COLIAMO A PICCO. Grazie, silvio…

Crisi, allarme Ocse per l’Italia Giù il pil, più deficit e disoccupati

PARIGI – L’Ocse stima una profonda recessione quest’anno per l’Italia, con un Pil in calo del 5,3% e una ripresa nel 2010 a 0,4%. E’ quanto emerge dal rapporto sull’Italia nel quale si evidenzia che “tutte le previsioni sono soggette a una forte incertezza“. L’analisi dell’organizzazione rileva che il paese soffrirà di un forte incremento della disoccupazione (“che potrebbe raggiungere il 10% entro la fine di quest’anno”) anche nel 2010, il che determinerà un calo dei consumi. Allarme grave anche per il deficit, che “raggiungerà il 6% del Pil nel 2010, mentre il debito pubblico supererà il 115% e continuerà a crescere, nonostante un certo sforzo di consolidamento fiscale”, per tendere al 120%.

I consumi accuseranno un calo del 2,4% per restare poi fermi l’anno prossimo mentre gli investimenti fissi a fine 2009 crolleranno del 16% (-20,2% per macchinari ed equipaggiamenti) per tornare a crescere di appena l’1,3% nel 2010. Particolarmente negativo anche l’andamento del commercio estero: le esportazioni scenderanno del 21,5% (-0,7% nel 2010) e le importazioni del 20,2% (-0,2% nel 2010).

Rispetto alle previsioni pubblicate lo scorso 31 marzo, oggi l’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica rivede le stime sul Pil a -5,3% nel 2009 (da -4,3%) e +0,4% nel 2010 (da -0,4%). L’aumento dell’impatto negativo è dunque bilanciato da qualche nota più ottimistica. “La recessione italiana ha sorpreso per la sua ampiezza – osserva il rapporto – ma grazie alla relativa solidità dei bilanci delle famiglie e delle imprese, la ripresa potrebbe essere più robusta che altrove“.

Quanto alle banche italiane finora hanno ben sostenuto il primo impatto della crisi e non hanno avuto bisogno di aiuti, “ma avranno probabilmente necessità di ulteriori mezzi propri man mano che la recessione si aggrava. Bisogna continuare gli sforzi per ricapitalizzarle, di preferenza con finanziamenti privati, sul mercato interno o all’estero, ma senza escludere l’iniezione di capitali pubblici”.

L’Ocse ricorda che l’Italia, inoltre, sconta i “lenti progressi nell’introduzione delle riforme strutturali per migliorare la competitività dei servizi e l’efficienza della pubblica amministrazione“. Dunque vede con favore le misure anticrisi che, “nonostante il limitato spazio di manovra”, sono state introdotte dal governo italiano, ma raccomanda che “nel lungo periodo la performance economica può essere migliorata con riforme macroeconomiche e strutturali”.

Quanto al federalismo fiscale, “potrebbe essere difficile da perseguire. L’introduzione del meccanismo del federalismo fiscale al momento attuale può porre difficoltà ed è importante che abbia un forte sostegno politico e regionale“, afferma l’organizzazione, dando comunque atto che “le linee base della legge, in particolare il finanziamento della spesa essenziale da parte delle entrate centrali su una base standard dei costi e un trasparente meccanismo di suddivisione delle entrate basato sull’Iva e sulla capacità di introito fiscale, sono sane“. Secondo l’Ocse, inoltre, “una nuova tassa locale, in parte basata sul valore delle proprietà di case, sarebbe altamente desiderabile dal punto di vista del federalismo fiscale“.

