Attenti al “chiagni e fotti” del nano mafioso…

Operazione Amnesia

(Marco Travaglio)

Vederlo lì in un baretto fuori dal Tribunale di Milano, solo e abbandonato, nessuno che gli rivolga la parola, gli chieda un autografo o una barzelletta, gli gridi meno male che Silvio c’è, fa tenerezza. Sentirlo rispondere dalla tribuna vip del Milan a una domanda sul fisco “non so, ormai non conto più niente”, fa quasi pena. Almeno a chi non lo conosce. L’ultima maschera del Cainano è quella del povero vecchietto innocuo, dell’anziano guitto a fine carriera. Uno da lasciare in pace, anzi da ignorare, perché ora bisogna guardare avanti senza spirito di vendetta, anzi con un pizzico di gratitudine per tutti i sacrifici che ha fatto per noi, non ultime le dimissioni come estremo “atto d’amore per l’Italia”, purtroppo travisate dalla solita “piazza dell’odio”.

L’Operazione Amnesia, simile alla strategia della sommersione adottata da Provenzano dopo le stragi volute da Riina, è una nuova versione dell’eterno “chiagni e fotti”, che presto sfocerà in una campagna elettorale tutta basata su vittimismi vecchi e nuovi: i poteri forti nostrani e

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Il delinquente non si arrende, ma chi lo ascolta non ha capito che è FI NI TO!

Sottosegretari a Giustizia e Telecomunicazioni
In pole position i nomi cari a Berlusconi

A via Arenula potrebbe arrivare Giovanni Ferrara, il procuratore capo di Roma che non prese le distanze da Achille Toro; per il neo ministro Passera, invece, ecco Roberto Viola o Vincenzo Zeno Zancovich: il primo fu intercettato dalla Procura di Trani nella vicenda Annozero, il secondo è l’estensore della legge che salvò Rete4

Giovanni Ferrara, capo della Procura di Roma

Giustizia e Telecomunicazioni: i ministeri chiave per Silvio Berlusconi, le forche caudine per il governo Monti, le scelte più significative per dimostrare la discontinuità con il passato. E il toto-nomine dei sottosegretari dimostra che tutto procede senza grandi mutamenti di

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Santoro, tra una balla e l’altra (mezzi), si è portato a casa un ventinaio di milioni.

«Servizio pubblico, la nostra rivoluzione»
Boom di ascolti: stima del 14% di share

Michele Santoro apre nel ricordo di Biagi e Montanelli
«Su ‘Annozero’ reazione fiacca, anche dall’opposizione»

«Caro Biagi, caro Montanelli»
(H24)

MILANO – «Caro Biagi, caro Montanelli, so che siete molto in apprensione. So che siamo molto diversi, ma so che ci seguite. Non se ne può più di resistere, resistere, resistere. Bisogna fare la rivoluzione. Questa è la nostra piccola rivoluzione civile, democratica, pacifica». Con queste parole, dopo essere entrato in studio sulle note de «I Soliti» di Vasco Rossi, Michele Santoro dà il via a Servizio Pubblico, il nuovo programma su una multipiattaforma tv, web e radio. Con lui in trasmissione, Marco Travaglio e Vauro. Tra gli ospiti Paolo Mieli, Diego Della Valle, Luigi De Magistris, Franco Bechis, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Un format rodato sull’inedita multipiattaforma avrebbe ottenuto dalle prime stime Continua a leggere

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Travaglio sovrasta l’imitatorino guzzanti e gli mostra come si fa Teatro quando c’è un testo.

Bologna. La festa della Fiom organizzata splendidamente da Michele Santoro ha visto la presenza in loco di decine di migliaia di lavoratori e studenti entusiasti e credo di altrettante decine di milioni davanti alle tv e ai pc, come il sottoscritto. Uniche note stonate: il grande Benigni poteva darsi di più, la goffa dandini che dimostra ancora una volta di essere un’incapace totale e presuntuosa e guzzanti con cose vecchie e banalotte, e senza uno straccio di battuta, come sempre. Per il resto, tutti molto bravi e ficcanti. Travaglio dà una esilarante lezione di Teatro di denuncia al guitto sopravvalutatissimo Guzzanti, ma quello è talmente presuntuoso e arrogante che non imparerà mai.

