Angelino Anfame: “Berlusconi è l’unico perseguitato in Italia.” Spiegati, verme!

Fatemi capire… parliamo di un fancazzista, figlio di un mafioso (Luigi), che senza un mestiere, ignorante come una seppia, senza un centesimo e senza voglia di fare un cazzo, si trova a soli 28 anni con decine di miliardi (di Cosa Nostra) sotto l’albero di Natale. La mafia deve riciclare e investire al nord, chi meglio del figlio inutile del loro banchiere milanese (Luigi Berlusconi: banca Rasini)? Detto fatto. Il piccolo Silvio si trova così miliardi a vagonate e coi miliardi, si sa, si comprano anche politicanti delinquenti a pacchi: molti Dc e molti craxisti, qualche Psdi. Ed ecco fioccare permessi, aree agricole che diventano magicamente edificabili, mattoni e cemento e persino una megaclinica abusiva: il San Raffaele. Megaclinica che diventerà presto un impero colossale e che ora sta per fallire perché ha oltre un miliardo di euro di debiti… troppi ladri in casa.

Silvio si ruba proprietà multimiliardarie senza spendere un soldo (Arcore, rubata a una povera orfanella, con tutti gli annessi e connessi, valore centinaia di miliardi) e si ruba tre televisioni nazionali (cash della mafia e decreto malavitoso del suo socio-sodale il delinquente Bottino Craxi, morto latitante).

Nonostante la pioggia continua di miliardi sporchi, Silvio traffica malamente e nel 1993 rischia le manette per bancarotta e per debiti: circa 7000 miliardi inesigibili, dato che non li ha. Sempre coi soldi delle mafie, alle quali è utilissimo, si compra un po’ di voti, fa brogli a manetta, e prende il potere “politico”. Con un misero 11% reale dei voti, compresi i brogli, pretende di comandare un’intera nazione come se avesse il 99% dei consensi. Inutile dire che devasta tutto e spoglia l’Italia e gli italiani come non si era mai visto. Preso il potere ci fa assistere alla più selvaggia manifestazione di spoyl system mai visto in occidente. La sua cosca e le sue cricche si spartiscono poltrone e poltroncine, cadreghine e strapuntini, continuando a rubare, corrompere, truffare e devastare. Devasta tutto: la credibilità dell’Italia, i conti pubblici, la scuola, la cultura, la politica, la democrazia, la sanità, il senso civico, il territorio, il mondo del lavoro, il commercio, il turismo (meno 60% da quando ci sono loro)…

Quasi tutti i suoi più cari amici sono stati arrestati o condannati fino alla cassazione, per altri pendono richieste di arresto e ci sono mille processi in arrivo o in itinere. Lui, grazie a culi venduti di servi e peones corrotti e incapaci, si fa una sessantina di leggi ad personam che gridano vendetta al cielo e scampa il culo alla galera. Per ora. Angelino Anfame, MA COME CAZZO FAI A DIRE CHE IL PEGGIOR DELINQUENTE CHE L’ITALIA ABBIA MAI AVUTO E’ UN… PERSEGUITATO DAI GIUDICI COMUNISTI?!

Angelino, MARIVAIAFFANCULO!

al  fano

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Legittimamente un par de palle!

