Berlusconi sparisce dal simbolo elettorale “Ora fa perdere voti”

Berlusconi sparisce dal simbolo elettorale “Ora fa perdere voti”

Per le elezioni in Molise il nome di Berlusconi scompare dal simbolo del Pdl

Molise alle urne tra 15 giorni:
per la prima volta nome
eliminato dal logo,
niente comizi del leader

GIUSEPPE SALVAGGIULO

CAMPOBASSO
Per la prima volta dal simbolo del Pdl scompare il nome di Berlusconi. Omesso poiché ritenuto auspicio di sventura elettorale. Accade in Molise, unica regione dove si vota tra 15 giorni. Segno dei tempi, malinconico crepuscolo del mito del «partito personale». Pare trascorso un secolo dal 2008-2009, quando «BERLUSCONI» campeggiava da solo a caratteri cubitali in Abruzzo e Sardegna (ignorati i candidati locali), ma anche dal 2010 e dalla scorsa primavera, quando ancora sovrastava i nomi di sindaci e governatori, piccini e relegati nella parte bassa del simbolo, a testimoniare l’effetto taumaturgico del Cavaliere.

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Legittimamente un par de palle!

Sapete che c’è? Da quando mi hanno svegliato i sedicenti muratori a mazzuolate: ormai si sono presi il vizio di rompere le scatole alle sette del mattino, mi frulla per la testa questa minchiata galattica… “è stato eletto legittimamente”. Non c’è esponente del centrosinistra che non si abbeveri a questa fonte di sciocchezze. Ma legittimamente un cazzo!
In maniera legittima sono stati eletti, da sempre, gli esponenti della sinistra… giacché la dc ha sempre fatto ricorso ai voti della mafia e al clero. Io mi ricordo di quando le suorine, invisibili per tutto l’anno, sotto elezioni andavano a prelevare moribondi-ciechi-paralitici e affini e li portavano ai seggi. E magari facevano esse stesse la croce. Vorrei chiedere ai d’alema, ai veltroni, ai Franceschini cosa ci sia di legittimo nell’elezione di una masnada di pregiudicati, inquisiti, zoccole e veline imposti al parlamento. Vorrei sapere da quando e in quale paese occidentale un farabutto , che si è appropriato ILLEGITTIMAMENTE di tutto ciò che possiede, può comprarsi un partito, fare società col cognato di Totò Riina e con Riina stesso, amalgamare “Sicilia libera” (creatura di Leoluca Bagarella) con gli avanzi malavitosi di Dc-Psi-Psdi-Monarchici-Liberali- ecc. e fondare Forza Italia.
Infine, vorrei sapere da lorsignori cosa c’è di legittimo nel possedere e/o controllare il 90% dei media nazionali e, dopo aver condizionato malamente le menti più deboli e indifese, passare a riscuotere i voti. E quando non bastano, fare incetta di voti comprati a livelli capillari e… praticare sistematicamente BROGLI! Mi spiegate almeno voi, amici del blog, COSA CAZZO C’E’ DI LEGITTIMO IN TUTTO QUESTO?

LA SUORINA DELL’URNA ELETTORALE

suorina

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L’Italia spaccata

A Firenze si sta sgretolando l’asse tra sinistra e borghesia. I fiorentini sono insofferenti, c’è grande voglia di cambiamento. Renzi è vecchio politicamente, il volto nuovo è Giovanni Galli. L’ex portiere è quadrato, uno che sente forte l’impegno per la sua città. Ce la farà. La vittoria a Firenze è nell’aria”. (Paolo Bonaiuti, Pdl, Il Giornale, 5 giugno 2009).

“Firenze, l’Obama del Pd finisce al ballottaggio. Renzi non conquista nemmeno il suo feudo rosso”.
(Il Giornale, 9 giugno 2009. Risultato: Renzi al 60% e Galli al 40).

“La gente torinese ha capito la qualità del nostro programma elettorale”.

