Capito perché hanno cancellato le leggi di Prodi?

CORRUZIONE, UN’INDUSTRIA SENZA CRISI
di Andrea Boitani e Marco Ponti 13.03.2009

Il fenomeno della corruzione pubblica in Italia è molto rilevante e non mostra segni di recessione. Lo dice il presidente della Corte dei conti e lo confermano gli indici di trasparenza internazionali. In particolare, nel settore delle costruzioni e dei lavori pubblici. E quando la spesa pubblica per grandi opere accelera in funzione anticongiunturale bisognerebbe contrastarla ancora di più, altrimenti si riduce il moltiplicatore dell’occupazione di ogni euro complessivamente speso. L’antidoto migliore resta la concorrenza. Ma il governo non manda segnali incoraggianti.

Le parole del presidente e del procuratore generale della Corte dei Conti all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009 sono state inequivocabili: il fenomeno della corruzione pubblica in Italia è molto rilevante e non mostra segni di “recessione”.
Del resto, l’indice di corruzione percepita (Cpi), pubblicato annualmente da Transparency International vede l’Italia sempre nelle parti basse della classifica mondiale. Nel 2002 eravamo al trentunesimo posto su 102 paesi esaminati; nel 2008 eravamo al cinquantacinquesimo posto su 180 paesi. (1) Anche l’indice Bpi (bribe payers index) – che misura la probabilità che le imprese dei maggiori paesi industrializzati facciano uso della corruzione quando operano all’estero – mostra che le imprese italiane hanno un’elevata “propensione a corrompere”, collocandosi, nel 2002 come nel 2008, al diciassettesimo posto su 22.

CORRUZIONE E LAVORI PUBBLICI NELLA CRISI

Vari indicatori e analisi empiriche mostrano, inoltre, che esiste un’associazione positiva tra gli indici di corruzione e di criminalità organizzata e il settore delle costruzioni e dei lavori pubblici. (2) L’indice Bpi mostra come la probabilità che le imprese paghino (all’estero) tangenti a pubblici ufficiali o che si realizzi “cattura dei decisori pubblici” assume sempre i valori più alti nei settori dei lavori pubblici e delle costruzioni. (3) E anche il Cpi mostra come il pubblico percepisca che le tangenti più elevate siano pagate nel settore dei lavori pubblici e delle costruzioni.
Naturalmente, la corruzione ha l’effetto di far lievitare la spesa per ogni opera e di distorcere l’allocazione delle risorse tra le opere da realizzare, incoraggiando la scelta di opere meno “produttive”. (4) D’altro canto, la discrezionalità nelle scelte di investimento, ovvero l’assenza di criteri trasparenti su cui basare le scelte stesse, costituisce un forte incentivo (sebbene implicito) alla corruzione “di alto livello”, cioè quella esercitata dalle molte lobby nazionali e locali.
Nei momenti di accelerata spesa pubblica anticongiunturale a sostegno delle attività produttive e, in particolare, di “grandi opere” di ingegneria civile bisognerebbe rinforzare gli argini contro la corruzione, perché essa finisce per ridurre anche il moltiplicatore dell’occupazione di ogni euro complessivamente speso per lavori pubblici. Maggiore corruzione significa infatti che una quota maggiore di ogni euro stanziato non va effettivamente a finanziare lavori, ma finisce nei conti correnti (spesso esteri) dei corrotti. Ha quindi un costo che si ripercuote negativamente anche sull’efficacia delle politiche di contrasto della crisi.