Sapete che c’è? Da quando mi hanno svegliato i sedicenti muratori a mazzuolate: ormai si sono presi il vizio di rompere le scatole alle sette del mattino, mi frulla per la testa questa minchiata galattica… “è stato eletto legittimamente”. Non c’è esponente del centrosinistra che non si abbeveri a questa fonte di sciocchezze. Ma legittimamente un cazzo!
In maniera legittima sono stati eletti, da sempre, gli esponenti della sinistra… giacché la dc ha sempre fatto ricorso ai voti della mafia e al clero. Io mi ricordo di quando le suorine, invisibili per tutto l’anno, sotto elezioni andavano a prelevare moribondi-ciechi-paralitici e affini e li portavano ai seggi. E magari facevano esse stesse la croce. Vorrei chiedere ai d’alema, ai veltroni, ai Franceschini cosa ci sia di legittimo nell’elezione di una masnada di pregiudicati, inquisiti, zoccole e veline imposti al parlamento. Vorrei sapere da quando e in quale paese occidentale un farabutto , che si è appropriato ILLEGITTIMAMENTE di tutto ciò che possiede, può comprarsi un partito, fare società col cognato di Totò Riina e con Riina stesso, amalgamare “Sicilia libera” (creatura di Leoluca Bagarella) con gli avanzi malavitosi di Dc-Psi-Psdi-Monarchici-Liberali- ecc. e fondare Forza Italia.
Infine, vorrei sapere da lorsignori cosa c’è di legittimo nel possedere e/o controllare il 90% dei media nazionali e, dopo aver condizionato malamente le menti più deboli e indifese, passare a riscuotere i voti. E quando non bastano, fare incetta di voti comprati a livelli capillari e… praticare sistematicamente BROGLI! Mi spiegate almeno voi, amici del blog, COSA CAZZO C’E’ DI LEGITTIMO IN TUTTO QUESTO?

LA SUORINA DELL’URNA ELETTORALE

suorina

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

Che dio vi fulmini!!!

Amici, la tappa più interessante del Giro d’Italia viene interrotta da questa cagata di Tg3 regionale: cloaca massima di servi assolutamente proni e incapaci di gasparri e la russa. Per chi non lo sapesse, il Tg3 delle 19 è l’unico Tg italiano considerato quasi passabile – SECONDO I CANONI OCCIDENTALI DELLA INFORMAZIONE CORRETTA – mentre tutte le altre edizioni, soprattitto quelle regionali, sono nelle mani degli sguatteri suddetti dal 1994. Ci sarebbe da ridere, non fosse perché è la testata “giornalistica” più popolosa del mondo… pensate che ha quasi duemila stipendiati: sette volte più dei notizieri della BBC. Cosa ti sento? Che silvio berlusconi, nominato tre volte, ha raccomandato al sindaco aleMAGNO di porre rimedio ai guasti delle amministrazioni di sinistra, soprattutto contro i graffitari, perché “Roma mi piace, ma sembra una città africana“…

Ora, a parte la volgarità e l’offesa all’Africa e alle città africane (dove non lo vorrebbero nemmeno come spazzino e lo avrebbero condannato a morte a raffica dal 1972: data in cui ebbe la prima indagine per traffico di droga, armi, e riciclaggio) ma io, amici, ho vissuto a Roma PRIMA di Rutelli, quando rubavano e devastavano i compari di silvio berlusconi. Roma era una cloaca a cielo aperto, delinquenza, baraccati, immondezza, monumenti derubati e deturpati continuamente, zero cultura e zero civismo. Il sindaco del Psi, cacciato – per fortuna dopo pochi mesi – intanto si era rubato una villa pubblica e pure i 40 milioni di denaro pubblico per restaurarla, proprio a Villa Borghese. Sto parlando di quel ladro di amico di berlusconi che ha comandato per anni le zozzerie del mondo del calcio. Rutelli prima e Veltroni poi – che come leader di partito non valgono un cazzo – sono satati i migliori sindaci della storia. Hanno aperto e chiuso nei tempi prewvisti – E SENZA RUBARE UNA LIRA! – migliaia di cantieri. Hanno ripulito Roma. Hanno finanziato e creato servizi mai sognati. Hanno creato strade, viadotti, raddoppiato l’infernale Raccordo anulare. Hanno risanato la sanità e aperto tanti nuovi ospedali di eccellenza, in accordo con la regione. Hanno creato cultura e centri di cultura: come La città della musica. Hanno inventato l’Estate Romana (di cui mi onoro di essere uno dei padri). moltiplicando ed espandendo l’idea iniziale di renato Nicolini e del sindaco Vetere. Hanno inventato LA NOTTE BIANCA, che costava 24 milioni (soldi degli sponsor) e portava nelle casse del comune 44 milioni di euro, immediatamente spesi per welfare e opere pubbliche. Insomma… Roma era la più bella, la più pulita, la più vivibile e godibile, la più sicura, la più tranquilla, la più colta delle metropoli di tutto il mondo. In soli didici mesi cos’è Roma? Un posto di merda invivibile, buia, sporca, disordinata, insicura, priva di cultura, inquinata (vogliono addirittura fare un GP di formula uno, che la città impiegherà un anno a smaltire). Roma è una brutta città di provincia, fascista, pericolosa, teatro di orrendi spettacoli e di aggressioni razziste e xenofobe. Ho appena visto un paio di minuti del pedofilo mafioso alla CNN: guardate la postura… nemmeno un bambino che ha sgozzato la sorellina si siede così affannato per difendere le due bugie INDIFENDIBILI!
Silvio., LEVATI DAI COGLIONI IN FRETTA!!!