(Claudia Porchietto, candidata Pdl alla provincia di Torino, Il Giornale, 27 maggio 2009. Risultato: Saitta del Pd al 57,4% e Porchietto al 42,6).

°°° Ecco come sono finite quasi ovunque le certezze di vittoria di questa destra malavitosa e arrogante. L’Italia è spaccata, amici miei. Da una parte la malavita, il potere mediatico e finanziario, i furbetti, i faccendieri, gli evasori fiscali, gli speculatori, i pasticcioni, i corruttori e i malversatori… dall’altra noi, persone per bene, mediamente colte e informate, senza visibilità mediatica ma con le palle che fumano.

(23 giugno 2009)

brutto

b-magnaccia3

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Regime in crollo

«E le prostitute?» e viene identificata dalla polizia

Domenica elettorale per Silvio Berlusconi. Tra applausi e contestazioni. Mentre il presidente del Consiglio parlava con alcuni suoi elettori di politica, fuori dal seggio milanese, una signora, dalle retrovie, ha gridato: «Ma perchè non gli chiedete delle prostitute?». La donna è stata subito avvicinata dalla polizia per l’identificazione, ma non aveva con se i documenti.

In via Scrosati a Milano molti i suoi sostenitori che lo hanno applaudito mentre entrava e gli hanno gridato «Bravo Silvio» e «Non dare retta a La Repubblica della banane, vai avanti». All’interno del seggio però un signore gli ha urlato: «Presidente le pensioni. Altro che stringerti la mano».

bfascio

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L’Italia che muore

IL RETROSCENA. Tarantini, la Costa Smeralda come esca per la politica
Al centro dell’inchiesta c’è un giovane leccese accusato di spaccio
La villa da 100mila euro al mese
con Elvira, Angela e Sabina

di CARLO BONINI

Sabina Began

sbina

BARI – In un’indagine per sfruttamento della prostituzione che somiglia sempre di più a una matrioska, ballano ora una storia di cocaina e tre nuovi nomi di donne. Sabina Began, Angela Sozio, la deputata Elvira Savino. Due di loro, la Sozio (ex ragazza Grande Fratello, catturata dall’obiettivo di Antonello Zappadu in grembo al Presidente del Consiglio già nel 2007 nel Parco di Villa Certosa) e la Savino, non è chiaro in che contesto e in quale veste. Se cioè perché oggetto delle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini o perché indicate da testimoni che frequentavano le feste del premier. La Began, al contrario, perché anello cruciale della catena che annoda l’imprenditore barese al Presidente del Consiglio.

Showgirl di origini slave che ha tatuate sul corpo le iniziali S. B., “l’uomo che mi ha cambiato la vita”, la Began è accompagnata ormai da una letteratura che l’ha battezzata “l’ape regina” del premier. Nella sera della vittoria elettorale del centro-destra – si è letto nelle scorse settimane – è a palazzo Grazioli, sulle gambe di Silvio Berlusconi che canta “Malafemmena”. Ma, a stare alle acquisizioni dell’inchiesta barese, ricorre ora con costanza nelle conversazioni intercettate di Gianpaolo Tarantini. Frequenta le ville sarde dell’uno (la notte di Ferragosto 2008, è tra i 400 ospiti della festa che dà Tarantini) e dell’altro (fonti qualificate riferiscono che sia stata lei a introdurre a Villa Certosa la showgirl Belen Rodriguez). Lavora da vaso comunicante tra le ragazze del giro dell’imprenditore e quelle ammesse al cospetto del Presidente del Consiglio. E’ il relé che, in Sardegna, trasforma Gianpaolo in “Giampi” e la sua villa in un indirizzo – un set sarebbe più corretto dire – che conta.
Anche per questo, nel lavoro istruttorio della Procura di Bari, Roma pesa quanto la Sardegna e Palazzo Grazioli quanto la villa di Capriccioli, a Porto Cervo, il luccicante retiro che Tarantino sceglie come piedistallo per guadagnare la benevolenza del premier. Un gioiello incastrato nelle rocce e avvolto dalla macchia che si aprono su Cala Volpe. Non troppo lontano da Villa Certosa. Un angolo di straordinaria bellezza dove – ne sono convinti gli inquirenti – l’imprenditore costruisce un suo nuovo pantheon. L’affitto della villa – riferisce una fonte che ha frequentato la casa – ha un prezzo spettacolare, 100 mila euro al mese, perché spettacolare deve essere il trampolino di lancio di quel “ragazzo” di 35 anni barese che nessuno conosce e che, improvvisamente, a Porto Cervo diventa per tutti “Giampi”. In un’estate – quella del 2008 – che deve appunto segnare il suo passaggio definitivo dall’orbita redditizia, ma defilata, dagli appalti e forniture ospedaliere, a quello della consulenza nel business che conta e che ha bisogno della politica per camminare. E che diventa – ecco l’altra novità dell’inchiesta – cornice di una storia di cocaina.

