Da Dagospia

CENSU-RAI! – TG1 E TG2 A PRANZO CANCELLANO COMPLETAMENTE LA SPUTTANOPOLI DI BARI E LE “BOMBE” DI PATTY E BARBARA – AL TG3 LA NOTIZIA È L’APERTURA – INTANTO ANCHE ‘IL FOGLIO’ DI FERRARA MOLLA MINZO: “AL TG5 ALMENO UN’OMBRA DI PATRIZIA LA SI È INTRAVISTA…”
camera,letto,papi,

Il gioco si fa duro e i telegiornali Rai rispondono presente. Nelle edizioni di pranzo di oggi sia il Tg1 di Minzolini, sia il Tg2 dell’interregno post Mazza sono andati oltre ogni previsione, superando abbondantemente i servizi onirici di questi giorni. Se fino a ieri l’inchiesta di Bari veniva trattata non nominando mai il fatto, oggi a Saxa Rubra sono andati oltre.
MINZOLINI E BERLUSCONI

minzo

Il Tg2 delle 13 e il Tg1 delle 13.30 non hanno dedicato neanche un secondo alle nuove rivelazioni bomba dell’inchiesta barese sul Cime di Rapa Gate. Non soltanto le indiscrezioni sui video di Patrizia in camera da letto con Papi-Silvio, ma neanche le affermazioni messe a verbale dalla nuova testimone Barbara sia in Procura che in un’intervista a Repubblica destano l’interesse dei due tg.

Il fatto che la ragazza abbia confermato sia la storia di soldi sia il sesso tra Papi e Patty non è stato giudicato meritevole di menzione. Se fino a ieri il tentativo era quello di lasciare la vicenda fuori dai titoli (con Dipollina che ha ribattezzato Minzolini “Zero Tituli”), oggi addirittura il caso rimane fuori dai tg. La vicenda, che apre le prime pagine di tutti i giornali con le nuove notizie arrivate da Bari, è passata completamente sotto silenzio. E pensare che il Tg3 ci ha aperto l’edizione delle 14.25…

2 – ANCHE IL FOGLIO DI FERRARA MOLLA MINZOLINI: “AL TG5 ALMENO UN’OMBRA DI PATRIZIA LA SI E’ INTRAVISTA…”
Da “Il Foglio”

Il re dei re del retroscena accusato di mancata messa in scena: forse surreale contrappasso, magari ritrovata saggezza. Fatto sta che Augusto Minzolini manco ha messo piede al Tg1 che è finito sulla graticola. Vero che, appena arrivato, ha fatto sapere che di gossip – avendo a lungo praticato quello politico sui giornali – non se ne sarebbe né visto né sentito.

E’ la metanoia minzoliniana, diciamo, in qualche modo opportuna e dovuta, visto che il Tg1 – tiggì ammiraglio su rete ammiraglia: sta praticamente tra il senso delle istituzioni e la capitaneria di porto – non è cartaccia stampata, e se non è dogma certo si avvicina all’atto di fede. E quindi benissimo si capisce che non può mica mandare i suoi cronisti a inseguire col microfono, vicolo per vicolo, magari in groppa a un motorino, le ragazze di lieve vita come una Sarzanini qualunque.

Non perché potrebbe risultare imbarazzante per il desco famigliare all’ora di cena (se hanno fatto pratica con i programmi televisivi pomeridiani, quelli possono sopportare tutto), ma proprio perché il ruolo del maggior telegiornale del servizio pubblico deve avere, mettiamola così, una compostezza e un’autorevolezza che altri possono più gagliardamente schivare.

Per sua stessa, ovvia natura, il Tg1 è quanto di più vicino alla visione del Conte Zio: sopire, troncare; troncare, sopire – non certo per eludere, diononvoglia, ma quantomeno per non sbracare. Il gossip, dunque, non prevarrà. Come disse con elevato (e meglio: rinnovato) spirito Minzolini nel momento del suo insediamento, ci si occuperà di vita reale, e va a sapere se il sospetto transito di insospettabilmente vivaci fanciulle in casa altrui sia roba da vita reale.

Quindi, è la saggezza di Saxa rubra che strutture la cauta scaletta minzoliniana; non banale e deprecabile opportunismo, ma necessario senso dell’opportunità. Guidare il TG1 è più faticoso che presidiare un ministero, portare un Tir dal Brennero a Bari (al povero Riotta, per dire, non bastava la giornata neanche per infilarsi la giacchetta), e del resto Minzolini per la bisogna è ancora un fresco neopatentato.