FRETTA, CORRUZIONE E I PERICOLI DI RINUNCIARE ALLA CONCORRENZA

La gravità della crisi economica ovviamente suggerisce di affrettare i tempi intercorrenti tra l’approvazione delle opere da parte degli organismi politici e l’inizio dei lavori. Purtroppo, spesso la prima vittima della fretta è la competizione: le gare per l’affidamento dei lavori fanno perdere tempo… Inoltre la fretta sarebbe forse giustificata nel caso di “piccole” opere, con impatti occupazionali ravvicinati nel tempo; in caso di “grandi opere” occorrerebbe comunque verificare se il “vulnus” determinato dalla ridotta competizione sia compensato da sostanziali anticipazioni dell’apertura dei cantieri, che consentano di aprirli in un arco temporale con reali contenuti anticiclici, perché per esempio, passare da tre a due anni servirebbe a poco. Il “vulnus” poi rischia di diventare permanente: se si estende, di nuovo a titolo di esempio, l’in house per i lavori dei concessionari autostradali, sarà difficile tornare in futuro a un contesto più competitivo.
Ma la competizione è un forte antidoto alla corruzione. E il motivo appare abbastanza evidente. In un contesto di affidamenti competitivi, la sorveglianza sulla correttezza delle gare è effettuata da due attori: la magistratura dedicata e i concorrenti stessi, che sono spesso e per ragioni intuibili molto attenti a non perdere gare, sempre costose, a causa di illeciti. Questa accresciuta attenzione, come è ovvio, è un deterrente in sé.
La competizione rende poi tecnicamente molto costosa la corruzione: occorre comunque fare prezzi relativamente bassi per vincere, e anche disporre di risorse extra per corrompere. La trasparenza associata ai meccanismi di competizione è un bene da tutelare con cura se è vero, come ha scritto il presidente della Corte dei Conti, che “là dove manca la trasparenza si genera il cono d’ombra entro cui possono trovare spazio quei fatti di corruzione o di concussione che rendono poi indispensabile l’intervento del giudice penale”. (5)

COSA FARE, COSA NON FARE

Una forma interessante di lotta alla corruzione citabile qui, è la “legge del terzo” degli Stati Uniti, paese con grandi tradizioni sia di corruzione che di efficace lotta al fenomeno: il soggetto in grado di provare in tribunale un danno fraudolento all’erario, ha il diritto di trattenere per sé un terzo dell’ammontare del danno comprovato. Si può immaginare facilmente la convenienza per un dipendente o per un dirigente di un’impresa che corrompe a essere “infedele” al suo datore di lavoro, raccogliendo una solida documentazione sull’illecito.
Al contrario, appare particolarmente inquietante la recente animatissima polemica sui reati da escludere dalle intercettazioni telefoniche consentite per legge: lo stesso presidente del Consiglio ha premuto, anche con dichiarazioni pubbliche, affinché la corruzione venisse esclusa dai reati per accertare i quali le intercettazioni sono ammesse. Non si tratta di un segnale incoraggiante sulla consapevolezza dei costi della corruzione e, ancor più, sulla volontà di contrastarla sistematicamente.

(1) Si veda http://www.transparency.org/policy_research/surveys_indices
(2) In Italia è stata confermata recentemente un’associazione positiva e significativa tra gli investimenti nel settore delle costruzioni e l’indice di criminalità organizzata, già evidenziata in studi degli anni Novanta. Si veda R. Caruso (2009), “Spesa pubblica e criminalità organizzata in Italia, evidenza empirica su dati panel nel periodo 1997-2003”, in corso di pubblicazione in Economia e Lavoro.
(3) Gli “scambi di favori” possibili con i decisori pubblici sono molteplici, e per la gran parte formalmente leciti: la tecnica nota come “revolving doors” in cui il decisore o persona di sua fiducia è assunto in posizioni remunerative a fine mandato, il “voto di scambio” via assunzioni clientelari, il subappalto a imprese “amiche” del decisore, il sostegno a iniziative “culturali” o a media (giornali, riviste, televisioni) politicamente vicine al decisori, e l’elenco potrebbe essere molto lungo.
(4) Si veda V. Tanzi, H.R. Davoodi (2002), “Corruption, public investment and growth”, in Abed, Gupta (a cura di) Governance, Corruption and Economic Performance, IMF, Washington e M. Arnone, E. Iliopulos (2005), La corruzione costa, Milano, Vita e Pensiero.
(5) http://www.corteconti.it/il-Preside/Discorsi–/Relazione-A.G.-2009.pdf.

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