alemagno

berlusconiimbecille1

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

da Travaglio

Pompe funebri

Don Gianni Baget Bozzo avrebbe meritato necrologi un po’ più somiglianti. Ma, si sa: chi nasce è bello, chi si sposa è buono e chi muore è santo. Ora, che il defunto sacerdote fosse santo, è possibile: le vie del Signore sono infinite. Ma che fosse un «genio» o un «eretico», come l’han compianto in molti a destra al centro e a sinistra (infatti era stato, talora contemporaneamente, di destra, di centro e di sinistra), sussiste qualche dubbio. Il «genio» è stato il cappellano di tutti i peggiori soggetti della I e della II Repubblica: Tambroni (uomo dell’asse Dc-Msi), Craxi e Berlusconi. L’«eretico» fu sospeso a divinis non certo per posizioni irregolari, ma perché si era fatto eleggere due volte eurodeputato nel Psi. Campionissimo di conformismo, fu con la destra cattolica e democristiana negli anni 50, col Pci negli anni del sinistrismo imperante, con Bottino Craxi negli anni 80 della Milano da bere e dell’Italia da mangiare, poi con Al Tappone. Senza dimenticare il flirt manipulitista nel 1992-’94 («Di Pietro impressiona per la sua dignità, il suo riserbo, la sua schietta popolanità. È una persona in cui gli italiani credono, ma in lui come pubblico ministero, come uomo del dovere quotidiano, di cui il paese vive»). Il tipico intellettuale italiano: sempre a corte, sempre dove tira il vento, sempre dalla parte del potere politico e culturale. Diceva, restando serio, di sentire le voci dello Spirito Santo, che lo guidava nel suo zig-zag politico e gli suggeriva concetti del tipo: «Craxi è come Cristo sul Calvario» o «Berlusconi è l’Uomo della Provvidenza». Una prece.

bozzo

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

E ti pareva!

La storia
La mamma di Noemi irritata
«Squallore sulla mia bimba»

La famiglia della teenager al centro del caso

NAPOLI – Noemi non risponde più al cellulare. Se non riconosce il numero lascia squillare, o al massimo risponde una voce maschile che gentilmente dice: «Noemi non c’è», come se fosse credibile che una ragazzina di 18 anni si separi per ore dal suo cellulare e dai messaggini e tutto il resto, e pure dalla rubrica su cui è memorizzato il numero diretto di papi, come lei chiama Berlusconi.

Deserta pure la sua bacheca su Facebook, fino all’altro giorno piena di «botta e risposta» tra lei e suoi tantissimi amici. La stessa voce maschile ricompare implacabile pure al telefono di casa. Ma siccome quest’uomo pure avrà bisogno di allontanarsi un attimo, ecco che per una volta risponde la mamma di Noemi, la signora Anna. Che però ha perso la disponibilità del primo giorno, quando raccontava pure lei di papi e delle apparizioni televisive della figlia. E chiederle un commento alle parole di Veronica Lario è un modo sicuro per farla indispettire: «Ma perché dovete trasformare in un affare squallido una cosa che ha fatto tanto felice la mia bambina? Non lo so perché la signora Lario ha detto quelle cose. Mi dispiace che le abbia dette, ma non ho idea del perché l’abbia fatto. Se conosco anche lei come conosco Silvio? Arrivederci». Clic. Fine delle comunicazioni. Per tutto il resto della giornata risponde sempre il body guard telefonico, e di essere ricevuti a casa un’altra volta non se ne parla nemmeno.