L’Ocse non sembra essere favorevole agli incentivi italiani per l’acquisto dell’auto varati ad inizio 2009. “Il sostegno all’industria dell’auto rischia di provocare una allocazione squilibrata di risorse“. L’Ocse afferma che gli incentivi sono stati, probabilmente, motivati dalle preoccupazioni che gli aiuti decisi da altri paesi potessero penalizzare i produttori nazionali.
(17 giugno 2009)

°°° Da profano, mi salta agli occhi una cosa terribile: l’Ocse fa i suoi conti basandosi sul fatto che noi abbiamo un GOVERNO NORMALE!!! Invece qui abbiamo un dittatorello del cazzo, malavitoso e incapace, e una serie di suoi domestici buoni solo per farne sapone: da alfano alla brambilla, dalla gelmini a maroni, da calderoli alla carfregna… gente che non potrebbe amministrare nemmeno un condominio di pollai!

poverta

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viuleenz

cesso

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ITALIA A PICCO

Berlusconi accoglie Gheddafi
eroe anti-italiano sul petto

Il leader libico a Roma, il premier: “Chiusa pagina dolorosa”. Ma il colonnello esibisce l’immagine di Mukhtar, ucciso dai fascisti. E porta al seguito il suo ultimo discendente. Straordinarie misure di sicurezza. Oggi gli incontri ufficiali. Domani l’intervento in Senato, proteste da Pd, Radicali, Idv e Udc

°°° Questo è, amici miei. Un mafioso ignorante, pedofilo, e cocainomane (giusto per dire le cose come stanno)… uno che nella sua dependence di Porta a Porta (televisione di stato) dice a quel coglionazzo in cachemire di bertinotti (amico di valeria marini...) “MI saluti papà Cervi” e al timido “Ma… vevamente è movto da tanti anni…” incalza con: “Me lo saluti lo stesso…” Nel silenzio tombale del servo che si spaccia per conduttore…
Ecco, un omuncolo che solo per questa crassa manifestazione di ignoranza sarebbe stato schizzato in e da tutto il mondo civile… si permette di accogliere IN CASA NOSTRA un criminale, ignorante-rozzo-e razzista quanto lui – e acerrimo nemico dei diritti umani! Non basta nemmeno questo per mandarlo definitivamente a cagare?

berlusconi-razzista

ghedda

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I conti a puttane: grazie, Mafiolo!


L’ECONOMIA ITALIANA DOPO LEHMAN BROTHERS

di Francesco Daveri 22.05.2009

I dati ora disponibili permettono di leggere con maggiore precisione quanto è successo in Italia e negli altri paesi nei sei mesi dopo il fallimento di Lehman Brothers, l’inizio ufficiale della crisi. Ma non ci dicono tanto che l’Italia sta facendo meglio o peggio degli altri. Più che altro ci ricordano che in difficoltà ci siamo entrati molto prima degli altri. Per questo, rinviare le riforme è un lusso che l’economia italiana non può permettersi.

Il 15 maggio sono usciti i dati sull’andamento del Pil nel primo trimestre 2009. Si può quindi parlare con maggiore precisione di cosa è successo in Italia (e negli altri paesi) nei sei mesi dopo il fallimento di Lehman Brothers, cioè da quando è ufficialmente cominciata la crisi. Lo si può fare distinguendo tra gli effetti immediati della crisi (nel quarto trimestre 2008) e quelli meno immediati (del primo trimestre 2009), effetti che incorporano già in misura parziale alcune delle reazioni di politica economica nei paesi più rapidi a rispondere alla crisi. Per ottenere una valutazione ancora più precisa vale anche la pena di considerare gli indicatori mensili sul settore industriale (produzione, fatturato e ordinativi) e sulle vendite al dettaglio che arrivano fino al marzo 2009 e appena pubblicati dall’Istat. Infine, questi dati per così dire oggettivi possono essere incrociati con quelli che risultano dall’andamento del “sentiment”, di ciò che pensano le famiglie e le imprese, per vedere se esiste una correlazione tra le variabili soggettive e quelle oggettive.