Nella villa di Capriccioli, infatti, lavora, con personale filippino, un quarantenne che di nome fa Alessandro Mannavini. E’ un leccese di buona famiglia che, a giugno del 2008, Tarantini – come conferma uno dei suoi avvocati, Nicola Quaranta – assume con le mansioni di autista personale. Mannavini, in vita sua, l’autista non lo ha mai fatto. Ufficialmente, ha lavorato per compagnie di charter nautico, anche se non risulta avere la patente che abilita alla navigazione oltre le 6 miglia. Sta di fatto che il tipo balla in villa una sola estate. Assunto a giugno, viene licenziato a settembre 2008, perché, ufficialmente, si lamenta con il suo principale “delle modeste mansioni cui è stato assegnato”. Guidare, ma persino dare una mano ai filippini in cucina. E’ un fatto che, un mese fa, Mannavini entra negli uffici del sostituto procuratore della Repubblica, Giuseppe Scelsi, per essere interrogato come indagato per detenzione e consumo di sostanze stupefacenti. Cocaina. Il suo nome salta fuori nelle intercettazioni sulle utenze dei Tarantini e lui, con il pubblico ministero, ammette. Ma Scelsi ha un’altra curiosità. Chiede all’ex “autista” se ricorda i nomi di ragazze che frequentavano la villa. La risposta è generica: “Ne giravano talmente tante di belle ragazze che non ricordo”.

Marco Vignola, avvocato di Mannavini, conferma la circostanza dell’interrogatorio e dice: “Il mio cliente si è detto del tutto estraneo alla vicenda delle ragazze e risponde di un reato diverso per il quale vedremo di qui in avanti quali iniziative istruttorie prendere”. Non è chiaro se Mannavini indichi o meno il suo pusher. Non è chiaro se Mannavini sia il solo ad essere accostato alla cocaina nella villa. E’ un fatto che chi lo ha conosciuto quell’estate sostiene che si muovesse più da uomo di pubbliche relazioni e organizzatore di feste che da autista (“Una sciocchezza”, dice l’avvocato Vignola).

LE SQUILLO SVOLAZZANO DA UNA VILLA A UN PALAZZO, MENTRE L’ITALIA PIANO PIANO MUORE…

angelo

italia-muore

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Il governo del fare… CAZZATE

Protestano i sindacati: “Siamo furibondi, questo accade mentre si parla
di tolleranza e si fanno proclami sui risultati della lotta alla criminalità”
Scattano i tagli agli straordinari
la rabbia dei poliziotti romani

di ALBERTO CUSTODERO

IL MINISTERO dell’Interno ha tagliato 4000 ore di straordinari alla polizia romana, il 5% del monte ore della Questura della Capitale per un importo di circa 40 mila euro al mese. La notizia ha suscitato le proteste di tutti i sindacati di polizia. I poliziotti, prendendo a prestito la battuta del titolare del Viminale Roberto Maroni quando gli fu bocciata alla Camera la proposta di portare a sei mesi il soggiorno nei Cie (“sono furibondo”, tuonò allora), commentano il decurtamento della busta paga con un “anche noi siamo furibondi”.