Nessuno, quindi, che racconti come Berlusconi sia diventato amico della famiglia Letizia, mamma Anna, papà Benedetto e Noemi, che aveva un fratello morto sette anni fa in un incidente stradale. Benedetto ha commentato con qualche conoscente la visita del premier al compleanno di Noemi dicendo che lo ha fatto «per la nostra antica amicizia». Berlusconi dice che lui quell’uomo lo conosce da anni: «È un vecchio socialista, era l’autista di Craxi». Ma si sbaglia, assicura chi l’autista di Craxi lo conosceva bene. Come Bobo, il figlio: «L’autista di mio padre si chiamava Nicola, era veneto ed è morto». Pure due socialisti napoletani che furono in auge nell’era pre-tangentopoli, Giulio Di Donato e Silvano Masciari, escludono che Craxi, anche nelle sue visite a Napoli, abbia mai avuto un autista che si chiamava Benedetto Letizia. Quindi Berlusconi proprio si confonde. Benedetto Letizia fu effettivamente molto vicino al Psi, però non ha mai fatto l’autista ma sempre l’impiegato comunale. E lo faceva anche nel febbraio 1993, quando fu arrestato con l’accusa di peculato e concussione per una tangente da 35 milioni. Una vicenda giudiziaria ormai estinta, e lui, dopo tre sospensioni, nel 2007 è tornato definitivamente a lavorare al Comune di Napoli.


°°° E ti pareva che Burlesquoni fosse amico di uno che non è pregiudicato e condannato almeno per tangenti?

LA SIGNORA ANNA CON NOEMI

candidate

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter

LUCIO SALIS © Copyright 1994

Da “LEI NON SA CHI SONO STATO IO”