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Abuso di potere

Abuso di potere

di GIOVANNI VALENTINI (Repubblica)

REGIME A SENSO UNICO: figa in vendita e bugie

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CONTRO Annozero di Michele Santoro e Marco Travaglio, e soprattutto contro i 5 milioni e mezzo di telespettatori che hanno seguito l’ultima puntata dedicata allo scandalo del sex-gate che coinvolge il premier, ora scende in campo il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola.  Se Scajola ha scavalcato perfino il suo

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Dittatura da vomito

Si prega di non disturbare

A Napoli 64 pm protestano contro il procuratore Lepore che ha avocato a sé le indagini sullo scandalo monnezza che investono il sottosegretario Bertolaso. «Lepore – rivela il procuratore aggiunto De Chiara – mi ha detto che non voleva intralciare l’attività del governo». In un paese serio l’Anm entrerebbe subito in sciopero, visto che i magistrati devono applicare la legge, anche se questa disturba il manovratore. Intanto Angelino Jolie sguinzaglia gl’ispettori contro il gip salernitano Maria Teresa Belmonte, colpevole di aver archiviato le accuse a Luigi De Magistris e, non contenta, di essere pure cognata di Michele Santoro (insomma, di disturbare il manovratore). L’ha annunciato alla Camera il sottosegretario Elisabetta Casellati, rispondendo a un’interrogazione di Amedeo Laboccetta (Pdl) che pretende «piena luce sulla torbida vicenda della dottoressa Belmonte, cognata del ben noto Michele Santoro. La inaudita gravità dei fatti appare di tutta evidenza». Il ben noto Laboccetta è stato per anni il rappresentante italiano dell’Atlantis World, società per il gioco d’azzardo partecipata dal figlio di Gaetano Corallo, condannato nello scandalo dei casinò e legato al boss Santapaola. Ora, dall’alto della sua cattedra morale, chiede di sanzionare un giudice perché ha sposato il fratello di un giornalista che non gli piace e ha emesso una sentenza che non gli piace. Al Fano, a gentile richiesta, l’accontenta. Ce ne sarebbe abbastanza per uno sciopero dell’Anm, che però deve ancora scioperare contro le cacciate di De Magistris,della Forleo e dei pm di Salerno. Senza fretta.

Marco Travaglio

thecarrot

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Porcate su porcate di Mafiolo

GIù LE MANI DA MONTANELLI – TRAVAGLIO CONTRO LE “APPROPRIAZIONI INDEBITE” E I REVISIONISMI STORICI DELLA FIGURA DI INDRO: ECCO TUTTA LA VERITà SUL DIVORZIO CON BERLUSCONI – FELTRI? “COME UN FIGLIO DROGATO. ASSECONDA IL PEGGIO DELLA BORGHESIA”…
Travaglio Montanelli

Esce in questi giorni, nel centenario della nascita del grande giornalista, la nuova edizione di “Montanelli e il Cavaliere. Storia di un grande e di un piccolo uomo” (prefazione di Enzo Biagi, Garzanti, pp.490, 18 euro) di Marco Travaglio, con un saggio introduttivo inedito dell’autore che raccoglie e smonta le “appropriazioni indebite” della figura di Montanelli tentate, a destra come a sinistra, dopo la sua morte (22 luglio 2001). A cominciare dall’opera di revisionismo tentata da giornalisti e “storici” berlusconiani sul divorzio fra Montanelli e il Cavaliere dopo la famosa irruzione di Berlusconi nella redazione de Il Giornale l’8 gennaio ‘94, vigilia della “discesa in campo”. A questo proposito anticipiamo alcuni brani del saggio:

Montanelli e il Cavaliere
Non essendo più, dal 1990, l’editore del Giornale, avendolo girato al fratello Paolo, Silvio Berlusconi non aveva alcun titolo per arringarne i giornalisti. Dunque violò platealmente la legge Mammì che vieta ai proprietari di tv di possedere giornali. Dunque confessò che il passaggio di proprietà fra lui e il fratello minore Paolo era stato puramente fittizio.

