poteri erano a tempo, e si è visto, Bettino come Aladino aveva una lampada, e sfregava e fregava e sfregava… FLOP! Ad Aladino compariva un Genio, a lui uno scemo: LO SCEMO DELLA LAMPADA.
Ma lui lo chiamava Ugointini. E Ugo portava il Suo Verbo e le sue zoccole in giro per le televisioni e la stampa, mentre il suo padrone portava il Paese alla rovina, i miliardi all’estero, e le chiappe ad Hammamet.
Il tempo scorreva spensierato. Anche se a Silvio vennero delle impressionanti emorroidi, incurabili e dolorosissime, che gli facevano fare continuamente delle orribili smorfie a mo’ di satanici sorrisi. Diventò da allora un caso umano. Un medico, fratello del Signor No, che non essendo amico di Mike Bongiorno veniva chiamato semplicemente Signore, gli spalmava giornalmente un costosissimo unguento oleoso sul malloppo sanguinolento.
Di questo ebbe a vantarsi, molti anni dopo, dicendo di essere stato “unto dal Signore”. Vero!
A scuola prese tanti bei voti, sebbene molto più bassi rispetto ai suoi sondaggi, che però non bastarono per la promozione ed il padre adottivo fu costretto a comprargli la Licenza Elementare.
Al ginnasio, sempre con gli stessi amici, si candidò come capoclasse e dopo aver comprato i voti vinse l’elezione.
Subito cercò di annettersi altre classi e persino altri Istituti.
A comandare sul serio era però un lugubre spilungone che sedeva nell’ultimo banco a destra. Ma Silvio, abile già da allora nel lanciare il sasso e nascondere la mano, fece di tutto per far litigare lo spilungone Gianfranco col Preside. Prima lo mise contro un suo vicino di banco e alleato di Gemonio, un altro spilungone brufoloso e raffinato, proveniente (si vanta lui, ma non è vero) dalla scuola Radio Elettra, di nome Umberto: Silvio faceva i casini e dava le colpe agli altri. Classico. Intanto, le emorroidi continuavano a martoriarlo. E lui “sorrideva”. Che ci avrà da ridere?! Pensava la gente.
Come capoclasse durò molto poco, ma abbastanza per mettere l’intera scolaresca in una difficilissima situazione: quasi allo sfascio, poco amata e derisa dalle classi vicine e dagli altri Istituti. Lui però evitò le punizioni e si pagò i debiti coi soldi della scuola.
Al suo posto venne nominato uno spilungone, serio e taciturno, che girava sempre con una calcolatrice. Un certo Lamberto. Silvio non demordeva.
La colpa dei suoi disastri, comunque la dava agli altri. Se la prendeva con tutti: professori comunisti, Preside comunista, Consiglio Scolastico comunista, Gesucristo comunista, Provveditore comunista…
Invocava a gran voce nuove consultazioni e l’elezione diretta, a turno unico, del Preside. Minacciò di portare la sua gente in piazza, ma l’unica piazza che aveva era sulla sua testa. Alopecia.
E la sua gente stava all’Ucciardone, a S. Vittore, e all’Asinara.
E tutti gli dicevano, sì, sì, e lo lasciavano cantare.
Nel contempo, aveva iniziato a ripulire figurine sporche provenienti da loschi traffici… E a scrivere libri. Anzi, libretti. Al portatore. Cose di “famiglia”.
Il tempo passava e tutti crescevano. Tranne lui.
Suo padre dovette comprargli anche la maturità. Come premio, gli regalò anche una squadra di calcio (torneo dei bar). In effetti, Silvio, più che per lo studio, si sentiva portato per lo stadio. Provò a giocare anche lui. Amava scendere in campo. Amava il profumo dell’erba. Anche se, pur essendo vagamente razzista, preferiva il marocchino o il libanese in panetti.
Fece solo una partita e ne prese tante, ma tante, che dovette abbandonare al secondo minuto. Lo picchiò persino l’arbitro: uno spilungone canuto e col mento aguzzo di Novara, che aveva la erre moscia, ma le mani durissime.
Silvio non era molto amato, nonostante i sondaggi. E, per coprire i lividi, cominciò a truccarsi come Colombina. Così, vagava con la faccia color cacca e le manine bianche di chi non ha mai lavorato. Qualcuno cominciò a chiamarlo Ciprietta.