Capitolo terzo

EMILIO FEDE

Tutti dicono che è un “servo sciocco“, ma io non penso che sia sciocco.
Emilio Fede non nasce come vorrebbero i maligni in Serbia, in Val di Schiava, o a Lecco, ma in Sicilia. Figlio d’arte: sua madre domestica e suo padre valletto in un programma televisivo (in una tv locale di Pippo Baudo, naturalmente. Pippo già a tre anni poteva di tutto e di più). Emilio, precocissimo, già in occasione del proprio battesimo pretende di SERVIRE messa. Si becca subito una papagna dal parroco, che aveva mani grandi come palazzi (gli prendeva la misura per i guanti un geometra del vicinato e doveva comprare la pelle o la lana a ettari). Emilio frequenta le elementari in Sicilia e diventa subito una celebrità: sa tutto sui servi della gleba e porta la cartella a tutti i suoi compagni (ancora oggi, da come agita le mani, si notano i guasti degli antichi sforzi). Viene soprannominato “sciarpetta“, per via della lingua sempre al vento, pronta all’uso. I maestri andavano blanditi. Tutti dicevano “bacio le mani”, lui brevettò “bacio il culo”. A otto anni fa la Cresima e i suoi lo vestono da cameriere: pantaloni lunghi neri, giacca bianca, camicia bianca e papillon nero. Un segno del destino. Anche in quell’occasione pretese di servire lui la messa. Fu talmente insistente e petulante che la papagna del vescovo fu indimenticabile e superò in potenza quella battesimale del parroco: forse per via dell’anello vescovile. Ancora oggi Emilio sorride di sghembo, per via della mascella spostata. Subito dopo la cerimonia sacra, però, gli venne consentito di servire il caffellatte e le gallette a tutti i suoi compagni seduti ad una grande tavolata, nel salone parrocchiale. Emilio toccò il cielo con un dito. A sera, mascella gonfia per il “tocco” divino e piedi gonfi per il gran scarpinare, si addormentò stanco ma felice. Con la scuola andavano spesso a teatro. Lui non capiva granché e si annoiava. Tifava per i servi di scena e le maschere che tagliavano i biglietti. Finalmente arrivò Strehler in tournée col suo cavallo di battaglia: ”Arlecchino, servitore di due padroni”. Per Emilio fu una rivelazione. Tornò otto volte a vederlo. Anche se odiò Arlecchino per la sua improntitudine e non capì mai un cazzo della trama. Umilio è fatto così, si sa: quelle rare volte che gli vengono due pensieri contemporaneamente, visto lo spazio angusto del cervellino, sono costretti a fare manovra. Al liceo si appassionò alla letteratura italiana: ”Ahi servo Italia di dolore ostello” (Dante) – “Vergin di servo encomio e di codardo oltraggio” (Manzoni). A diciotto anni cominciò a scrivere sul giornale locale. Si prese una tremenda papagna da suo padre, perché il giornale era il suo e così, tutto scarabocchiato, non riusciva a leggere una mazza. A diciannove anni arrivò la pubertà e il giovane Emilio cominciò a correre appresso a tutte le gonnelle. I fattorini dei negozi di abbigliamento si stufarono presto di avere quel deficiente sempre tra i piedi e lo riempirono di callose papagne. Allora lui smise di importunare gli onesti lavoratori, anche perché un suo compagno di scuola gli spiegò che sì, andava bene correre dietro alle gonnelle, ma dentro ci doveva essere qualche ragazza, sennò non aveva senso. Emilio capì al volo ma fu sfigato: era sopraggiunta la moda delle donne in pantaloni! Ripiegò sull’impegno civile.