I primi a protestare sono quelli politicamente più “vicini” al governo, l’Ugl polizia. “E’ vergognoso – dice Massimo Nisida, segretario provinciale di Roma – Allora si abbia anche il coraggio di tagliare i servizi di ordine pubblico”. “Questo – aggiunge Enzo Letizia, segretario nazionale dei Funzionari di polizia – è il primo effetto su Roma dei tagli nella Finanziaria per 16 milioni di euro al Dipartimento pubblica sicurezza. E tutto ciò mentre il Viminale parla di tolleranza zero e, sotto elezioni, fa proclami sui risultati della lotta alla criminalità”. “I proclami sono una cosa – chiosano in coro Letizia e Nisida – questi tagli sono i fatti”. Al ministro Maroni che fa sua la “tolleranza zero”, Letizia ricorda che “chi inventò quella politica dura di sicurezza, l’ex sindaco di New York Giuliani, aumentò del 40% le risorse alla polizia”.

Ancora Nisida dell’Ugl: “Si tratta dell’ennesimo attacco alla dignità professionale di chi è chiamato a presidiare il territorio e tutelare la sicurezza dei cittadini, anche perché, oltre a essere letteralmente sottopagato (meno dell’ora ordinaria), lo straordinario in Polizia, purtroppo, sopperisce alla grave carenza di personale dovuta al blocco delle assunzioni e del turn over”.

“E impensabile – continua Nisida – che il governo da un lato si faccia garante di assicurare la pacifica riuscita di importanti eventi nazionali e internazionali con grande sacrifcio delle forze dell’ordine e, dall’altro, sottragga importanti risorse proprio a questi”.

A questo punto i sindacati dell’Ugl richiamano e fanno propria la proposta fatta in campagna elettorale dal segretario del Pd, Dario Franceschini, che aveva proposto l’election day per risparmiare risorse da destinare alla polizia. “Con il solo election day – conclude Nisida – accorpando europee, amministrative e referendum, il governo avrebbe evitato di spendere ingenti somme che avrebbe potuto destinare alle forze dell’ordine. Ora la rabbia di noi poliziotti cresce”. “Continuiamo a non capire – dichiara Letizia – perché il governo e il Viminale abbiano sottratto al Dipartimento di pubblica sicurezza cento milioni per dirottarli a fare controllare il territorio dalle ronde di cittadini”.

Sulla stessa linea critica – ma riferendosi non alle ronde di cittadini, bensì a quelle dei militari – anche Claudio Giardullo, segretario genereale Silp Cgil. “Alle forze di polizia – spiega – si fanno mancare le risorse mentre il governo progetta di aumentare la costosa presenza di militari per il pattugliamento delle città. Questo, per noi, non solo non è una soluzione, ma è un ulteriore aggravio di lavoro per le forze dell’ordine come il caso emergenza rifiuti a Palermo dimostra”.

Giardullo: “Nel capoluogo siciliano c’è stato un aumento di carico di lavoro della polizia che ha dovuto scortare non solo il personale dell’azienda raccolta rifiuti, ma anche i soldati che avrebbero dovuto scortarli. Ciò dimostra che l’esercito non era in grado di badare alla propria sicurezza, né a quella dei dipendenti della ditta. La morale è che, per tutelare le ronde dell’Esercito, sono state sottratte risorse per la sicurezza dei cittadini”.

b-blabla

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Toc toc! Napolitano?!

La legge
del bavaglio

di GIUSEPPE D’AVANZO

L’agenda delle priorità di Silvio Berlusconi continua ad essere ad personam. Quindi, che la ricreazione continui, con buona pace di Emma Marcegaglia. Sostegno alle imprese e a chi perde il lavoro? Possono attendere. Per la bisogna sono sufficienti, al premier, un paio di bubbole nel tempio di cartapesta di Porta a porta (4 giugno): “Oggi non c’è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C’è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto”.