Dunque avrebbe dovuto subire la sanzione della revoca immediata delle concessioni televisive alle tre reti Fininvest. Inoltre Paolo Granzotto scrive (nella sua biografia di Montanelli, ndr) che, “se Montanelli non l’avesse voluta ammettere (l’incursione di Berlusconi, ndr), gli sarebbe bastato dire alla redazione di negare a Berlusconi il permesso di intervenire all’assemblea. E la redazione, soprattutto quella redazione, avrebbe eseguito”.
LA Principessa Tiana

Già, peccato che Montanelli quel permesso lo negò. Me lo ha rivelato alcuni anni fa un testimone oculare: l’allora capo del Comitato di redazione, Novarro Montanari. “Quel pomeriggio – racconta Montanari – fui raggiunto sul cellulare da Antonio Tajani (ex capo della redazione romana, appena divenuto portavoce del Cavaliere, n.d.a.), che mi disse: ‘Siamo qui per caso con Berlusconi in Cordusio: che ne diresti se il Cavaliere salisse in assemblea?’.

Lo fermai: ‘Aspetta, scendo a chiedere al direttore’. Scesi, chiesi, e il direttore – davanti al condirettore Biazzi Vergani – rispose: ‘Non se ne parla nemmeno’. Risalii al quinto piano per richiamare Tajani, ma trovai già Berlusconi in assemblea per arringare i redattori”.
Indro Montanelli

Del resto, come avrebbe mai potuto Montanelli accettare che un signore che non era nemmeno il suo editore tentasse di rivoltargli contro la sua redazione, incitandola a ribaltare la linea politica del direttore, per giunta in sua assenza, promettendo in cambio investimenti e benefit? Perché questo esattamente avvenne l’8 gennaio 1994 nella sede di via Gaetano Negri, come poi Montanelli raccontò mille volte senza che nessuno potesse smentirlo, almeno finché fu in vita.

L’ultima volta fu il 23 marzo 2001, quattro mesi prima di morire, quando Indro telefonò in diretta a Il raggio verde di Michele Santoro per smentire le bugie appena raccontate da Feltri (le stesse poi fatte proprie da Granzotto nel libro) e subito smontate dal sottoscritto: “Io intanto voglio ringraziare Travaglio, il quale ha detto l’assoluta e pura verità. Assolutamente. La versione che lui ha dato degli avvenimenti è quella esatta…

Io ho conosciuto due Berlusconi: il Berlusconi imprenditore privato che comprò il Giornale, e noi fummo felici di venderglielo – perché non sapevamo come andare avanti – su questo patto: tu, Berlusconi, sei il proprietario del Giornale; io, direttore, sono il padrone del Giornale, nel senso che la linea politica dipende solo da me. Questo fu il patto fra noi due.
marco travaglio

Quando Berlusconi mi annunziò che si buttava in politica, io capii subito quel che stava per accadere. Cercai di dissuaderlo d’accordo con Confalonieri e con Gianni Letta: nemmeno loro volevano che il Cavaliere entrasse in politica. Ma tutto fu inutile. Dal momento in cui lo decise, mi disse: ‘Da oggi il Giornale deve fare la politica della mia politica’. Io gli dissi: ‘Non ci pensare nemmeno’.

Allora lui riunì la redazione a mia totale insaputa, come ha raccontato Travaglio, e disse: ‘D’ora in poi il Giornale farà la politica della mia politica’. E a quel punto me ne andai. Cosa dovevo fare? Questo Feltri lo sa!”.

Parole ribadite qualche giorno più tardi in un editoriale sul Corriere della sera: “Riunita a mia insaputa la redazione, egli (Berlusconi, n.d.a.) l’avvertì, in parole povere, che, se volevano più quattrini anche nella busta-paga, non avevano che da mettersi al servizio dei suoi interessi politici, ora che aveva deciso di scendere in lizza. La risposta della redazione furono 35 lettere di dimissioni”.
Quel che accadde quel fatidico 8 gennaio 1994 segna uno spartiacque indelebile nella storia dell’editoria e della politica italiana. Ecco perché gli house organ e i trombettieri berlusconiani seguitano, a tanti anni di distanza, a negarlo contro ogni evidenza. (…)

Il 4 settembre 2003, due anni dopo la morte di Montanelli, Berlusconi dichiarò a The Spectator: “Credo ci sia un elemento di gelosia in ognuna di queste persone perché non riesco a trovare un’altra spiegazione. Tutti questi giornalisti, Biagi, Montanelli, erano più anziani di me e credevano di essere loro quelli importanti nel nostro rapporto. Poi il rapporto si è capovolto e io sono diventato ciò che loro stessi volevano essere…”.