Si iscrisse all’università e i docenti ancora ne ridono. Comprò qualche esame in proprio, visto che suo padre era venuto a mancare, e visse felice da fuori corso. Si fidanzò con una spilungona alta 1.55 e, scoperto che il padre di lei era pieno di terreni agricoli nei dintorni di Milano, telefonò a Bettino per la solita magia (agricolo=edificabile) e sposò la latifondista. Intanto, alla compagnia si erano aggiunti due spilungoni siciliani, Marcello e suo fratello Alberto, che avevano portato con loro un sacco di amici e amici degli amici. In mezzo a tanta gente che levava gli occhi al cielo e non parlava neanche sotto tortura, Silvio si decise a cantare almeno lui.
Formò un’orchestrina dove Fedele suonava il pianoforte lui e cantava. A volte, si sedeva personalmente al pianoforte (lui pestava sui tasti bianchi, Gianfranco e “Er Pecora” pestavano i neri). I locali dove si esibiva, si riconoscevano dai tavoli vuoti e dal famoso cartello:
“NON SPERATE SUL PIANISTA”. Ma lui sorrideva…
Questa dei cartelli era una sua ossessione. Già da ragazzo, mentre studiava piano a scuola e pianoforte a casa, costretta dalle lamentele dei vicini, sua madre aveva esposto un cartello alla finestra: “VENDESI PIANOFORTE”.
Cinque minuti dopo, tutte le finestre del vicinato erano tappezzate da cartelli:
“ERA ORA!”, “MENO MALE!”, “L’HAI CAPITA!”. Comunisti di merda, fu il suo commento.
Tra una cantatina e l’altra, tra una magia di Bottino e l’altra, Silvio, sempre sorridente, si era fatto fare una procura in bianco da suo suocero per tutti quei terreni agricoli. Appena costruita Milano Due, intestò tutto a proprio nome, uscì un attimo per comprare del fondotinta e non tornò mai più.
Così, il giovane figlio del vecchio Geppetto, si trovò giovanissimo ad essere benestante. E sorridente. Il suo padre spirituale Don “budget” Bozzo (un prete povero… di umanità ma ricco di conti in banca) lo perdonò. Fu l’unica assoluzione della sua vita. Con l’amico Cesarone, visto che c’era, ripeté lo scherzo dell’orfanella e si cuccò la reggia di Arcore e tutto il resto. Come si dice?
AR CORE NON SI COMANDA… Ad Arcore sì.
A fine anni settanta, Bottino e Silvio, con l’aiuto del vecchio ma arzillo Grande Maestro e di alcuni amici siciliani, fanno la magia più grande di tutte e si ritrovano, ohplà! ricchissimi da un giorno all’altro.
Oltre alle emorroidi, Silvio, sempre sorridente, viene colpito da un’altra gravissima malattia: oniomania, dice il medico.
Comincia a comprare tutto, ma proprio tutto! Soprattutto televisioni.
E intanto, sorride e canta: ”Mammì, Mammì, Mammì / quaranta dì quaranta not “. E Borrelli in controcanto: “a San Vittur a ciapà i bott”…
Al contrario di quello spilungone di Bettino prima maniera, però, Silvio ottiene l’effetto contrario: tocca l’oro e questo diventa merda.
Nonostante le migliaia di miliardi che i suoi amici e gli amici degli amici gli hanno fatto trovare sotto gli alberi di Natale in Belgio e in Svizzera, là si usa, e nonostante i Presidenti delle banche italiane (messi lì da Bettino ) gli continuino a “prestare” altre migliaia di miliardi senza garanzie: mica sono usurai… Beh, gli affari non è che vadano proprio bene bene. Anzi!
Debiti con le banche, debiti coi fornitori, debiti coi collaboratori e dipendenti…
E tutto senza la minima concorrenza! Cioè: il padrone di un monopolio assoluto, protetto dal governo, che riesce a fallire! (Perché se soltanto le banche gli avessero chiesto di rientrare, eheheh: fallimento e manette sicuri!)
Insomma, se questo è un grande imprenditore, allora Liguori è un giornalista e Sgarbi è un uomo!
“Si è fatto da sé, perché Dio si è vergognato di fare uno così.” “Si è fatto sa sé?! Ma perché non si è fatto aiutare?”
Dicono i maligni.