IL PIL ITALIANO DOPO LEHMAN BROTHERS

I dati Istat indicano che, da quando è fallita Lehman Brothers, il Pil italiano è sceso di 4,4 punti percentuali in sei mesi, nel quarto trimestre del 2008 e nel primo del 2009, rispetto al valore del Pil registrato in media nei tre mesi che compongono il terzo trimestre 2008. Èun dato peggiore di pochi decimi di punto percentuale rispetto a quello dell’area euro e peggiore di un punto percentuale e più di quello dell’economia americana. Rispetto agli altri grandi paesi dell’Europa, l’Italia ha fatto molto meglio dell’economia tedesca che, con il –5,8 per cento dei sei mesi considerati, sta pagando duramente il fatto di essere diventato negli precedenti alla crisi il primo paese esportatore del mondo. E sta facendo molto meglio praticamente di tutti i paesi dell’Europa dell’Est, così legati all’economia tedesca e all’economia russa. L’economia italiana sta invece facendo meno bene del Regno Unito (-3,5 per cento) e in modo ancora più evidente di Spagna (-2,8 per cento) e Francia (-2,4 per cento).
Se si distinguono gli effetti immediati della crisi da quelli meno immediati, viene fuori che l’Italia ha subito un effetto immediato molto più forte degli altri, uguale a quello patito della Germania, e più alto di mezzo punto rispetto al dato medio per l’area euro. Gli effetti meno immediati della crisi sul Pil italiano sono stati invece quasi del tutto in linea con il dato medio dell’area euro.

Tabella 1: In Italia la crisi è meno peggio che altrove?

Ita Eu27 Usa Ger Fra UK Spagna
q4 2008 vs q3 2008 -2.1 -1.6 -1.6 -2.1 -1.2 -1.6 -1.0
q1 2009 vs q4 2008 -2.4 -2.5 -1.6 -3.8 -1.2 -1.9 -1.8
Il Pil dopo Lehman -4.4 -4.1 -3.2 -5.8 -2.4 -3.5 -2.8
q1 2009 vs q1 2008 -5.9 -4.6 -2.6 -6.9 -3.2 -4.1 -2.9

Nota: Prime due righe: dati trimestrali. Terza riga: dati trimestrali cumulati.

Ultima riga: dati tendenziali (stesso trimestre, a distanza di 12 mesi)
I dati del Pil possono essere letti anche con riguardo al cosiddetto “andamento tendenziale” dell’economia (trimestre in corso rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente), che è spesso confuso con l’andamento “congiunturale” (trimestre attuale sul trimestre precedente) nel dibattito pubblico. Su questo occorre essere chiari: il meno 5,9 per cento di crescita tendenziale del Pil enfatizzato nei giorni scorsi ha a che vedere solo parzialmente con la crisi. Si tratta infatti di un dato spurio che riflette l’andamento cumulato dell’economia nei due trimestri discussi qui (il “dopo Lehman”) e dei due trimestri precedenti (il secondo e il terzo del 2008), in cui l’economia italiana – lo abbiamo appreso in novembre – era già in recessione e gli altri paesi no. Il dato tendenziale dice che l’Italia andava peggio della media euro e degli altri grandi paesi europei (tranne la Germania) ben prima che la crisi cominciasse. Come più volte sottolineato in passato, i problemi dell’Italia non derivano tanto dalla crisi, ma da quello che era venuto prima. A causa della crescita economica più lenta degli altri dopo il 1995 abbiamo perso circa venti punti di Pil rispetto alla media degli altri quattro grandi paesi europei.

Crescita del Pil in Italia e nella media degli altri quattro grandi paesi europei, 1995-2008