Fu il promotore di una memorabile marcia, e l’unico a sfilare, in favore delle servitù militari in Sicilia. Venne inseguito e malmenato da un gruppo di separatisti. Rientrato malconcio a casa, si rinchiuse in bagno e, guardandosi allo specchio, ebbe un’altra folgorazione: i capelli corvini e gli occhi neri (e pesti), contrastavano col naso gonfio e rosso come un peperone… Rouge et noir! Divenne schiavo del gioco.
Giocava per ore col suo pistolino (una volta fu persino sorpreso e cacciato dalla processione del Corpus Domini). Giocava coi bottoni, colle monetine e coi giornaletti: perdeva sempre. Ma non se la prendeva, gli dava più fastidio essere deriso dai suoi compagni di giochi, tutti intorno ai sette anni, che lo mortificavano anche con sonore papagne. Odiò le loro manine, così piccole ma già così pesanti. Una volta provò a reagire, in fondo aveva vent’anni ed era grande e grosso, ma finì all’ospedale col naso rotto. Il suo avversario era un diavoletto, agile e spietato, di quasi nove anni! Cercò di barare anche alla riffa parrocchiale, per una pesca di beneficenza, ma il parroco lo cuccò subito e gli mollò una papagna imperiale: lo fermarono i carabinieri, due giorni dopo, che vagabondava nei pressi di Enna; vaneggiava, tutto spettinato, e diceva di chiamarsi Isaia e di avere delle profezie da rivelare. Fu affidato ad una pia donna, psicologa e suora laica, che si prese cura di lui per più di tre mesi. Ma non ce la fece: si beccò un forte esaurimento nervoso e diventò una spietata serial killer! Sparò anche in testa a Emilio, con una 44 Magnum. La pallottola gli trapassò il cranio senza ledere organi vitali. Ancora oggi, i medici mostrano perplessi il poster della radiografia (ingrandita dieci volte) del cervello di Emilio: il poster è un normale 70x 100 e quella che sembra una cacatina di mosca non è altro che la “massa cerebrale”. Capirono perché il paziente non avesse mai sofferto di cefalea e tantomeno di cerebropatìa. Il giovane Emilio si rimise presto, ma il demone del gioco d’azzardo e del rischio lo perseguitava: si iscrisse al PSDI (acronimo di : Prendi i Soldi Degli Italiani. Già in quegli anni si scommetteva forte su quale sarebbe stato il successivo leader del partito a venire ammanettato). Partecipò a ben tre assemblee regionali del partito, ma l’ultima gli fu fatale. Se ne uscì con qualche sproposito dei suoi e tutti e sette i delegati lo presero a papagne e lo cacciarono dalla seicento multipla, dove si tenevano i congressi. In Sicilia non lo capivano. Decise di emigrare e, salutati i suoi (che gli risposero da oltre le porte chiuse delle loro stanze), senza perdere tempo a salutare gli amici, (quali?) prese un treno per Milano. Naturalmente, sbagliò convoglio e approdò a Roma. Durante il viaggio conobbe una ragazza, figlia di un pezzo grosso della Rai Tv, alla quale disse di essere un ricchissimo premio Nobel. Il bluff gli era entrato nel sangue. Appena a Termini, molto servizievole, portò le valige della ragazza per sette chilometri, fino a casa di lei. La ragazza non fu insensibile al suo fascino e gli diede mille lire di mancia. Qualche sera dopo, premiato dai numerosi appostamenti, la rivide di nuovo e la invitò in pizzeria. Non aveva una lira. Lei accettò e, una volta nel locale, Emilio si accordò di nascosto col padrone e si trattenne per sei ore a lavare piatti.

