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Zimbello del mondo
I giornali stranieri seguono con crescente interesse
Stampa estera scatenata
“Berlusconi può cadere”
di FRANCESCO BEI
Un articolo su Berlusconi
su El Pais online
ROMA – Se i telegiornali italiani – con l’eccezione di Skytg24 e Tg3 – continuano a ignorare lo scandalo di Bari, altrettanto non si può dire per la stampa estera, che segue la vicenda con interesse crescente. “È giunta l’ora per Silvio Berlusconi?”, s’interrogava ieri El Mundo, principale giornale spagnolo di area centrodestra. “Molti considerano – aggiungeva – che lo scandalo erotico-festivo delle ultime settimane, in continua crescita, potrebbe causare la caduta finale di colui che finora sembrava politicamente immortale”. E ancora: “Ormai non passa giorno in cui il rosario di rivelazioni non si incrementa con nuove e truculente scoperte, che ogni volta minano vieppiù la reputazione e il potere del Cavaliere”.
Sempre in Spagna, anche El Paìs torna a parlare del caso Berlusconi con quella che definisce “la rivolta delle veline”. Il quotidiano spagnolo afferma che “le denunce delle modelle pongono fine al feeling con la Chiesa cattolica ed all’ammirazione di molti italiani”. “Secondo fonti diplomatiche”, aggiunge il quotidiano, “Berlusconi ha chiesto la solidarietà di varie cancellerie straniere” nelle quali però “lo sconcerto supera la comprensione”.
Non ci vanno leggeri nemmeno i media britannici, anche in questo caso senza distinzioni di destra o di sinistra. Il conservatore Times, sotto al titolo “Una notte nell’harem di Berlusconi”, riporta le dichiarazioni di Patrizia D’Addario. Ma è soprattutto il Daily Telegraph, altra testata conservatrice a larga diffusione, a soffermarsi sul caso: “Il vizio minaccia di far cadere Berlusconi.
Il Telegraph sostiene che c’è paura per “nuove rivelazioni in vista del summit del G8 del mese prossimo”, e intervista James Walston, un professore di scienze politiche all’American University of Rome, che predice uno “stillicidio di rivelazioni” e afferma che “questo non darà a Berlusconi un’aria molto da statista quando tratterà con Obama e Merkel”.
Spostandosi a sinistra si trovano Guardian e Observer, entrambi attenti alla vicenda del presidente del Consiglio. “Possono le rivelazioni di Barbara Montereale far cadere Berlusconi?”, si chiede The Observer. Per il Guardian il racconto della Montereale potrebbe “convincere molti italiani che si è passato il segno”.
°°° Insomma, tutti i media del globo lo prendono a colpi di… testate.
Quel lavativo lecchino di Brunetta
Il provvedimento sarà presentato alle Camere lunedì
Prima del via libera definitivo sarà esaminato da Cnel, sindacati e Regioni
P.A., arriva “la rivoluzione Brunetta”
Sì del Cdm, ma slitta la class action
ROMA – Il Consiglio dei ministri ha dato via libera al decreto legislativo delega per la produttività nella Pubblica amministrazione. Lo ha riferito il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, al termine della riunione. Berlusconi ha ringraziato Renato Brunetta per l’impegno
MA CHI E’ QUESTO GNOMO ARROGANTE? VEDIAMO:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Che-furbetto-quel-Brunetta/2049037&ref=hpsp
Che furbetto quel Brunetta
di Emiliano Fittipaldi e Marco Lillo
La trasferta a Teramo per diventare professore. La casa con sconto dall’ente. Il rudere che si muta in villa. Le assenze in Europa e al Comune. Ecco la vera storia del ministro anti-fannulloni
La prima immagine di Renato Brunetta impressa nella memoria di un suo collega è quella di un giovane docente inginocchiato tra i cespugli del giardino dell’università a fare razzia di lumache. Lì per lì i professori non ci fecero caso, ma quella sera, invitati a cena a casa sua, quando Brunetta servì la zuppa, saltarono sulla sedia riconoscendo i molluschi a bagnomaria. Che serata. La vera sorpresa doveva ancora arrivare. Sul più bello lo chef si alzò in piedi e, senza un minimo di ironia, annunciò solennemente: “Entro dieci anni vinco il Nobel. Male che vada, sarò ministro”. Eravamo a metà dei ruggenti anni ’80, Brunetta era solo un professore associato e un consulente del ministro Gianni De Michelis.