Ma veniamo ai giorni nostri. Sì, per carità, abita in ville enormi, viaggia con l’aereo personale (anche dentro casa), dice di scoparsi le meglio fighe…
Ma dice anche un sacco di altre cazzate.
La verità è che continua a sorridere e noi sappiamo perché (anche la jena, poveraccia, ride); però, se venisse sottoposto alla MACCHINA DELLA VERITA’, questa riderebbe più di lui!
Con l’allontanarsi di Bottino e l’avvicinarsi di Di Pietro, bisognava muovere il culo. Altro che cazzi! Quindi, un anno prima di “scendere in campo”, comincia a costruire Forza Italia. E comincia a rubare già dal nome: FORZA ITALIA era il nome di una corrente della DC!
Ovviamente, giura e spergiura che lui non scenderà mai in politica. Gli basta conoscere gente ammanigliata (ammanettata?) molto in alto.
Ma perché aspettare? I soldi ci sono, gli uomini pure, tutti provenienti dallo stesso serbatoio CAF, PSI, PSDI, Onorata Società. “Abbiamo uomini e mezzi!” strilla, trionfante. Poi si scoprirà subito che erano solo “mezzi uomini”. Battezza le sue centurie “AZZURRI”, anche se, conoscendoli meglio, “MARRONI” sarebbe stato più azzeccato. Senza offesa per la cacca. E finalmente, confortato dai sondaggi di un giovane “fratello”, muratorino di Macomer e già domestico dell’on. Nonne, PSI, uno spilungone di un metro e sessanta, che fa miracoli col computer: i famosi MIRACOLI DI PADRE PILO, si parte!!! E senza parlare mai di politica, vendendo spot e sogni, vince le elezioni.
Adora “Uniplus” Pilo e gli invidia la maestria al computer. Lui è negato.
Silvio è l’unica persona al mondo capace di schiantare il proprio personal computer, con la semplice pressione di un tasto. Come? Data la delirante megalomania, titola qualunque documento col proprio nome e cognome.
Il PC vede sul suo schermo SILVIO BERLUSCONI e, appena il padrone gli impartisce l’ordine
“SALVA”, quello piuttosto esplode.
Ha una sua dignità il computer, mica è Giuliano Ferrara!
Eppure, lui sorride e dice “Mi conscienta”. Ancora?! ‘azz! Dopo che gli è stato consentito tutto e più di tutto?!
Dicono che è un venditore di fumo… Per me, lo compra il fumo, se non trova di meglio! Comunque, sparando un mare di coglionate da ciarlatano, vince le elezioni (con sei milioni di voti in meno dei “comunisti”).
“Un milione di posti di lavoro!” promette… e si perde subito persino il suo da Presidente del Consiglio, mentre i disoccupati aumentano di mezzo milione.
“Niente tasse.” E giù la lira a picco come il pisello di Formigoni e la Borsa
( -34%) tocca il fondo come il giornalismo di Fede e Liguori.
E lui sorride, manda in giro cassette precotte, ruba il fard alla moglie, e minaccia: ”Vi abbraccio tutti”. Arrivano i G7 a Napoli e lui parla, per due giorni, col pacco di quello spilungone di Clinton (più su non arriva nemmeno sulle punte), e dice le solite cazzate. Per fortuna, oltre a maltrattare l’italiano (Ah! I titoli di studio comprati…), non mastica una parola d’inglese, quindi Clinton al suo:
“Aiem veri content, bebi ailoviù, plisdongò, obladì obladà…” capisce che è un povero scemo e lo lascia perdere. Meglio continuare a flirtare con Veronica.