Certo, un tiggì di quelli saldamente ancorati tra la vita reale e l’autorevolezza – si potrebbe dire tra il pianerottolo e una discussione all’Aspen – avrebbe allora una scaletta che dall’Ira porta alla Corea, dalla social card alla crisi economica, da Dahrendorf all’enciclica papale; poi volendo, e senza strafare, pure quello che si travestiva come la mamma morta per beccarsi la pensione e qualcosa sulle faccende baresi. Dove si trovano le friselle e “la signora D’Addario” (Fitto dixit).

Con garbo, pian pianino, una parola è poca e due sono troppe – ma se qualcosa si deve dire, che non sia proprio un elaborato da Settimana Enigmistica dove evaporano le signorine e si materializzano i giudici comunisti: a volerci capire qualcosa, erano più facili i misteri nordcoreani.

Così che persino quei malpensanti dell’opposizione (la scossa? Frequentano magistrati? Elettricisti?), hanno finito col compiere il passo inconcepibile: lodare il Tg5 di Mimun, che spigliatamente un giorno ha prodotto un ineccepibile servizio sul fatto se sia meglio il gelato in coppetta o quello sul cono. Ma almeno un’ombra di Patrizia, temerariamente, lì si è intravista.

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Scappa come un coniglio

Numerosi i cambi di programma. Salta la conferenza stampa finale
Il premier ha incontrato esponenti del centrodestra e imprenditori
Visita di Berlusconi all’Aquila
Evitati giornalisti e contestatori
Il presidente della provincia chiede un maxi-emendamento al decreto

Berlusconi all’Aquila

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L’AQUILA – Uno slalom tra giornalisti e contestatori. La 14esima visita di Silvio Berlusconi all’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile scorso, somiglia più a una corsa a ostacoli che altro.

Si inizia poco dopo le sedici quando i giornalisti vengono allontanati dall’aeroporto di Preturo, dove è previsto l’arrivo dell’elicottero del premier, per motivi di sicurezza.

Il programma ufficiale prevede che dall’aeroporto Berlusconi vada alle piattaforme antisismiche sulle quali saranno costruiti gli edifici della “città nuova”. Ma arriva subito il cambio di programma: il premier sorvolerà le piattaforme compiendo una ricognizione dall’alto.

Intanto all’esterno della caserma della Guardia di Finanza di Coppito, dove il presidente del Consiglio deve incontrare imprenditori ed esponenti del centrodestra locale, si radunano alcuni sfollati e gli operai della Transcom, gli stessi che avevano manifestato ieri a Roma a Montecitorio e a Palazzo Grazioli. Ma Berlusconi “dribbla” i dimostranti che chiedono una ricostruzione partecipata e trasparente. Il premier, infatti, arriva in caserma direttamente in elicottero.

Inizia l’incontro con i politici del centrodestra e gli imprenditori che hanno vinto gli appalti per la ricostruzione. L’obbiettivo è completare al più presto tutte le opere essenziali. “Turni no stop, anche di 24 ore”, chiede il premier. La polemica sul decreto terremoto però non si arresta. Il presidente della provincia dell’Aquila, Stefania Prezzopane, vuole attraverso l’approvazione di un maxi-emendamento al decreto garanzie per una ricostruzione realmente efficace.

Nel frattempo le forze dell’ordine allontanano dalla sala stampa una delegazione di tre persone che volevano chiedere al premier di finanziare la ricostruzione con entrate certe. E le sorprese non sono finite: alla fine salta anche la consueta conferenza stampa conclusiva. Nel giorno in cui a Bari scoppia l’ennesimo scandalo in cui sarebbe coinvolto, Berlusconi decolla senza incontrare i numerosi cronisti che lo aspettavano.

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Toc toc! Napolitano?!

La legge
del bavaglio

di GIUSEPPE D’AVANZO

L’agenda delle priorità di Silvio Berlusconi continua ad essere ad personam. Quindi, che la ricreazione continui, con buona pace di Emma Marcegaglia. Sostegno alle imprese e a chi perde il lavoro? Possono attendere. Per la bisogna sono sufficienti, al premier, un paio di bubbole nel tempio di cartapesta di Porta a porta (4 giugno): “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Il Cavaliere diventa meno fantasioso quando si muove nel suo interesse. Teme le intercettazioni (non si sa mai, con quel che combina al telefono) e paventa le cronache come il diavolo l’acqua santa. Si muove con molta concretezza, in questi casi. Prima notizia post-elettorale, dunque: il governo impone la fiducia alla Camera e oggi sarà legge il disegno che diminuisce l’efficacia delle investigazioni, cancella il dovere della cronaca, distrugge il diritto del cittadino di essere informato. Con buona pace (anche qui) della sicurezza dei cittadini di un Paese che forma il 10 per cento del prodotto interno lordo nelle pieghe del crimine, le investigazioni ne usciranno assottigliate, impoverite.