Ci ha messo 13 anni in più, ma alla fine l’ex venditore ambulante di gondolette di plastica è stato di parola. In soli sette mesi di governo è diventato la star più splendente dell’esecutivo Berlusconi. La guerra ai fannulloni conquista da mesi i titoli dei telegiornali. I sondaggi lo incoronano – parole sue – ‘Lorella Cuccarini’ del governo, il più amato dagli italiani. Brunetta nella caccia alle streghe contro i dipendenti pubblici non conosce pietà. Ha ristretto il regime dei permessi per i parenti dei disabili, sogna i tornelli per controllare i magistrati nullafacenti e ha falciato i contratti a termine. Dagli altri pretende rigore, meritocrazia e stakanovismo, odia i furbi e gli sprechi di denaro pubblico, ma il suo curriculum non sempre brilla per coerenza. A ‘L’espresso’ risulta che i dati sulle presenze e le sue attività al Parlamento europeo non ne fanno un deputato modello. Anche la carriera accademica non è certo all’altezza di un Nobel. Ma c’è un settore nel quale l’ex consigliere di Bettino Craxi e Giuliano Amato ha dimostrato di essere davvero un guru dell’economia: la ricerca di immobili a basso costo, dove ha messo a segno affari impossibili per i comuni mortali.
Sappiatevelo
Oggi denuncio Facebook
Oggi presenterò una denuncia contro Facebook al presidente dell’Autorità garante dei dati personali, il professor Francesco Pizzetti. Con il mio legale sto valutando di ripetere l’iniziativa con l’autorità per le Comunicazioni. Cos’è successo? Nulla di nuovo, purtroppo, non sono che uno dei tanti cui Facebook ha cancellato l’account senza alcun “warning” o avviso preventivo: centinaia di messaggi personali, decine di testi e foto, 859 contatti. Il tutto senza dare spiegazioni, senza dirmi il motivo del provvedimento. Ho perciò deciso di fare di questa vicenda il terreno di una battaglia non personale ma di diritto. Non si tratta di riavere indietro le mie poche carabattole digitali.
E’ una questione di trasparenza e di legalità negate.
Ma facciamo un passo indietro e vediamo i fatti nel dettaglio. Poi faremo qualche ragionamento.
“Il tuo account è stato disabilitato” e non ti diciamo perché – Alle 7,02 del mattino di venerdì primo maggio ho aperto dal mio iPhone il programma di consultazione di Facebook. Non riuscivo ad entrare: login o password non corretta, era la risposta del sistema. Mi sono insospettito: le password erano memorizzate, non potevano esser cambiate da sole. Allora ho acceso il computer ed ho visto il messaggio di condanna: “la tua password è stata disabilitata”. Mi dicono che posso contattare il team che si occupa dei rapporti con i clienti.
“Leggi i terms of service, paisà” – Ovviamente scrivo subito all’indirizzo che mi è stato dato, in italiano e, poiché conosco i miei polli, anche in inglese. Pochi minuti e mi arriva una mail (in inglese). Evidentemente automatica. Dice che hanno ricevuto la mia segnalazione, ma che nel frattempo mi consigliano di leggere i termini d’uso – come per dire: hai la coscienza sporca, guardati dentro. E io li rileggo – l’avevo già fatto, perché mi occupo di questo campo da 17 anni – e ho la conferma di ciò che già so: non ho violato nessuna delle regole d’uso di Facebook.
Ma non posso fare a meno di notare la follia di un documento scritto in parte in italiano ed in parte in inglese. I passi nella nostra lingua non sono stati nemmeno rivisti da un correttore: ci sono parentesi che non si chiudono, errori di lessico e qualche passaggio in puro italiano “broccolino”. Sembra di stare nel Padrino con Marlon Brando.