Certo, ha avuto delle giornate stressanti, Silvio. E nottate ancora peggiori.
Provate voi a dormire due ore e mezzo – tre per notte, con tutte quelle belle gnocche che bisogna scopare. Sono tutte giovani promesse dello spettacolo. E le promesse… almeno “quelle” promesse, bisogna mantenerle.
Ma mica solo mantenerle! Bisogna approfittarne! Una bottarella…
Quindi, solito copione: sorriso perenne, stop accesi (nel retro delle mutande) ma lei non lo sa, occhio languido sotto il rimmel, buon cibo, champagne ancora migliore:
“Ti ho vista in bassa frequenza. Lo sciai che hai della stoffa, bebi? Troppa. Perché non te la levi? Dài, sbarbina, mi conscienta, vieni qui sul sofà. Mettiti a mio agio.”
Poi finisce come sempre:
“Ma… Non capisco cosa mi sia successo… Forse è colpa dello stress… Ti giuro sulla testa dei miei figli (e quelli, giù a toccarsi le palle, fissi), è la prima volta che…che… Di solito sono un toro. Ohè, mi raccomando, che non lo sappia Fini! O peggio ancora BOSSI!!! Guai! Se mantieni il segreto, ti faccio fare uno show in TV e del cinema… Ti faccio fare una serie di film.”
Sempre così.
E paga pegno davvero. E il cinema italiano muore, la TV manda in onda spazzatura, e noi ci chiediamo perché. E la mattina, come se niente fosse, giù riunioni col polo. Anzi: Polo delle libertà (vigilate), delle solidarietà, del liberalismo, del garantismo, del buongoverno (degli altri), del sapone Asborno, bombole e lana d’acciaio…
Bisogna attaccare Scalfaro e, per non sbagliare, anche Scalfari; e bisogna assolutamente impedire che i giudici scoprano i nostri giochetti, passati e presenti, e i giochetti dei comparuzzi del nostro zoccolo duro CAF-P2-etc.
E quindi, delegittimare! Giudici assassini! Toghe rosse! Arrestano mio fratello Paolo- Abele? A morte Di Pietro! Borrelli comunista! Golpe!
Poi bisogna bonificare la RAI, le banche, gli Enti, i giornali… “Abbiamo tutta la stampa vera…ehm, comunista, contro!”
Praticamente DUE giornali: L’Unità e Repubblica.
Non dice che lui ha tremila giornali di merda che non compra nessuno! Invece di far rinchiudere i suoi scribacchini incapaci, chiude i giornali. E sorride. E si riempie di cerone color cacca. E le mani biancheee, da salma. Come Fede. Due maiali sfuggiti al barbecue.
All’estero si chiedono: che garanzie politiche può dare uno che passa due ore a truccarsi, due ore con Previti-Ferrara-Gasparri-Bondi a preparare un discorso sottovuoto in cassetta, un’ora per registrare, un’ora a spedire cassette alle tivvu e le successive QUINDICI ore a smentire quello che ha appena detto nelle cassette suddette? Ma all’estero, si sa, sono tutti comunisti. Lancia l’ennesimo slogan:
“Per contare di più in Europa!” Non se lo fila nessuno!!! Anzi!
In Europa e nel mondo LO SCHIFANO PROPRIO!!!
E intanto, padre Pilo continua a fare i suoi sondaggi:
“Lei preferisce votare Berlusconi o schiantarsi con la macchina contro il Pendolino lanciato?”
E Silvio vince nei sondaggi e sorride. E va in TV a tutte le ore a dire che lui vuole solo il bene del suo paese. E non dice che il suo paese è Arcore.