INDUSTRIA E SERVIZI NEI DATI MENSILI

A partire dall’inizio del mese di marzo la Borsa italiana è ripartita, anche più velocemente delle altre borse europee, il che – a fianco di episodiche buone notizie provenienti da un certo recupero di dinamismo delle esportazioni dei distretti in qualche mercato di sbocco – ha spinto all’ottimismo molti commentatori ed esponenti politici. Dai dati mensili destagionalizzati sul settore industriale e sulle vendite al dettaglio non è però molto evidente da dove tragga origine tutto questo ottimismo. Èvero che, nel marzo 2009, il fatturato dell’industria è sceso solo dello 0,8 per cento, il dato migliore dal giugno 2008 dopo mesi di “meno tre” e “meno quattro” per cento. Un segno di rallentamento, non si sa quanto duraturo, dell’intensità della crisi. Èanche vero che le vendite al dettaglio hanno fatto registrare in marzo +0,1 per cento rispetto al mese di febbraio.
Ma il dato sulle vendite al dettaglio è un indicatore che risente sia dell’andamento dei prezzi che dei volumi venduti e quindi può anche rispecchiare una certa capacità dei distributori italiani di far pagare la crisi ai consumatori in presenza di una contrazione dei volumi venduti. Come emerge dalle interviste coni responsabili marketing di aziende del largo consumo, del terziario innovativo riportate in una recente ricerca di Carlo Erminero & Co., “vista dal lato del marketing, l’attuale crisi economica è un fenomeno ancora dai contorni sfuggenti”.
Il dato meno negativo che in passato del fatturato industriale si affianca poi a un dato inalterato per la produzione industriale che ha invece confermato in marzo il -4,6 per cento di febbraio 2009. E il dato degli ordinativi dell’industria (-2,7 per cento in marzo) è sostanzialmente in linea con la media di gennaio e febbraio 2009. (1) Semmai, i dati disponibili potrebbero indicare che la crisi economica si sta svolgendo come preventivato, avendo colpito più duramente nei primi quattro o cinque mesi i settori che producono beni durevoli – i cui acquisti sono i primi ad essere posposti nel tempo durante una recessione – per poi estendersi al settore dei beni non durevoli, i quali hanno fatto registrare una riduzione congiunturale del fatturato, della produzione, rispettivamente di circa due e tre punti percentuali, nel marzo 2009 – un calo ben più serio di quello sperimentato nei primi mesi della crisi. Se questi dati saranno confermati nel mese di aprile, saranno indice del fatto che la crisi del settore industriale si sta approfondendo e sta raggiungendo i settori non coperti dagli incentivi del governo.

PIÙ CORAGGIO CON LE RIFORME PER TORNARE A CRESCERE DAVVERO

Anche se le informazioni disponibili sul dopo Lehman sono ancora troppo scarse per trarre conclusioni definitive, i dati esistenti (fino al marzo 2009) non indicano un’attenuazione dell’entità della crisi che giustifichi l’ottimismo delle borse. In ogni caso, se anche i pochi segnali positivi si moltiplicassero, ciò non toglierebbe che, se il governo non vince la timidezza nel proseguire con le riforme (età pensionabile, università, mercato del lavoro), l’economia italiana potrà – al più – ritornare al tasso di crescita medio di cui ha goduto negli ultimi quindici anni: +1 per cento l’anno, troppo poco per ridare fiducia duratura alle famiglie e alle imprese.

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°°° E’ UNA PARTITA A DAMA CHE STIAMO PERDENDO PER COLPA DEL MAFIONANO E DELLA SUA ACCOLITA DI IGNORANTI, LADRI, E PASTICCIONI.

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(1) Il dato di gennaio – pari a -3,7 per cento – è stato particolarmente negativo “per colpa” dell’annuncio degli incentivi all’acquisto di beni durevoli (auto, elettrodomestici, eccetera) mentre il dato di febbraio (pari a -2,1 per cento) è stato migliore essenzialmente grazie all’entrata in funzione degli incentivi.

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Da la Voce

TANTI TITOLI, ZERO RIFORME
di Tito Boeri 08.05.2009

Il governo Berlusconi si è insediato da un anno. E’ dunque tempo di un primo bilancio di quanto fatto e non fatto. Proponiamo ai lettori una serie di schede che coprono tutte le aree che hanno una rilevante implicazione sull’andamento dell’ economia italiana. Hanno un denominatore comune: l’attivismo del governo, che ha permesso di conquistare spesso i titoli di apertura dei giornali. Ma le misure effettivamente varate si contano sulle dita di una mano. E nessuna di queste può definirsi una riforma. Anche di fronte alla crisi, si è scelta la linea dell’immobilismo. Parafrasando un famoso allenatore di calcio: “tanti tituli, sero riforme”.