Ma non siamo qui per fare colore: un testo come questo, che equivale a un contratto, è nullo perché non scritto in modo consono. Ma intanto – mi dico – mi risponderanno e mi daranno la possibilità di spiegargli che si sono sbagliati…”. Amenoché…
“A pensar male, con tutto ciò che segue…” – A pensar male e a far peccato, ci sarebbero due o tre “stati”, i pensierini di Facebook, in cui ho ironizzato su fatti di cronaca. In uno ho scritto che si attendeva un pronunciamento del papa contro i wurstel (una battuta abbastanza tiepida sull’onnipresenza delle dichiarazioni pontificie, pubblicata mentre imperversava la paura dell’influenza suina).
E poi ci sono vari articoli in questo post/rubrica in cui ho criticato Facebook, proprio a proposito di ciò di cui mi sto occupando adesso: il fatto che se succede il sia pur minimo incidente con il social network non hai a chi rivolgerti perché l’azienda di Mark Zuckerberg si rifiuta ostinatamente di aprire una rappresentanza italiana e il quartiere operativo europeo, che è a Dublino, resta un’entità lontana, irraggiungibile. Ma dai, mi son detto, stai a vedere che con 7 milioni di utenti in Italia se la prendono proprio con te.
Intanto erano passate 24 ore e dal “team” ancora nessuna risposta.
I robot di Facebook e la paranoia – Per la verità ho anche scritto più volte che Facebook è un grande fenomeno da prendere in seria considerazione. E l’ho onorato con la mia presenza e con i miei pensieri, come altri milioni di italiani fanno ogni giorno. L’ho fatto perché di cultura digitale scrivi se sei con le mani in pasta nelle diverse applicazioni, oppure fai solo elzevirismo inutile (e poi mi piace, ciò che posso dire di tutto il mio lavoro).
In marzo, dopo che avevo riferito dell’account disabilitato (e poi riattivato) a Nino Randisi, giornalista siciliano antimafia, ero stato contattato in modo riservato da un professionista italiano. Era latore di un messaggio da parte di una dirigente americana di Facebook. Mi spiegavano che si era trattato di uno spiacevole incidente frutto dell’errore dei “bot”, cioè di programmi che lavorano in automatico e controllano l’attività degli utenti. Mi dicevano che può avvenire quando magari uno “si muove troppo”, mette tanti video, pubblica troppe foto, manda migliaia di mail e ha troppi commenti. Un errore della “macchina” insomma. Avevo preso nota della rettifica, l’avevo pubblicata, avevo ripetuto che mi sembrava un modo non rispettoso delle persone e degli utenti italiani di gestire le cose solo in automatico e senza un minimo di saggezza umana.
(Io per la verita mi “muovo” poco. Mando sì molte mail – siamo però nell’ordine delle decine al giorno – ma tutte alle stesse persone, perché Facebook fa presto a diventare una chat in differita. Certo, c’è chi mi ha suggerito che si potrebbe ipotizzare che alla parola “papa” sia associato un certo grado di vigilanza da parte dei medesimi robot… ma Fb è piena di satira sul papa e le posizioni del Vaticano, dovevano beccare proprio me?)
L’accusa non detta e il “sentirsi sporchi” – Più di uno mi ha prospettato l’idea che qualcuno che conta si sia voluto liberare del mio account: si può fare, si può segnalare all’azienda che i contenuti di un certo utente sono “inappropriati”, poi però ci sarebbe da vedere chi è che valuta la segnalazione. Ma insomma, non sono paranoico fino a questo punto e comunque vado anche oltre: riconosco il diritto di Facebook di liberarsi di chiunque, ma solo dopo aver detto con chiarezza quale infrazione è stata commessa.
L’aspetto “culturalmente” inquietante di tutto ciò è che essere buttati fuori da un giorno all’altro e senza spiegazioni ti mette in uno stato di anomia. Ti fa sentire già colpevole anche se non conosci l’accusa. Ricordate Kafka? : “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K, perché senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato…“.