.

Per liquidare la ragazza, le aveva detto che aspettava il Santo Padre, da un momento all’altro, e si sarebbe trattenuto in pizzeria. Il Papa aveva bisogno di un consiglio e l’avrebbe raggiunto in incognito. Lei si bevve la storiella e, trasognata, rientrò da sola. Prima di salutarla, però, lui era riuscito a sfilarle l’agendina coi numeri di telefono dalla borsetta. Dal giorno dopo, prese a telefonare a tutti i potenti di Roma millantando e spacciandosi ora per questo ora per quell’altro genio del giornalismo. Divenne presto un incubo e, siccome aveva il vezzo di chiudere sempre le telefonate con “servo vostro”, quelli (data la pronuncia incerta) capirono Paternostro e , pur di levarselo dai coglioni, gli fecero fare una brillante carriera. A Sandro Paternostro, naturalmente. Il suo momento non era ancora arrivato. Ripetè l’invito alla ragazza e ripetè anche il trucchetto col padrone della pizzeria. Con lei era vero amore. Amore puro e casto. Ma, siccome anche la carne aveva le sue esigenze, conobbe una camerierina piuttosto allegrotta e le fece la corte. Questa cameriera “corte” non ne voleva: preferiva le lunghe aste dei lavapiatti tunisini, e quindi, una volta al dunque, lo mandò a cagare. Emilio non ne poteva più: “La carne è debole – pensò – ma il pesce è forte e vigoroso e tira. Minchia quanto tira!” Decise di andare in un sordido bordello, dalle parti della stazione Termini. Non aveva una lira. Scopò, tanto per dire, si liberò insomma… e, scopertolo al verde, i pappa lo riempirono di papagne e lo misero a lavare piattole (questa pare che non sia vera. N.d.A.).
Finalmente, la sua ragazza lo portò a casa e lo presentò ai suoi genitori. Al cospetto del pezzo grossissimo della RAI, Emilio si mise a piangere di commozione, accese candeline, maledì i comunisti, lumacò le mani e le scarpe del padrone di casa… cercò anche di baciargli il culo, ma quello si era prontamente seduto a tavola. Emilio leccò la sedia e brigò per servire “assolutamente” la cena, ma gli furono preferiti due capistruttura del Primo Canale. I padroni di casa erano abituati a questi comportamenti da parte dei sottoposti: Emilio non aveva inventato un cazzo. Gli venne concesso di riempire di Eukanuba la ciottola del cane. Il feroce maremmano lo guardò male e gli ringhiò contro: l’istinto dei cani è infallibile, l’animale aveva già capito che quell’essere gli avrebbe fatto una concorrenza spietata. Ma anche la tecnica di Emilio si rivelò infallibile. In occasione del secondo invito gli fu concessa la mano della ragazza e, al terzo incontro, il suocero gli concesse un bel contratto di giornalista RAI.
Emilio era al settimo cielo (in quanto a “concessioni” il suo futuro padrone di Arcore gli faceva un baffo). La sua vita aveva un senso. Tutte le mattine andava in via Teulada, timbrava il cartellino, sorrideva a tutti compresa la macchinetta del caffè (non si sa mai: il futuro sarebbe stato comandato dai robot?). Di lavoro neanche a parlarne. Gli unici servizi in cui eccelleva erano sempre quelli che faceva con la lingua, ai suoi superiori. E siccome tutti erano suoi superiori, aveva la lingua a smeriglio. Ogni mese gli arrivava il congruo stipendio in un grazioso pacchetto regalo, con tanto di carta colorata e fiocchetto. E lui continuava a giocare. Cercò anche di giocare con una collega, ma si accorse di aver giocato col fuoco: la fanciulla era passatempo personale del vice direttore…
Scoperto, si beccò una papagna tale che lo ritrovarono in Africa. Lui, naturalmente, millantava di essere un inviato speciale in gara per il Pulitzer.
Insegnò il poker ai negretti e passava le sue pigre giornate così. Bluffava come una serpe, ma i negretti vincevano sempre. Gli portarono via anche l’ultima sahariana. Lui giocava soldi e gli indigeni vetrini colorati: non ne vinse mai uno! Non ci poteva stare. Chiedeva sempre più soldi all’Azienda, inventandosi improbabili servizi che non spedì mai e nessuno vide mai: servizi segreti? Spendeva quasi quanto Mariagiovanna Maglie, la craxiana formato scaldabagno, e venne soprannominato “Sciupone l’Africano”. Ma il suocero ci metteva sempre una pezza e qualche centinaia di milioni. Sempre dell’azienda. Emilio venne chiamato anche
“genero alimentato”. Continuava a giocare a poker, e a perdere, coi negretti. Un giorno, non ne potè più e, barando, cominciò a strillare: ”Questa mano è mia! Questa mano è mia!”