L’ascolto telefonico, ambientale, telematico da mezzo di ricerca della prova si trasforma in strumento di completamento e rafforzamento di una prova già acquisita. Un optional, per capirci. Un rosario di adempimenti, motivazioni, decisioni collegiali e nuovi carichi di lavoro diventeranno sabbia in un motore già arrugginito avvicinando la machina iustitiae al limite di saturazione che decreta l’impossibilità di celebrare il processo, un processo (appare sempre di più questo il cinico obiettivo “riformatore” del governo). Ancora. Soffocare in sessanta giorni il limite temporale degli ascolti (un’ulteriore stretta: si era parlato di tre mesi) “vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell’ordine e degli uffici di procura”, come inutilmente ha avvertito il Consiglio superiore della magistratura.

Sistemata in questo modo l’attività d’indagine, il lavoro non poteva dirsi finito se anche l’informazione, il diritto/dovere di cronaca, non avesse pagato il suo prezzo. Con un tratto di penna la nuova legge estende il regime che oggi regola gli atti giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto “fino alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Prima di questo limite “sarà vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione e degli atti delle conversazioni telefoniche anche se non più coperti dal segreto”.

Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si potrà dire qual è quell’inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci.

Addio al giornalismo come servizio al lettore e all’opinione pubblica. Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società. È vero, in alcuni casi l’ostinazione a raccontare le opacità del potere ha convinto il giornalismo ad andare oltre i confini del codice penale violando il segreto. È il suo mestiere, in fondo, perché la libertà di stampa è nata nell’interesse dei governati e non dei governanti e quindi non c’è nessuna ragione decorosa per non pubblicare documenti che raccontano alla pubblica opinione – ricordate un governatore della Banca d’Italia? – come un’autorità di vigilanza protegge (o non protegge) il risparmio e il mercato.

Naturalmente violare la legge, anche se in nome di un dovere professionale, significa accettarne le conseguenze. È proprio sulle conseguenze di violazioni (finora comunemente accettate) che la legge del governo lascia cadere un maglio sulla libertà di stampa. I cronisti che violeranno la consegna del silenzio saranno sospesi per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti (sarà questa la vera punizione) e subiranno una condanna penale da sei mesi a tre anni di carcere (che potrà trasformarsi in sanzione pecuniaria, però). Ma non è questo che conta davvero, mi pare. Che volete che sia una multa, se si è fatto un lavoro decente?

La trovata del governo che cambia radicalmente le regole del gioco è un’altra. È la punizione economica inflitta all’editore che, per ogni “omesso controllo”, potrà subire una sanzione pecuniaria (incarognita nell’ultimo testo) da 64.500 a 465mila euro. Come dire che a chi non tiene la bocca cucita su quel che sa – e che i lettori dovrebbero sapere – costerà milioni di euro all’anno la violazione della “consegna del silenzio”, cifre ragguardevoli e, in molti casi, insostenibili per un settore che non è in buona salute.

L’innovazione legislativa – l’abbiamo già scritto – sposta in modo subdolo e decisivo la linea del conflitto. Era esterna e impegnava alla luce del sole la redazione, l’autorità giudiziaria, i lettori. Diventa interna e vede a confronto, in una stanza chiusa, le redazioni e le proprietà editoriali. La trovata trasferisce il conflitto nel giornale. L’editore ha ora un suo interesse autonomo a far sì che il giornale non pubblichi più quelle cronache. Si portano così le proprietà a intervenire direttamente nei contenuti del lavoro redazionale. Le si sollecita, volente o nolente, a occuparsi della materia informativa vera e propria, sindacando gli atti dei giornalisti. Il governo, nel progetto inviato al Parlamento, pretende addirittura che l’editore debba adottare “misure idonee a favorire lo svolgimento dell’attività giornalistica nel rispetto della legge e a scoprire ed a eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. È evidente che solo attraverso un controllo continuativo e molto interno dell’attività giornalistica è possibile “scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. Di fatto, l’editore viene invitato a entrare nel lavoro giornalistico e a esprimere un sindacato a propria tutela.