E dice sempre “La gente è con me” e si convince di avere 57 milioni di dipendenti. Ma ha solo 13 milioni scarsi di voti… Gli altri 42 milioni di italiani cosa fa, li licenzia?
E quello spilungone di Sgarbi, da Canale 5, continua con le sue dotte citazioni:
“Borrelli assassino, ti faccio un culo così! Pivetti lurida troia, schifosa komeinista del cazzo! – e, per la par condicio:- Bossi se l’è presa nel culo!”
E Silvio si gratta il culo e ride. E si trucca e quando ha finito di truccarsi l’immensa casa sembra molto, ma mooolto, più piccola.
E i primi tempi di Montecitorio? Ogni volta che lo incontrava, con chili di fondotinta abbronzante in faccia, “Er pecora” lo scambiava per un extracomunitario infiltrato e giù cazzotti!
E meno male che è caduto! Forse era troppo unto ed è scivolato.
Sennò, con questa mania dell’elezione diretta, del plebiscito, avendo ancora in mano tutti i media televisivi, sai che pacchia!
Silvio-ridens, non ha fatto in tempo a battere la dentiera giù dallo scranno presidenziale, che ha cominciato subito a strillare come un’aquila:
“Elezioni! Elezioni!!! Voglio la data! La data”!
Appena gli hanno confermato la data, ha cominciato a strillare:
“A che ora?! A che ora?!”
Era convinto di vincere ancora le elezioni, almeno quanto è convinto di essere un imprenditore! Ha raccolto i vecchi craxiani che sono sfuggiti a Di Pietro: Boniver, Manca, De Michelis, La Ganga. Quelli che si chiamavano “NON MOLLARE… il malloppo”. Adesso si chiamano “SINISTRA DELLA LIBERTA’… condizionale o su cauzione”. Si è comprato i fuoriusciti dalla Lega. A dicembre ‘95, Bossi era giustamente preoccupato e disse a Maroni:
“Bobo, ocio che il Berluskaiser sta comprando i nostri. Se continua così, alla Lega restiamo solo io e te.”
E Maroni, perfido:
“Tu e… chi?” Poi il cavaliere ha fatto il tirchio e Bobo è tornato tra i verdi; che sanno di dollari.
Il guaio è che, senza una legge antitrust ed una legge elettorale seria, con pesi e contrappesi, il sodale di Bottino: grazie ai voti dei malavitosi, di quelli che non vogliono pagare le tasse, di quelli che non hanno mai letto un giornale e se regali loro un libro si scocciano:
“Un altro libro?! Ma ce l’ho già uno!”, grazie a quelle milionate di spettatori ebeti di Castagna-Funari-Dallas, etc. magari torna a fare il Presidente del Consiglio!
E siccome questa volta sarebbe più forte di prima, molto più forte, non si accontenterà e vorrà essere Imperatore. E vorrà la sua faccia sui francobolli.
E l’otterrà. E chi cazzo glielo spiegherà alla gente che bisognerà sputare dietro, sennò… quando s’attaccano i francobolli?! Voleva fare un contratto con gli italiani, chi glielo scrive? Lucignolo? Il gatto e la volpe? Dice che venderà le sue tre televisioni… E chi gliela compra la RAI?! Giura di non dire mai più bugie, (ma lui le chiama: sonostatofrainteso) com’è vero che si chiama Sergio Cuccureddu… E’ entrato nella Bicamerale per azzerare sì i magistrati, ma soprattutto per entrare in Europa: non vede l’ora che arrivi la moneta unica, perché è convinto che se la prenderà lui…
Povero Geppetto. Poveri noi. Povera Italia.