E’ un meccanismo emotivo potente. Ho parlato con almeno cinque amici che hanno insistito per interi quarti d’ora sul tema: “Riflettici, qualcosa hai fatto, non possono averti buttato fuori per niente”. Istintivamente, le persone tendono a ritenere colpevole chi è l’oggetto di una pena “preventiva”.
E a proposito: a questo punto erano passate 48 ore dalla mia mail a Facebook: nessuna risposta al mio messaggio…
Un problema di diritto – Ora, se permettete, qui il problema non è personale. Non sono i miei contatti, cui pure tenevo molto. E non è nemmeno problema di cosa abbia fatto io, per quanto io non abbia fatto nulla di irregolare.
Qui il problema che abbiamo di fronte è quello dei diritti degli utenti di Facebook e delle regole della piattaforma, che non possono andare contro i principi che regolano lo stato italiano, oltre ad essere contrari ad ogni buon senso. Del resto queste grandi aziende sono molto “ragionevoli” quando sbarcano in paesi come la Cina: dicono che le leggi locali vanno rispettate.
Quelle di un paese democratico possono essere ignorate?
E’ ora che questa assurdità venga corretta. Posso anche accettare di essere espulso, se mi si spiega il motivo del provvedimento e mi si dà la possibilità di argomentare in mio favore.
Ogni altro comportamento da parte dei gestori del sistema è illegale.
Habeas data: signori legislatori, ci sentite? – Ho difeso Facebook contro l’emendamento repressivo del senatore D’Alia e lo rifarei mille altre volte. Penso che ci sia un’oscena tendenza dell’establishment a pensare in termini di “normalizzazione” repressiva di internet. Non è questo il caso, non il mio almeno. Non sto chiedendo nessuna legge ammazzafacebook e meno che mai misure a pioggia che danneggino le aziende americane che in Italia hanno rappresentanza e reperibilità. Solo il rispetto dei diritti degli utenti di Facebook e di qualsiasi altra azienda che attui policy simili.
Signori deputati e senatori, signori deputati europei vecchi e nuovi: occupatevi in modo positivo della vita digitale, invece di provare a stroncarla, filtrarla, censurarla, e magari regalarla ai padroni del vapore, oh scusate, di cavi e “cellule”… E quindi.
Quindi l’espressione Habeas data non è mia, ma si pone ormai come un tema della società contemporanea. Non solo per le mie foto su Facebook (che a proposito continuano ad essere a disposizione della piattaforma e possono essere, in teoria, riusate da loro mentre io sono disabilitato come utente) ma per tutti noi.
Non ci sono servizi gratuiti – C’è chi argomenta dicendo che la gratuità del servizio “sospenda” ogni diritto agli utenti. Di solito si tratta delle stesse persone che si inviperiscono contro i giornali on line se solo gli si chiede di lasciare un mail per inserire un commento sotto un articolo.
A parte che dovremmo riflettere se per caso non stiamo avallando, con un click messo distrattamente sotto scassati “terms of service”, una morte lenta di ogni garanzia, vorrei dire con tutte le mie forze: vi sbagliate!
Io-utente pago Facebook e qualsiasi servizio “gratuito”: con i miei dati, il mio tempo, i miei contenuti. E lo pago con l’uso che ne faccio, perché contribuisco a migliorarlo e perfezionarlo. E’ questo il patto su cui regge l’economia digitale.
Non c’è niente di scandaloso in questo, se non la pretesa di definire gratuito il servizio, che invece tesaurizza in pubblicità, come fanno anche i giornali on line del resto, il tempo di vita dell’utente.
Tutto chiaro: lo scandalo sta semmai nel volersi comportare come principi di secoli antichi. Però Don Giovanni è finito all’inferno, e Josef K. non abita più qui. O sì, invece?
Ridatemi i miei contatti: e che me li ridiate o meno, da oggi in poi su questo tema è battaglia.
(Nel momento in cui questo post viene pubblicato sono passate 76 ore dall’invio del messaggio di segnalazione: non ho ricevuto alcuna risposta).