Il primo anno di attività di un governo dà l’impronta di una politica economica per l’intera legislatura. È il periodo in cui si possono fare le riforme più difficili, quando si è ancora lontani dal voto e si ha il tempo di ottenere risultati che potranno poi essere presentati agli elettori alla prossima scadenza elettorale. Per questo, come già fatto con precedenti esecutivi, abbiamo voluto richiamare attraverso una serie di schede quanto fatto sin qui dal IV governo Berlusconi, quanto non è stato fatto pur essendo nel programma elettorale e offrire una nostra valutazione delle misure intraprese. Le schede coprono tutte le aree che hanno una rilevante implicazione sull’andamento dell’economia italiana: dalla scuola e università alle privatizzazioni, dal mercato del lavoro alle pensioni, dalle infrastrutture alle politiche sulla casa, dall’immigrazione alle misure sui mercati finanziari, dalla giustizia alla sanità. Cominciamo oggi, in occasione dell’anniversario dell’insediamento del governo, con la pubblicazione di una prima serie di schede. Altre seguiranno nelle prossime uscite, dando tempo ai lettori di commentarle e di farci sapere se, a loro giudizio, abbiamo omesso qualcosa di rilevante.

DIETRO L’ATTIVISMO NESSUNA RIFORMA

È utile comunque anticipare un comune denominatore emerso da questo sforzo collettivo della redazione de lavoce.info. Questo esecutivo ha dato una prova di molto più attivismo di governi precedenti. Il contrasto con il Prodi II, bloccato da veti incrociati interni alla coalizione in ogni anelito riformatore e da una fragilissima maggioranza al Senato, è abissale. Forse anche per accentuare le differenze con l’esecutivo precedente, il Berlusconi IV è partito subito lancia in resta aprendo una lunga serie di cantieri, prontamente annunciati dai titoli di testa dei giornali e delle televisioni. Ha anche affrontato subito e con risolutezza il problema dei rifiuti a Napoli, avviandolo a soluzione.
A un anno di distanza, tuttavia, sono rimasti i titoli negli archivi dei giornali, agli annunci non hanno fatto seguito atti concreti. Sono state approvate leggi delega, come quella sul federalismo, che sono anch’esse un annuncio, un contenitore vuoto. Lo ha riconosciuto lo stesso Ministro Tremonti nella Relazione Unificata sull’Economia e la Finanza. I ben quattro piani casi annunciati sono rimasti tutti sulla carta. Le misure effettivamente varate si contano sulle dita di una mano: la rimozione del divieto di cumulo fra pensioni e attività di lavoro, il cosiddetto lodo Alfano, le misure sulle società quotate e i Tremonti bond.
Nessuna di queste misure può essere considerata una riforma. La rimozione del divieto di cumulo, come spiegato da Agar Brugiavini, ha l’effetto di aumentare ancora di più gli squilibri della nostra spesa sociale proprio in un momento in cui le poche risorse disponibili andrebbero concentrate nell’aiutare chi perde il lavoro, il lodo Alfano, come spiega Carlo Guarnieri, serve soprattutto a risolvere le pendenze penali del presidente del Consiglio, le misure sulle società quotate, come denunciato dall’Antitrust, servono unicamente a proteggere i gruppi di controllo delle maggiori società italiane e scoraggiano l’arrivo di capitali freschi in un momento in cui le nostre imprese sono sottocapitalizzate, i Tremonti bond sono una misura ben congegnata, seppur tardiva in rapporto a quanto fatto in altri paesi, ma pur sempre una misura temporanea, non certo una riforma. E ben pochi dei cantieri annunciati sono stati aperti. Tra questi quello dell’università, dove all’annuncio di voler distribuire una quota significativa dei finanziamenti agli atenei in base ai risultati di una valutazione della qualità dell’offerta formativa e della didattica, non ha però fatto seguito alcun intervento concreto, nonostante siano ampiamente passati i termini previsti per i regolamenti attuativi, come avvertono Daniele Checchi e Tullio Jappelli. Un altro cantiere aperto è quello del disegno di legge Brunetta sulla riforma della pubblica amministrazione. Sin qui ci sono state solo misure draconiane e indiscriminate per abbattere l’assenteismo, decurtando il salario dei dipendenti pubblici, anche quando ricoverati in ospedale. Non sorprende che ci siano state riduzioni dell’assenteismo, ma a che prezzo? Con quali risultati? L’unica cosa che oggi si vede è l’ulteriore aumento della quota di spesa pubblica (e di Pil) destinata al pubblico impiego, come recentemente certificato dalla Relazione unificata sull’economia e la finanza.
Dove cantieri proprio non ce ne sono né ce ne saranno è in materia di lavoro e politiche previdenziali. Niente riforma degli ammortizzatori sociali, niente riforma dei percorsi di ingresso nel mercato del lavoro, nessun intervento per legare le pensioni all’andamento dell’economia, come ha ribadito in questi giorni il ministro Sacconi. Vedremo solo libri bianchi, che si aggiungono a quelli dei governi precedenti, e ai libri verdi già prodotti. E nel silenzio di tutti la Camera ha reintrodotto il più generoso sistema contributivo. Ovviamente solo per i parlamentari.