Uscì da una capanna il padre di uno dei negretti, un signore distinto grande come il palazzo di giustizia di Roma, e gli disse: ”E questa mano invece è mia.” Gli mollò una papagna tale, che ancora oggi continuano a raccogliere le noci di cocco cadute per lo spostamento d’aria. Ci fu anche un incidente diplomatico. In un paese civile Emilio sarebbe marcito in carcere, in Italia venne promosso Direttore del TGUNO. Tutte le sere, leggeva le veline dei suoi padroni e sorrideva di sghimbescio dal video. Cominciò a ricevere valanghe di lettere di ammiratrici. Queste povere donne spedivano delle circolari: a Mike, a Gino Latilla, a qualche divo dei fotoromanzi, a Perry Mason, e a Emilio Fede. Speravano di sposarne qualcuno e sistemarsi. Emilio sbandierava quelle lettere, ne staccava i francobolli col vapore e li riciclava. Ormai era diventato popolare. Basta papagne, si illuse. Conobbe il lìder (lader) maximo, Bettino, e si innamorò di lui. Anche perchè suo suocero era stato messo da parte e lui era da solo. Un giorno, lucidati gli stivali a Craxi, gli si parò davanti e con grande sprezzo del pericolo si mangiò la tessera del PSDI. Poi quella della DC, quella del PLI, e persino la tessera di Socio ACI.
“D’ora in poi – giurò – avrò un’unica tessera ed un’unica fede: PSI di Bettino Craxi! Per te, mio idolo…- non finì la frase ché fu costretto a scappare in bagno. Cagò le tessere esattamente come le aveva ingoiate: che non ci fosse bisogno di trasformarle? L’intestino era cieco, ma mica scemo!
Protetto dal cinghialone si illuse che tutto fosse lecito. Cominciò ad adescare dei polli per memorabili e suicide (per loro) partite di poker. Lui e i suoi soci mandarono in rovina tonnellate di padri di famiglia, piccoli e medi imprenditori, che sbavavano per sedere allo stesso tavolo da gioco del divo del TG. Una mano tirava l’altra, troppe mani attirarono le manette. Bettino lo salvò, ma il pubblico non lo perdonò. E nemmeno il servizio pubblico. Fu cacciato in tronco dalla RAI. Bettino lo piazzò a fare un similnotiziario, in mezzo ai piazzisti di una televisione privata: Rete A, e la gente non capì mai chi tra tutti quelli imbonitori sparasse più cazzate. Tornarono le papagne: molti clienti truffati, da questo o quel mobiliere o da qualche venditore di zirconi, lo confondeva con gli altri e, ogni volta che usciva, erano mazzate. E continuava a giocare. A oggi, coi soldi che ha vinto si è comprato un cappello da cowboy. Con tutto quello che ha perso, si sarebbe potuto comprare il Texas.
Poi arrivarono Berlusca e le sue concessioni e Bettino dirottò Emilio a Milano due.Gli diedero un ufficio di fronte al bagno e lui esclamò: ”Casa, dolce casa!”
Aveva trovato la sua sistemazione ideale. Ebbe un suo TG (si fa per dire), una sua redazione: tutta gente libera e coraggiosa come lui, autentici kamikaze dell’informazione. La gente si chiedeva sgomenta: ”Ma kamicazze fanno questi a spacciarsi per giornalisti?” Ebbe un suo stipendio grasso e non uno, ma ben DUE padroni! Gli italiani guardavano mestamente il TG4 e si irritavano: ”Ma, visto che vogliono miracolarlo sempre, perché non gli dànno un giornale da dirigere? Pulirsi il culo con un telegiornale è impossibile!”
Ma lui proseguiva per la sua strada.
Non gli è mai scappata una notizia corretta. Non gli è mai scappato un commento obiettivo. Gli è scappato, invece, uno dei suoi padroni ad Hammamet. “Craxi? Mai coperto! Il mio idolo è Silvio! Io amo Silvio Berlusconi.” Anche Berlusconi ama lui. Emilio manda sempre un operatore col grandangolo a riprendere i comizi che Silvio tiene alle comparse della Fininvest: così anche quattro gatti sembrano una folla. Sceglie personalmente quelli della claque che hanno le mani più grandi e gli “evviva” più potenti. Dividono insieme il video, il cerone, la tintura per pennellarsi i capelli, e le risate fragorose degli italiani che sanno leggere e scrivere. Da quando Berlusconi è stato cacciato dalla poltrona di Presidente del Consiglio, ogni volta
(prima dei pasti) che mio nipote intervista il padrone ed è costretto a pronunciare “ex presidente” gli viene una ruga. Una crisi di Governo l’ha invecchiato di vent’anni! Una volta, Emilio è persino riuscito ad andare a cena in un famoso ristorante milanese, col suo adorato padrone (lui, si sa, è pieno di cuochi comunisti che guardano Santoro e non esce mai da Arcore o da via dell’Anima). Arrivati al ristorante, vestiti uguali, truccati uguali, sorridenti uguali, tronfi uguali, gli si è fatto incontro il maitre. Emilio gli ha fatto un bel sorriso sghembo e gli ha chiesto:”C’è un posto per noi due?”
Nel senso: ma hai visto chi siamo? Ed il maitre, impeccabile:
“Mi spiace, ma il personale è al completo.”

Ho raccontato solo la verità, senza nascondere nulla, perché anche a me è
sempre stato sul cazzo.

Firmato
zia Enzuccia.

fed

fede

fido

Condividi
  • Facebook
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Live
  • YahooMyWeb
  • LinkedIn
  • StumbleUpon
  • Twitter