Berlusconi sparisce dal simbolo elettorale “Ora fa perdere voti”

Berlusconi sparisce dal simbolo elettorale “Ora fa perdere voti”

Per le elezioni in Molise il nome di Berlusconi scompare dal simbolo del Pdl

Molise alle urne tra 15 giorni:
per la prima volta nome
eliminato dal logo,
niente comizi del leader

GIUSEPPE SALVAGGIULO

CAMPOBASSO
Per la prima volta dal simbolo del Pdl scompare il nome di Berlusconi. Omesso poiché ritenuto auspicio di sventura elettorale. Accade in Molise, unica regione dove si vota tra 15 giorni. Segno dei tempi, malinconico crepuscolo del mito del «partito personale». Pare trascorso un secolo dal 2008-2009, quando «BERLUSCONI» campeggiava da solo a caratteri cubitali in Abruzzo e Sardegna (ignorati i candidati locali), ma anche dal 2010 e dalla scorsa primavera, quando ancora sovrastava i nomi di sindaci e governatori, piccini e relegati nella parte bassa del simbolo, a testimoniare l’effetto taumaturgico del Cavaliere.

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“La divisa è un simbolo, non va offesa” Poliziotti indignati per il bunga bunga

I sindacati degli agenti chiedono che i pm facciano chiarezza su quelle serate nella villa di Arcore. Dove, secondo i racconti di una testimone, l’uniforme sarebbe stata usata in giochi erotici. “Agire nei confronti del presidente del Consiglio come si agirebbe verso un qualsiasi cittadino”

di MARCO PASQUA
SONO “scoraggiati” e “indignati” per lo scandalo che ha investito, ancora una volta, il presidente del Consiglio. Parlano a nome degli agenti, uomini e donne, che indossano la divisa della polizia di Stato, la stessa che, stando ai

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Bill Emmott

Parla Emmott, storico direttore dell’Economist. “E’ stato Berlusconi a fondere vita pubblica e vita privata. E sul padre di Noemi non ha detto la verità”
“Informare è una missione
premier indifendibile se mente”

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA – “Porre domande a un leader politico, per un giornale, è non solo legittimo ma parte della missione di informare. E la distinzione tra vita pubblica e vita privata, nel caso Berlusconi, non si può fare, è stato lui per primo a fondere le due cose”. Bill Emmott, dal 1993 al 2006 direttore dell’Economist, il settimanale britannico che sotto la sua guida ha raddoppiato la tiratura fino a oltre un milione di copie e si è trasformato nel primo periodico globale del mondo, conosce bene Silvio Berlusconi.

L’Economist di Emmott gli dedicò una famosa copertina, in cui lo definiva “unfit to govern”, indegno di governare, a causa del conflitto d’interessi rappresentato dal suo impero mediatico e dei suoi numerosi problemi con la giustizia. Il premier italiano rispose definendo Emmott un comunista: sebbene del comunista, l’autorevole giornalista inglese, abbia soltanto una barbetta da Lenin. Adesso fa il columnist per il Guardian e scrivere libri best-seller: a proposito, rivela in questa intervista a Repubblica, il prossimo “sarà sull’Italia”.

Bill Emmott, dov’è il confine tra pubblico e privato, nell’informare sull’attività di un leader politico?
“La mia opinione è che il comportamento pubblico di un leader sia definibile dal suo ruolo di governo, dalle sue responsabilità, dalla consistenza delle sue azioni. Ritengo però che, quando sei un primo ministro che si atteggia a simbolo della nazione, come Berlusconi ha fatto fin dall’inizio della sua discesa in campo, con il suo presentare la sua vita come la ‘Storia di un italiano’, il confine tra pubblico e privato si confonde. Il privato non è più una faccenda riservata, quando lo usi per ottenere la tua affermazione pubblica. Berlusconi stesso ha incoraggiato i media a giudicarlo anche sotto la lente della sua vita privata”.

Il nostro giornale ha inoltrato all’ufficio del presidente del Consiglio dieci domande per fare chiarezza sulle contraddittorie dichiarazioni riguardo ai rapporti con la 18enne Noemi Letizia, con il padre della ragazza e alle parole usate da Veronica Lario nel chiedere il divorzio. Palazzo Chigi definisce le nostre domande una “campagna denigratoria”. E’ appropriato o meno, secondo lei, porre domande simili su una questione come questa?
“Assolutamente appropriato. Di più: è parte dei doveri di un giornale, della missione di informare l’opinione pubblica. E’ legittimo voler sapere che cosa lega il primo ministro a quella ragazza che ha appena compiuto 18 anni. Anche a me piacerebbe sapere la verità. E mi piacerebbe che la Chiesa ponesse a Berlusconi domande analoghe”.