QUANTO CONTA LA CRISI

Parafrasando un allenatore forse comunicatore altrettanto abile del nostro presidente del Consiglio, abbiamo sin qui avuto “tanti tituli ma sero riforme”. Confidiamo nei cantieri aperti e non mancheremo di monitorarli. Non vorremmo trovarci fra qualche anno a dover scrivere di questi un resoconto del tipo di quello offerto da due scrupolosissimi economisti francesi, Pierre Cahuc e André Zylberberg, su la methode Sarkozy, a due anni dall’insediamento di un esecutivo inizialmente ancora più popolare del IV governo Berlusconi. “La strategia si basa su due principi fondamentali: il soffocamento e la conciliazione. Il primo consiste nel proporre costantemente nuove misure, imponendo procedure d’urgenza per la loro approvazione, disorientando e paralizzando l’avversario con una fitta agenda di riforme. L’insuccesso in una di queste riforme non sarà percepito come un fallimento perché ci sono tanti altri cantieri aperti. (…) Il secondo principio consiste nel dare soddisfazione alle richieste delle diverse categorie rappresentate, aprendo tanti diversi tavoli di concertazione, poi in gran parte autogestiti dalle parti sociali, e facendo concessioni importanti alle categorie, a dispetto dell’interesse generale, pur di poter dichiarare di avere completato il processo nei tempi previsti”.
Certo, l’attività di questo governo ha dovuto scontrarsi con una crisi economica senza precedenti, la cui genesi certo non può essere addossata all’esecutivo Berlusconi. Ma non è affatto vero che durante le crisi non si possano fare riforme. Al contrario, come mostrato dal grafico qui sotto che conta le riforme strutturali varate in diverse fasi congiunturali in Europa, le misure più ambiziose vengono generalmente condotte in periodo di crisi, quando si riesce a trovare quella coesione attorno a misure indispensabili per il rilancio dell’economia che non è possibile trovare in tempi “normali”. Né si può dire che tutte le energie e il capitale politico di questo governo hanno dovuto essere spesi nel varo di misure di emergenza perché il nostro esecutivo ha scelto una linea, giusta o sbagliata che sia, di immobilismo di fronte alla crisi, “scegliendo soprattutto di non scegliere”. Inoltre, molte riforme si possono fare a costo zero, quindi la giustificazione dell’immobilismo in base ai vincoli di bilancio non regge. Tra l’altro bene notare che la caduta dei tassi di interesse durante la crisi ha portato a ingenti risparmi per le casse dello stato in termini di minore spesa nel servizio del debito pubblico.
L’immobilismo non ha comunque impedito che si consumassero redistribuzioni importanti delle risorse pubbliche. Di alcune di queste abbiamo già riferito. Di altre, soprattutto di quelle legate alla forte discrezionalità dell’esecutivo nell’allocare il Fondo aree sottosviluppate o nel reperire fondi per gli ammortizzatori sociali in deroga, in realtà soprattutto in proroga, non mancheremo di dare conto nelle prossime settimane. Ci sono anche redistribuzioni virtuali, molti soldi non veri che sono stati distribuiti. A parole. Anche di questi cercheremo di tenere traccia, con l’aiuto di voi lettori.