E lo ripetè il 23 ottobre 2006: “Montanelli era geloso”. Poi il 9 aprile 2008, nel pieno dell’ultima campagna elettorale, Berlusconi usò addirittura Montanelli come testimone postumo della propria autocelebrazione come editore tollerante e amante del dissenso. Antonello Piroso, a Omnibus (La7), gli rammentò l’editto bulgaro contro Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi.

Il Cavaliere rispose piccato: “Io non ho mai fatto licenziare in vita mia nessuno: tanto meno in Rai dove io non ho mai messo il naso e dove chi lo ha fatto lo ha fatto contro la mia volontà. Biagi ha lasciato la Rai contro la mia volontà. Non volevo assolutamente che si arrivasse alla decisione. Io ho insistito fino all’ultimo affinché Biagi rimanesse in Rai, ma lui ha preferito una lauta buonuscita.

Lei si vergognerebbe di avere una trasmissione come Annozero: non la permetterebbe mai. Ma io sono l’editore più liberale mai comparso sulla scena italiana. Basta domandarlo ai miei giornalisti e a Indro Montanelli”. Il quale, purtroppo, non può più rispondere. E nemmeno Biagi.(…)

Molto comica, è l’appropriazione tentata da Vittorio Feltri sul quotidiano «Libero» il 21 luglio 2006, nel quinto anniversario della scomparsa di Indro, con un editoriale dal titolo: “Se Montanelli fosse vivo lavorerebbe a Libero”. Uno scoop sensazionale, anzi paranormale: evidentemente Feltri è riuscito a comunicare con l’Aldilà e a strappare all’anima di Montanelli quella clamorosa confidenza.

Magari con l’ausilio del Sismi e dell'”agente Betulla”, al secolo Renato Farina, che di Libero in quel momento è vicedirettore, indagato (patteggerà poi 6 mesi di reclusione) per favoreggiamento nel sequestro di Abu Omar. Confidenza davvero sorprendente, se si pensa che Feltri sostituì spudoratamente Montanelli appena cacciato dal Giornale (…).
Enzo Biagi

Che cosa pensasse Montanelli di Feltri, lo disse papale papale al Corriere il 12 aprile 1995: “Il Giornale di Feltri confesso che non lo guardo nemmeno, per non avere dispiaceri. Mi sento come un padre che ha un figlio drogato e preferisce non vedere. Comunque, non è la formula ad avere successo, è la posizione: Feltri asseconda il peggio della borghesia italiana. Sfido che trova i clienti!”.

Perché mai, se pensava così da vivo, dovrebbe aver cambiato idea da morto? Chi vorrà inoltrarsi nella lettura di questo libro, troverà i violenti attacchi sferrati da Libero contro Montanelli (…).

Poi, nel 2006, confidando nell’amnesia generale e soprattutto nell’impossibilità di Montanelli a rispondergli, ecco la furbata di Feltri: “Oggi Montanelli scriverebbe su Libero”. Ma certo, come no: pur di affiancare la sua firma a quelle di Feltri e Betulla, quel diavolo di un Indro sarebbe capace di resuscitare…

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Che figure di merda europee!!!


La Rai punisce un vignettista per una satira sul terremoto
Pubblicato giovedì 16 aprile 2009 in Spagna

[El Pais]

Immediato riequilibrio dei servizi trasmessi dall’Abruzzo, e sospensione cautelativa del disegnatore Vauro Senesi, autore di una vignetta satirica che criticava il Piano Casa del Governo Berlusconi associandolo all’alto rischio sismico in Italia. Il dirigente della Rai ieri ha preso queste due decisioni contro Michele Santoro, conduttore del programma Annozero, uno dei pochi spazi critici dei tre canali pubblici.

L’opposizione del Partito Democratico ha qualificato l’atto una “censura inaccettabile”, mentre il vignettista ha ricordato le purghe di Stalin: “ Sono ancora a San Pietrobugo, e la notizia si commenta da sola”.

Le decisioni del direttore generale della RAI, Mauro Masi, arrivano dopo le critiche cadute su Annozero da parte del primo ministro, Silvio Berlusconi e del presidente della Camera dei Deputati Gianfranco Fini, contro la trasmissione del giovedì, nella quale alcune vittime del terremoto dell’Aquila criticavano l’assenza di un piano di prevenzione della Protezione Civile e denunciavano la scarsa coordinazione degli interventi di emergenza nelle prime ore del sisma che ha ucciso 294 persone.