Che lezione dovrebbe averci insegnato la vicenda di Bill Clinton e Monica Lewinski?
“Che i rapporti sessuali tra il presidente e la stagista erano affari loro, una faccenda privata tra due adulti consenzienti, ma il modo in cui il presidente li raccontava poteva costringerlo a dimettersi. Quando ero direttore dell’Economist, scrivemmo un editoriale in cui ci schieravamo per le dimissioni di Clinton. Non perché fossimo dei bacchettoni. Bensì perché era chiaro che il presidente aveva mentito, ripetutamente, parlando in televisione dei suoi rapporti con Monica e poi sotto giuramento in una corte di giustizia. Mentire alla nazione, sia pure su una vicenda privata, era a nostro avviso imperdonabile”.

E lo stesso principio si può applicare a Berlusconi?
“Per me sì. Non importa cosa c’è tra lui e la ragazza, tra lui e deputate o ministre che potrebbero avere ricevuto l’incarico come un premio: se anche così fosse, era uno scambio volontario tra adulti, anche se personalmente lo trovo disgustoso. Ma se il premier mente a proposito di quello scambio, e la sua menzogna viene provata, allora la sua colpa importa eccome e la ritengo indifendibile”.

Alcuni, in Italia, risponderebbero che un uomo che mente su un rapporto con una donna è sempre perdonabile.
“Ecco, se c’è una cosa che uno straniero fa fatica a capire dell’Italia è questa: il modo in cui Berlusconi può dire quello che vuole e nessuno si scandalizza. Per esempio, ormai sembra provato che ha mentito sul modo in cui ha conosciuto il padre di Noemi. Quell’uomo non è mai stato l’autista di Craxi, come ha detto Berlusconi. In un altro paese, basterebbe questo a suscitare una riprovazione generale. Da voi no. Non lo capisco”.

bill

°°° Si è capito che Bill Emmott non è vespa e neppure rossella, ma nemmeno belpietro, feltri, giordano o liguori? Purtroppo, in questa italietta delle banane, giornalisti veri ne abbiamo davvero pochini…

b-gnomo5

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Pasticci

Hanno deciso di mettersi insieme per tentare la conquista del Municipio
Il candidato sindaco: “La mia è una lista civica, l’ideologia la lasciamo da parte”
Recoaro Terme, la lista dello scandalo
Lega, Pd e Ps sotto un unico simbolo

Insorge Rifondazione: “Come si fa ad allearsi con chi in sede nazionale
vuole trasformare l’Italia nell’Alabama degli anni Cinquanta?”
di ENRICO BONERANDI

Recoaro Terme, la lista dello scandalo Lega, Pd e Ps sotto un unico simbolo

Il candidato Perlotto
RECOARO – Dopo dieci anni di opposizione alla lista civica rocciosa e inespugnabile del sindaco Franco Viero (ex socialista, ora vicino al centrodestra), hanno deciso di mettersi insieme per tentare la conquista del Municipio. Lega, Pd e socialisti sotto un unico simbolo: il Carroccio di Alberto da Giussano col ramoscello d’ulivo. E c’è mancato poco che a loro si unisse anche Rifondazione Comunista, magari con una piccola falce e martello.

Succede a Recoaro Terme, paesino delle montagne sopra Vicenza di 6mila abitanti, noto per le sue terme e il marchio di bibite. Dopo qualche tentennamento, Rifondazione è ora scesa sul piede di guerra, e il suo quotidiano Liberazione martedì al “caso Recoaro” ci ha dedicato la copertina: “Razzismo a liste unificate”.

Dice Giuliano Ezelini, che di Prc è il coordinatore: “Non si può rinunciare alle proprie idee pur di conquistare il Comune. Come si fa ad allearsi con chi in sede nazionale lancia parole d’ordine per trasformare l’Italia nell’Alabama degli anni Cinquanta?”.

Qualche maldipancia nel Pd e nella Lega c’è stato, ma la convergenza sul nome del candidato sindaco Franco Perlotto, noto alpinista ed esperto di sviluppo sostenibile, ha convinto i due partiti al via libera. “La mia è una lista civica, non un’alleanza politica tra partiti – precisa Perlotto – l’ideologia la lasciamo da parte e ci concentriamo su quello che nel paese c’è da fare, che è molto, prima che la crisi ci travolga”.

Damiano Piccoli, del Pd, è d’accordo: “Ogni anno cento recoaresi se ne vanno di qui. Viviamo sul turismo, ma la gestione delle terme è pessima, gli alberghi chiudono. Il marchio Recoaro è umiliato dalla San Pellegrino, che l’ha assorbito. E c’è un progetto per spostare a Vicenza l’Istituto Artusi, una nostra gloria”. E allora? “Facendo opposizione si sono anche elaborati progetti che vogliamo portare avanti”. Franco Vesco, del Carroccio: “Convergenza e basta. I vertici della Lega, una volta che gliel’abbiamo spiegato bene, non hanno avuto obiezioni”.

E così il 6 e 7 giugno a Recoaro ci saranno tre liste. Una civica di centro-destra, una civica di sinistra-centro-destra e una civica di centrosinistra- sinistra, promossa da Rifondazione e un pezzo di Pd. “Ma guarda che casino solo per andare contro di me”, è il commento del sindaco uscente.

°°° Amici, non se ne capisce davvero più nulla. C’è gente che ormai si venderebbe la moglie e la mamma per uno strapuntino…

perlotto

poltrona

casino

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