Ecco dunque i frutti intossicati della legge che oggi sarà approvata, senza alcuna discussione, a Montecitorio: la magistratura avrà meno strumenti per proteggere il Paese dal crimine e gli individui dall’insicurezza quotidiana; si castigano i giornalisti che non tengono il becco chiuso anche se sanno come vanno le cose; si punisce l’editore spingendolo a mettere le mani nella fattura del giornale. E quel che conta di più, voi – cari lettori – non conoscerete più (se non a babbo morto) le storie che spiegano il Paese, i comportamenti degli uomini che lo governano, i dispositivi che decidono delle vostre stesse vite. Sono le nuove regole di una “ricreazione” che non finisce mai.

°°° Se Napolitano, contro ogni legge terrena e divina, dovesse firmare questa ulteriore porcata, sarebbe come se silvio berlusconi e la sua cosca al potere girassero impunemente con la parola MAFIA tatuata sulla fronte. Spero che il capo dello Stato lo mandi a cagare malamente e che le opposizioni si dimostrino tali. UNA MOSTRUOSITA’ DEL GENERE NON PUO’ PASSARE!

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La mafia…

…incurante del fatto che è assoluta minoranza nel paese e nel mondo, va avanti per la sua strada devastante. E le opposizioni? Sapete qualcosa che non so? L’opposizione si è schierata davanti a Montecitorio e si è incatenata ai portoni? NAAAAAAAAAA… Questi continuano a combattere i carri armati con le cerbottane, le corazzate coi canottini per bambini… E il regime di mafia-P2 se la ride.

INTERCETTAZIONI: ALFANO, ACCORDO SU TESTO OGGI FIDUCIA

“Il testo e’ quello dell’accordo di maggioranza”. Cosi’ il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, risponde ai cronisti, al termine della riunione sul ddl intercettazioni cui hanno preso parte il ministro dell’Interno Roberto Maroni, il ministro della semplificazione legislativa Roberto Calderoli, il ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, la presidente della Commissione Giustizia Giulia Bongiorno, i capigruppo della Lega e del Pdl Cota e Cicchitto e Niccolo’ Ghedini. Alle 16 il Governo porra’ la questione di fiducia sul testo uscito dalla Commissione Giustizia, al quale e’ stato apportato, ha detto ancora Alfano “solo un aggiustamento tecnico che ho proposto”.

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LA LINGUA DI ALFANO DAVANTI AL CULO DI BERLUSCONI

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ECCO IL NUOVO PIATTINO CHE CI STANNO PREPARANDO:

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Da Travaglio

Garantisti con le mèches

Brutto colpo, per i garantisti arcoriani, il proscioglimento di Luigi De Magistris dalle false accuse di una toga lucana. Il Giornale della ditta l’ha preso maluccio, affidando la notizia alle cure del rosicone con le mèches. Questi sostiene che De Magistris non ha mai chiuso un’inchiesta (già, gliele scippavano prima) e tenta di sminuire la sentenza spiegando che la gip che l’ha emessa è nientemeno che la moglie del fratello di Michele Santoro. Senza contare che «un cognato di De Magistris è pm a Catanzaro e una zia di sua moglie lavora al Quotidiano, schieratissimo a suo favore». Roba grossa. Il fatto che l’archiviazione l’abbiano chiesta tre pm di Salerno che non risultano parenti di De Magistris né di Santoro, è ininfluente (un deputato di An insinuò in un’interrogazione che la pm fosse l’amante di De Magistris; ma anche i due pm maschi erano pazzi di lui). Così come il fatto che nessuno conosca le idee politiche del fratello di Santoro né della di lui moglie. Dettagli: la cognata è prevenuta per definizione. Verde di rabbia, Colpodisole riesce persino a definire «smaccate» le «prove dei reati attribuiti a De Magistris». Ora, per il nostro Codice, le «prove» si formano al processo, che qui non si farà mai perché non esistono nemmeno «indizi». Concetto troppo complesso per i garantisti de noantri. Ed eccole, le «prove»: le telefonate di alcuni cronisti a De Magistris. Ma qui Colpodisole ha ragione: parlare con i cronisti è reato. Se avesse parlato coi delinquenti, come certi suoi colleghi, De Magistris sarebbe ancora a Catanzaro. O scriverebbe commenti sul Giornale.

GIORDANO COL CANE DI BURLESQUONI

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