N.B. Questo rcconto è tutto falso, l’ha scritto qualche fottuto comunista.
Avrei dovuto scriverlo io, ma sono arrivata tardi perché stavo finendo di lavare gli elicotteri di mio nipote. Comunque è tutto falso e se Silvio avesse degli amici, ve lo potrebbero dire anche loro.
Bastardi!
E comunque siamo nel 2008 e mio nipote, è riuscito per altre due volte a salvarsi dalla galera e a distruggere quasi tutto quello che avevano fatto i comunisti. Sì, è vero, ha rovinato anche l’Italia e gli italiani. Ma, siccome voi – lasciatevelo dire – siete dei fessi, dei coglioncioni, ve lo meritate!
Silvietto, dopo aver portato l’80% dei cittadini alla fame e dopo essersi fatto trapiantare dei topi morti sulla zucca, ha comprato milioni di voti, ha fatto qualche broglietto, ed è tornato a pararsi il culo a palazzo Chigi, alla faccia vostra!

Firmato
Una delle settantasette zie di Silvio.

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La ciofeca mogol

Mogol: costretto a censurare
il mio brano per Celentano

«Diffidato con una lettera, Adriano mi vieta di usare il suo nome»

MILANO – Una canzone su Adriano Celentano. L’ha scrit­ta Mogol. Ma non la sentirete mai. Almeno nella sua ver­sione originale. Il destina­tario si è arrabbiato per il ritratto e l’autore si è au­tocensurato. La storia inizia lo scorso anno quando Mogol è al lavoro con gli Audio2. Sta compo­nendo i testi delle can­zoni e una melodia («Parto sempre da lì, mai da una storia o da un soggetto») gli suggerisce la parola Adriano: «Così ho pen­sato di scrivere una cosa per un amico. Con affetto e ironia, intesa non come presa in gi­ro ma come alleggerimento di caratteristiche del perso­naggio che magari non sono apprezzate da tutti».

Nel testo Mogol scherza sul volontario isolamento che tiene Adriano lontano dal pubblico: «Anche un ca­stello diventa prigione/ Se ti rinchiudi fra divani e pol­trone/ Esci e non solo nel tuo giardino/ Tutta la gen­te ti vuole vicino». C’era pure una bonaria presa in giro dei tic dell’amico: «E prova a dirmi una sola paro­la/ Poi fa una pausa di al­meno mezz’ora». E anche un accenno al disprezzo per i politici e alle batta­glie contro il degrado urba­nistico e la caccia. Quindi l’omaggio diretto: «Oh Adriano/ Dammi la tua mano/ Oh Adriano». Alla fine della stesura Mogol spedisce un provi­no a Celentano. Che gli ri­sponde con una letterac­cia: «Ti diffido dall’utiliz­zare il mio nome. Quella canzone dedicala a Va­sco Rossi». E così, nell’al­bum in uscita a maggio e che verrà lanciato pro­prio da questa canzone, il nome del Molleggiato non verrà pronunciato. Sparito. La nuova versio­ne prevede un «Lo dico piano/ Un aeroplano/ Non si abbassa con la mano» e un nuovo tito­lo, «La voce di un amico». Per­ché? «Sono a posto con la mia coscienza, ma per non contra­riarlo ho deciso la modifica» di­ce con gran pudore Mogol. E aggiunge: «Da quella lettera emergeva chiaramente che si sentiva offeso. Eppure quelle cose gliele dicevo anche di per­sona, come si fa con un fratello o un figlio. Mi è spiaciuto quel­lo che mi ha fatto Celentano. Fa male essere fraintesi: io vole­vo fargli una carezza e in cam­bio ho ricevuto una sberla». A spingere verso la scelta prudente anche la Carosello, etichetta del progetto Mogo­lAudio2. Lo spiega il mana­ging director Claudio Ferran­te: «Da un controllo effettuato dai nostri avvocati è emerso che ‘Adriano’ è un marchio re­gistrato che non può essere usato in contesti musicali con riferimento diretto a Celenta­no. Curioso che il deposito ri­salga a tre mesi fa, tempo do­po i contatti fra i due. Aveva­mo il disco già pronto e abbia­mo dovuto rifare la registra­zione ».