Il Cavaliere diventa meno fantasioso quando si muove nel suo interesse. Teme le intercettazioni (non si sa mai, con quel che combina al telefono) e paventa le cronache come il diavolo l’acqua santa. Si muove con molta concretezza, in questi casi. Prima notizia post-elettorale, dunque: il governo impone la fiducia alla Camera e oggi sarà legge il disegno che diminuisce l’efficacia delle investigazioni, cancella il dovere della cronaca, distrugge il diritto del cittadino di essere informato. Con buona pace (anche qui) della sicurezza dei cittadini di un Paese che forma il 10 per cento del prodotto interno lordo nelle pieghe del crimine, le investigazioni ne usciranno assottigliate, impoverite.

L’ascolto telefonico, ambientale, telematico da mezzo di ricerca della prova si trasforma in strumento di completamento e rafforzamento di una prova già acquisita. Un optional, per capirci. Un rosario di adempimenti, motivazioni, decisioni collegiali e nuovi carichi di lavoro diventeranno sabbia in un motore già arrugginito avvicinando la machina iustitiae al limite di saturazione che decreta l’impossibilità di celebrare il processo, un processo (appare sempre di più questo il cinico obiettivo “riformatore” del governo). Ancora. Soffocare in sessanta giorni il limite temporale degli ascolti (un’ulteriore stretta: si era parlato di tre mesi) “vanifica gli sforzi investigativi delle forze dell’ordine e degli uffici di procura”, come inutilmente ha avvertito il Consiglio superiore della magistratura.

Sistemata in questo modo l’attività d’indagine, il lavoro non poteva dirsi finito se anche l’informazione, il diritto/dovere di cronaca, non avesse pagato il suo prezzo. Con un tratto di penna la nuova legge estende il regime che oggi regola gli atti giudiziari coperti dal segreto anche agli atti non più coperti dal segreto “fino alla conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. Prima di questo limite “sarà vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, della documentazione e degli atti delle conversazioni telefoniche anche se non più coperti dal segreto”.

Si potrà dire che si indaga su una clinica privata abitata da medici ossessionati dal denaro che operano i pazienti anche se non è necessario. Non si potrà dire qual è quell’inferno dei vivi e quanti e quali pasticci hanno organizzato accordandosi al telefono. Lo si potrà fare soltanto a udienza preliminare conclusa (forse). Con i tempi attuali della giustizia italiana dopo quattro o sei anni. In alcuni patologici casi, dopo dieci.

Addio al giornalismo come servizio al lettore e all’opinione pubblica. Addio alle cronache che consentono di osservare da vicino come funzionano i poteri, lo Stato, i controlli, le autorità, la società. È vero, in alcuni casi l’ostinazione a raccontare le opacità del potere ha convinto il giornalismo ad andare oltre i confini del codice penale violando il segreto. È il suo mestiere, in fondo, perché la libertà di stampa è nata nell’interesse dei governati e non dei governanti e quindi non c’è nessuna ragione decorosa per non pubblicare documenti che raccontano alla pubblica opinione – ricordate un governatore della Banca d’Italia? – come un’autorità di vigilanza protegge (o non protegge) il risparmio e il mercato.

Naturalmente violare la legge, anche se in nome di un dovere professionale, significa accettarne le conseguenze. È proprio sulle conseguenze di violazioni (finora comunemente accettate) che la legge del governo lascia cadere un maglio sulla libertà di stampa. I cronisti che violeranno la consegna del silenzio saranno sospesi per tre mesi dall’Ordine dei giornalisti (sarà questa la vera punizione) e subiranno una condanna penale da sei mesi a tre anni di carcere (che potrà trasformarsi in sanzione pecuniaria, però). Ma non è questo che conta davvero, mi pare. Che volete che sia una multa, se si è fatto un lavoro decente?

