Come tacitare gli squadristi della setta pdl in tv.

di Paolo Flores d’Arcais

11 marzo 2011

A brigante, brigante e mezzo!

Mercoledì sera a Exit ho impedito all’on. Reguzzoni di parlare. Dopo due ore epassa che il fedelissimo di Bossi padre e trota faceva (con Sallusti “spalla”) il bello e il cattivo tempo, parlando sempre lui (anchese il verbo “parlare” è spericolato: biascicava all’infinito un’identica giaculatoria di fede bossiana) e interrompendomi appena aprivo bocca, mi sono ricordato del grande presidente Sandro Pertini, che ripeteva sempre “a brigante, brigante e mezzo”, e ho deciso di non essere più cristiano (“porgere l’altra guancia”) e neppure civile. Ho fatto come loro. L’ho fatto, anzi, meglio di loro (cioè peggio).

Sia chiaro, questo è l’opposto del mio ideale di dibattito televisivo. Ho scritto più volte negli anni, e di recente su questo giornale, che un dibattito per essere autentico,e dunque appassionante, implica che ciascuno dei contendenti possa esporre secondo logica una connessione di fatti e opinioni, senza essere interrotto. Dopodiché, senza interromperlo, ascolterà le argomentazioni del suo interlocutore. Rispettando i tempi televisivi, ovviamente, perché sul piccolo schermo l’attenzione precipita dopo due o tre minuti. Ma per garantire il ritmo ci sono i conduttori. Sarebbe logico che solo loro, e un ospite alla volta, avessero il “microfono aperto”: la trasformazione della controversia in rissa o in starnazzare disturbatorio sarebbe in tal modo impedita in radice. A me piacerebbe anche (e a molti telespettatori, credo) che dietro ogni ospite ci fosse un cronometro che segni quanto tempo ciascuno ha avuto a disposizione, perché anche la trasparenza delle “armi pari” rende un confronto più affascinante.

Nella tv italiana il conflitto delle idee oggi è un sogno, tranne rarissime eccezioni, benché in molte televisioni europee sia la normalità. Ci sono prezzolati e/o cheerleader di regime, addestrati all’insulto, alla menzogna e comunque all’interruzione sistematica (visto che al ragionamento è impossibile addestrarli), cioè al manganello e all’olio di ricino mediatico contro l’oppositore, e conduttori che troppo spesso lasciano fare, e ospiti più o meno repubblican-costituzionali che per buona educazione finiscono per subire l’indecente asimmetria.

Mercoledì a Exit c’è stato qualcosa di più e di peggio. Sono stati presentati alcuni servizi giornalistici di straordinario livello professionale, che mostravano con imparzialità le diverse sensibilità che albergano nella “pancia” dell’elettorato leghista. Dopo ognuno di questi ineccepibili brani di giornalismo-giornalismo (che ormai si vede solo dalla Gabanelli, ad Annozero, con Iacona) il succitato Reguzzoni vomitava anatemi per le falsità che vi sarebbero state contenute, confondendosi evidentemente col Tg1 di Minzolini. E nessuno in studio che dicesse una parola in difesa dell’onorabilità professionale di chi aveva invece dato prova di autentico standard anglosassone. Non Gad Lerner, non la giornalista del Foglio presente, e neppure la conduttrice, che immagino quei servizi avesse commissionato e apprezzato, visto che li ha mandati in onda. Per cui, alla terza overdose di accuse campate in aria sono stato costretto a intervenire per dire un ovvio “basta!”.

So bene che nel mondo repubblican-costituzionale molti pensano che non si debba rispondere “a brigante, brigante e mezzo”, che alla becera litania delle interruzioni si debba rispondere con l’aplomb di un ragionamento ogni volta ripreso dall’inizio. Il fatto è che un ragionamento che sia uno non te lo lasciano nemmeno abbozzare, e dunque finisci tuo malgrado a dover scegliere tra fare la figurina (in tutti isensi) in un poker truccato, dove gli assi vengono distribuiti solo alla volgarità, alla menzogna, alla violenza delle corde vocali, insomma ai professionisti dello squadrismo mediatico (non di rado donne: l’unica parità che il berlusconismo conceda loro), oppure svelare la truffa comportandoti come loro, ma con più coerenza, e mostrando come in tal modo la trasmissione stessa diventi impossibile.

Io penso che se tutti gli ospiti più o meno repubblican-costituzionali, alla prima interruzione dell’addestrato di regime dicessero un secco “se mi interrompe una seconda volta non la faccio più parlare per tutta la trasmissione” e ovviamente mantenessero, questa indecenza di prepotenze finirebbe in un fiat. Ne va della democrazia. Che non è solo regola della maggioranza ma anche, ed essenzialmente, consenso ottenuto attraverso l’argomentazione razionale reciproca, altrimenti la mera “conta” è solo l’anticamera della “legge” del più forte.

°°° Sono secoli che lo ripeto. Mi dispiace molto non essere presente in video quando ci sono questi pappagallini zotici ammaestrati. Li farei fuggire in lacrime uno dopo l’altro. Maschi e femmine (si fa per dire).
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Gli squadristi (inutili) del mafionano

Sono soltanto parole

di Silvia Ballestra

 È possibile, anzi probabile, anzi certo, che le parole, in questi tempi televisivi e smemorati perdano progressivamente peso. Dunque pochi hanno notato la notizia dell’annunciata formazione delle “squadre della libertà”. Si tratterebbe di manipoli addestrati per “radicare il PdL sul territorio”.

La notizia si presta a diverse interpretazioni. La prima è una constatazione politica: possibile che un partito che esiste da oltre quindici anni e che ha governato per più di dieci non sia ancora radicato sul territorio? Dov’è radicato, allora, soltanto nei consigli di amministrazione e nelle redazioni dei telegiornali? Seconda perplessità, anche questa tutta politica: come mai un partito-azienda che può contare sulla maggioranza dei media (alcuni di proprietà, alcuni apertamente controllati, tanto che le nomine si fanno nella residenza privata del capo) ha bisogno di creare squadre sul territorio per convincere la gente? Minzolini, il Tg5, il Gabibbo, Fede, Feltri, Belpietro e tutti gli altri pupazzi di complemento, senza contare la nuova egemonia (sotto)culturale di fiction e grandi fratelli, non bastano più? Sarebbe una buona notizia per il Paese.

Terza notazione, di tipo, diciamo così umano-giudiziario. Non apparirà un po’ ridicolo ai più che le “squadre della libertà” siano affidate alla responsabilità di Denis Verdini, un inquisito proprietario di una banca gestita come una salumeria dove si fa credito agevolato e senza garanzie solo agli amici? Ma quel che appare inquietante è altro, e sta, appunto, nelle parole. Già si era parlato di “volontari e missionari della libertà”. Poi di “promotori della libertà”, ora siamo arrivati alle “squadre”. E dunque come dovremo chiamarli, questi apostoli del Silvio-pensiero, squadristi? Tranquilli, sono solo parole, ma un piccolo brivido lo danno lo stesso.

°°° Ma gli farà indossare la maglia del Milan?

TERRIBILE  SQUADRISTA (dercazzo)

bondi

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