Vauro, il disegnatore satirico, è stato allontanato temporaneamente dal suo posto, e non potrà partecipare alla prossima trasmissione del programma. La sua vignetta, disegnata durante il programma, associava il potere letale del terremoto con il Piano Casa presentato recentemente dal Governo, che autorizza un aumento delle cubature del 20% nelle case delle famiglie e che nelle sue prime versioni non conteneva norme di prevenzione antisismica.

Riequilibrio informativo

Nel disegno si legge la scritta “Aumento delle cubature”, e un becchino sudato aggiunge: “Dei cimiteri”. Secondo Mauro Masi, la vignetta “è gravemente lesiva dei sentimenti di pietà dei morti”.

La RAI obbliga il programma ad “attivare i necessari e obbligatori riequilibri informativi” per correggere i servizi trasmessi dalla zona del terremoto, perché a suo giudizio hanno violato la dovuta equità. Masi assolve invece il dibattito che è seguito ai reportage, considerandolo equilibrato.

Uno dei sei consiglieri dell’opposizione della RAI, Nino Rizzo Nervo, ha paragonato il verdetto con un giudizio dell’Inquisizione. “Credevo che avessero nominato un direttore generale, non un Grande Inquisitore”.

[Articolo originale di Miguel Mora

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Il regime incalza

Punirne uno, per educarne cento

di Peter Gomez

La censura scattata contro Vauro e l’ordine impartito a Michele Santoro di “riequilibrare” nella puntata di domani di Annozero quanto raccontato giovedì scorso nei servizi sul terremoto, sono un crimine contro la libertà di parola. In qualsiasi democrazia liberale idee e opinioni possono essere sempre espresse. L’unico limite è quello dettato dal codice penale: posso dire quello che voglio, ma non posso calunniare o diffamare chi critico.

Nessuno ad oggi è stato in grado non di affermare, ma nemmeno di ipotizzare, che Vauro o i giornalisti di Annozero abbiano commesso qualche reato o detto falsità occupandosi del sisma in Abruzzo. Molte, se non tutte, le domande sollevate durante la trasmissione sono anzi rimaste senza risposta.

L’intervento del direttore generale della Rai, Mauro Masi, è dunque semplicemente sbagliato e dimostra ancora una volta come l’azienda radiotelevisiva di Stato non sia più un servizio pubblico, ma solo una tv al servizio dei partiti. I partiti sono i padroni di viale Mazzini e visto che più o meno tutti i partiti (compreso il Pd) hanno detto che la puntata non era piaciuta, l’editore, come avrebbe fatto qualsiasi altro editore privato, è corso ai ripari. Vauro è stato “sospeso” e ai collaboratori e ai dipendenti Rai è stato dato un segnale preciso: qui si fa come vogliamo noi.

Restano due problemi. Il primo: il servizio pubblico è del pubblico, cioè dei telespettatori. Tra di essi vi sono milioni di persone che, pur essendo in minoranza nel Paese, hanno diritto di veder rappresentato il loro punto di vista. Annozero e Vauro hanno insomma il diritto di andare liberamente in onda esattamente come ha il diritto di andare in onda Bruno Vespa o Gianluigi Paragone.

Ovviamente sia Santoro, che Vespa, che Berlusconi, Di Pietro o Franceschini, sono criticabili. Personalmente non condivido una parola del pensiero di Aldo Grasso che dalle colonne de “Il Corriere della Sera” ha accusato Annozero di «abuso di libertà» dando di fatto il via all’intervento in stile sovietico della politica italiana. Ma credo che Grasso abbia tutto il diritto di esprimere ciò che pensa e, parafrasando Voltaire, sarei disposto a dare la vita per difendere il suo diritto.

E qui veniamo al secondo problema: quanti tra i sedicenti liberali alle vongole protagonisti della vita pubblica italiana, politici, editorialisti, direttori di giornali, capitani d’industria, prenderanno posizione per difendere non Santoro o Vauro, ma un principio? Io credo pochi. Perché la libertà di parola nasce nel ‘700 per poter parlare male di chi stava al potere. Per parlarne bene, infatti, c’erano già i cortigiani. C’erano allora e ci sono ancora.

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