La trovata del governo che cambia radicalmente le regole del gioco è un’altra. È la punizione economica inflitta all’editore che, per ogni “omesso controllo”, potrà subire una sanzione pecuniaria (incarognita nell’ultimo testo) da 64.500 a 465mila euro. Come dire che a chi non tiene la bocca cucita su quel che sa – e che i lettori dovrebbero sapere – costerà milioni di euro all’anno la violazione della “consegna del silenzio”, cifre ragguardevoli e, in molti casi, insostenibili per un settore che non è in buona salute.

L’innovazione legislativa – l’abbiamo già scritto – sposta in modo subdolo e decisivo la linea del conflitto. Era esterna e impegnava alla luce del sole la redazione, l’autorità giudiziaria, i lettori. Diventa interna e vede a confronto, in una stanza chiusa, le redazioni e le proprietà editoriali. La trovata trasferisce il conflitto nel giornale. L’editore ha ora un suo interesse autonomo a far sì che il giornale non pubblichi più quelle cronache. Si portano così le proprietà a intervenire direttamente nei contenuti del lavoro redazionale. Le si sollecita, volente o nolente, a occuparsi della materia informativa vera e propria, sindacando gli atti dei giornalisti. Il governo, nel progetto inviato al Parlamento, pretende addirittura che l’editore debba adottare “misure idonee a favorire lo svolgimento dell’attività giornalistica nel rispetto della legge e a scoprire ed a eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. È evidente che solo attraverso un controllo continuativo e molto interno dell’attività giornalistica è possibile “scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio”. Di fatto, l’editore viene invitato a entrare nel lavoro giornalistico e a esprimere un sindacato a propria tutela.

Ecco dunque i frutti intossicati della legge che oggi sarà approvata, senza alcuna discussione, a Montecitorio: la magistratura avrà meno strumenti per proteggere il Paese dal crimine e gli individui dall’insicurezza quotidiana; si castigano i giornalisti che non tengono il becco chiuso anche se sanno come vanno le cose; si punisce l’editore spingendolo a mettere le mani nella fattura del giornale. E quel che conta di più, voi – cari lettori – non conoscerete più (se non a babbo morto) le storie che spiegano il Paese, i comportamenti degli uomini che lo governano, i dispositivi che decidono delle vostre stesse vite. Sono le nuove regole di una “ricreazione” che non finisce mai.

°°° Se Napolitano, contro ogni legge terrena e divina, dovesse firmare questa ulteriore porcata, sarebbe come se silvio berlusconi e la sua cosca al potere girassero impunemente con la parola MAFIA tatuata sulla fronte. Spero che il capo dello Stato lo mandi a cagare malamente e che le opposizioni si dimostrino tali. UNA MOSTRUOSITA’ DEL GENERE NON PUO’ PASSARE!

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Maria Novella Oppo

Il plebiscito minoritario

Ormai anche le nottate elettorali sono diventate un genere televisivo, un reality i cui protagonisti sono sempre gli stessi. Da quanti decenni, ormai, vediamo La Russa e Gasparri imperversare commentando i risultati? Berlusconi invece no: lui arriva sempre dopo. Ha bisogno di tempo per elaborare la nuova strategia di bugie postume. In quelle preventive sosteneva che era già al 45%, proiettato oltre il 50, ma ora si scopre che, nonostante l’avanzata leghista, il suo plebiscito è minoritario. Una mostruosità lo stesso, ma, dopo tutto, bisogna sempre ricordarsi che la maggioranza assoluta degli italiani non lo ha mai votato. Nonostante trent’anni di campagna elettorale ininterrotta, con una sproporzione di forze mai vista. Nessun paese al mondo ha vissuto niente di simile. Perciò, non è provato che altri saprebbero resistere meglio di noi. La deberlusconizzazione dal basso è cominciata: l’opposizione seguirà. Almeno speriamo.

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