Mogol e Celentano si cono­scono da decenni e negli anni 90 hanno costruito, assieme a Gianni Bella, quattro album che hanno lasciato il segno nelle classifiche: 4 milioni di copie vendute e successi come «L’emozione non ha voce». «Ci siamo aiutati vicendevol­mente. Lui ha dato ai miei la­vori un’interpretazione di pe­so e fascino. Per ora non abbia­mo altri progetti assieme, ma non serbo rancore e lo consi­dero ancora un amico». Lettera a parte non c’è stato nessun contatto. «Non sento il bisogno di parlargli — preci­sa l’autore —. Quello che dovevo dirgli è scritto nella canzone. Dove, non a caso, di­co ‘ma non riconosci la voce di un amico’. Avevo anche pensato di buttare via tutto, ma poi ho pensato che non c’era nessu­na offesa». Dal Celentano e dal Clan nessuna replica. Per Mogol il giudizio finale è nelle mani del pubblico: «Sarà la gente a valutare se sono stato affettuo­so o offensivo. Spero solo che Adriano non sia stato influen­zato da nessuno».
Andrea Laffranchi

°°° L’ho detto e scritto parecchie volte, ma non credo di averlo mai fatto qui, nella mia casa virtuale. Questo fascistone di mogol… alias Giulio Rapetti non ha mai scritto nemmeno un biglietto d’auguri. E’ un bluff come antonio ricci: quello che mi ha fottuto i testi del Drive in e Striscia la notizia e che fotte tutti i filmati di Paperissima dalle tv di tutto il mondo… coprendo pacchianamente il logo delle stazioni originali col suo scarabocchio di merdaset. Ricci NON ha mai scritto un cazzo, così come mogol NON ha mai scritto una bella canzone! Non è capace. Passa per il miglior autore italiano di canzoni… ma per piacere!
Mi hanno dato cinque premi della critica da ragazzo, come autore di canzoni, e non ero nessuno. Non conoscevo nessuno. Ho conosciuto il padre di questo attrezzo, il grande Mariano Rapetti, ex direttore della Ricordi di Milano. Lui sì che era qualcuno. Rapetti chiese a me di andare a lavorare con lui, di fargli da assistente e da “autore principe”. Diceva proprio così. Perché non lo chiese a quella capra di suo figlio? Dopo un anno, lui sarebbe andato in pensione e io sarei diventato il direttore della Ricordi. Questa la sua proposta. Un sogno. Ma rifiutai. Stavo troppo bene a fare il gallo nel mio pollaio della Belldisc – Produttori Associati. Io sapevo scrivere. Mio figlio sa scrivere. Ho prodotto Fabrizio De Andrè, che mogol non lo vedeva nemmeno col microscopio. E dove mettiamo i testi di Dalla, De Gregori, Guccini, Vecchioni, Jannacci, Paolo Conte, ecc.? Ma persino Masini, Venditti, Fossati, e cento altri… sono anni luce al di sopra di questo scribacchino banale e vanesio. Battisti, dite? Ma era Lui il genio, mica questo stalentato, che pigliava i testi di sfigatelli (che inondavano le Edizioni Ricordi di poesie e canzonette dalla melodia incerta, ma con alcune buone idee) e li copiava pari pari, storpiandoli per giunta! Ma rileggete le minchionerie che scrive, nemmeno bondi, burlesquoni, o gasparri scriverebbero stronzatine del genere:

«Anche un ca­stello diventa prigione/ Se ti rinchiudi fra divani e pol­trone/ Esci e non solo nel tuo giardino/ Tutta la gen­te ti vuole vicino»«E prova a dirmi una sola paro­la/ Poi fa una pausa di al­meno mezz’ora»«Oh Adriano/ Dammi la tua mano/ Oh Adriano».

Cioè, Melina ha nove anni, ma scrive molto meglio.

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