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Grande OPPO

Maschi da Pdl

Beatrice Lorenzin (Pdl) ieri mattina ad Omnibus ha lamentato il fatto che, quando viene candidata una donna, le vengano fatte «le analisi del sangue» (per non parlare delle misure anatomiche). Insomma, lo scandalo non sta, per la Lorenzin, nel fatto che Berlusconi metta in lista attricette e amichette sue, ma nel fatto che queste vengano giudicate dalla stampa solo per l’apparenza. Cioè per l’unica dote che di loro si conosca. La difesa della Lorenzin è ad personam, ma qualche ragione ce l’ha. Diciamo pure che non ci riguardano i rapporti che Berlusconi ha avuto, ha o spera di avere con le belle candidate, ma la sua idea della politica sì. I ricchi anzianotti si sono sempre circondati di ragazze in fiore: è squallido, ma umano. Un po’ disumano è invece che Berlusconi si sia sempre circondato, in azienda, in Parlamento e fuori, di condannati per mafia, corruzione e altri gravi reati. Questi signori sono tutti maschi e tutti piuttosto bruttini.

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Sacconi nel sacco

Le Regioni bocciano il testo unico sulla sicurezza di Sacconi

Le regioni italiane, a esclusione della Lombardia, dicono no al testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro proposto dal governo. Il decreto contiene misure che potrebbero dar luogo «a un sistema di controlli non credibile» e potrebbe originare problemi per casi come quello dell’incidente alla Thyssen Krupp dove persero la vita numerosi operai» ha detto Vasco Errani, presidenza della conferenza.

Al termine dell’incontro Errani ha confermato che le regioni hanno espresso sulla norma un «parere negativo a maggioranza, con una diversa posizione della sola Lombardia che ha dato parere positivo». Errani ha specificato che il no riguarda in particolare due punti contenuti «nell’articolo 2 bis e nell’articolo 10 bis», quest’ultimo è il cosiddetto provvedimento salva-manager, al centro di molte contestazioni.

Errani ha spiegato che «il primo mette in discussione le competenze delle Regioni» e può dar luogo «a un sistema di controlli non credibile». Quanto al secondo articolo su cui le Regioni puntano il dito «con un esercizio dell’interpretazione della delega – ha spiegato Errani – si costruisce un sistema che mette in discussione responsabilità anche precedenti, come potrebbe accadere nel caso della Thyssen, che si potrebbe trovare in una situazione difficile». Su questi punti le Regioni avevano fatto pervenire al governo delle proposte di modifica che sono state respinte.

Il no delle Regioni è una posizione «più politica» che di merito «le Regioni di centrodestra si esprimeranno in modo diverso,
vedrete». Lo ha detto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. Per il ministro «quello che conta è che il parere della conferenza delle Regioni è un atto liberatorio per l’iter della norma, perché consente la trasmissione degli atti alle Camere e ci permette di rispettare i tempi della delega».

Per quanto riguarda i rilievi mossi dalla Conferenza delle Regioni, Sacconi ha difeso il ruolo degli «enti bilaterali, che
rappresentano – ha detto – uno dei contenuti di maggior condivisione con le parti sociali». Quanto alla «riscrittura della norma penale», legata alla responsabilità penali in caso di incidenti sul lavoro, il ministro ha specificato che «quest’aspetto non è competenza delle Regioni», ma ha anche ribadito che, «al di là del dato formale», su questo punto saranno apportati dei
correttivi. La norma «verrà riscritta. A noi interessa risolvere questo punto – ha detto – perché sia certo il contenuto e le finalità » di questa misura.

Dopo il parere negativo espresso dalla Conferenza delle Regioni, il governo «deve rivedere le sue posizioni» dice, in una nota, la Cgil. «La Conferenza ha infatti espresso il suo dissenso su punti di merito nodali del progetto di revisione elaborato dal governo- fa notare il sindacato – punti su cui anche altri, tra cui autorevoli giuristi, hanno espresso le loro motivate critiche». E’ auspicabile, dunque, secondo la Cgil, «che il governo non si chiuda sulle sue posizioni e riconosca le ragioni di merito su cui si fondano le
critiche e le contrarietà al provvedimento».

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