La triglia tramortita

Gentiloni: “Niente censura, la rete ha bisogno di essere lasciata in pace”

Paolo Gentiloni, uno dei primi politici “blogger” , poi ministro delle Comunicazioni nel governo Prodi 2006-2008, oggi responsabile dell’area comunicazione del Partito democratico, ha discusso con il titolare di questo blog del progetto di legge del pd per la rete, del suo modello di sviluppo, di libertà e censura, delle leggi francesi contro il P2P (e dell’emendamento D’Alia).

Una delle obiezioni è che con la proposta Vita-Vimercati avete fatto una legge-manifesto. Ma è altrettanto vero che avete portato nel dibattito politico il concetto di neutralità della rete…
Per la verità le questioni che noi poniamo sono 4 e sono tutte grosse: la prima, l’accesso per tutti e quindi il tema della banda larga; la seconda è la neutralità della rete, la terza è il sostegno al software libero e la quarta la trasparenza nei siti della pubblica amministrazione.
Noi le vogliamo imporre all’attenzione del dibattito parlamentare, altrimenti qui si finisce col parlare solo di filtri e limitazioni.

Cosa volete voi è abbastanza chiaro, l’obiezione si riferisce alle possibilità oggettive, al cammino di questa proposta
Si tratta di influire su questa ondata di iniziative, anche un po’ disordinate, di maggioranza e governo. Sono iniziative da cui temo escano proposte infelici, prenda il lavoro del comitato interministeriale appena insediato. C’è da temere una riedizione dell’inattuabile decreto Urbani. E allora noi facciamo un passo preventivo per stabilire i principi di una iniziativa corretta sulla rete…. Poi certo il rischio di “proposta manifesto” diventa vero se guardiamo a un parlamento che si occupa dei decreti del governo per il 90 per cento del suo tempo e per il restante 10% delle altre proposte del governo

Forse bisogna aiutare il profano che ci legge. Lei come sintetizzerebbe tutto il merito della questione, che poi è una discussione europea e internazionale?
Ci sono due aspetti. Uno è economico: la ricorrente tentazione di introdurre una rete a due velocità, in cui chi paga ed ha interessi e forza economica rilevanti va ad una velocità x, e tutti gli altri invece vanno ad una velocità che è metà di x. E nella proposta di legge noi ci opponiamo a questa scelta.

Poi c’è il tema del distorto uso dell’allarme sociale. Bisogna evitare che l’allarme giustificato per comportamenti criminali – che possono attuarsi verso i minori piuttosto che sul piano razziale – non diventino pretesto per ridurre il tasso di libertà della rete. Gli strumenti per combattere quei fenomeni ci sono.

Entrambe queste questioni si traducono in alcuni paesi europei in proposte inaccettabili, a partire dall’idea francese di staccare la connessione a quelle famiglie, o uffici, dove per tre volte di seguito ci sia un download illegale.

Quella è una misura che comporta un controllo ravvicinato delle scelte e degli atti delle persone
Assolutamente. Ma vorrei continuare… il governo britannico che vorrebbe schedare i 27 milioni di cittadini utenti di sociali network a fini di antiterrorismo. E poi ci siamo noi…

L’emendamento D’Alia (Udc), ormai articolo del decreto sicurezza così come passato al Senato: il ministero che sulla base di segnalazione dell’autorità giudiziaria può chiudere pagine o siti. Il governo che decide cosa va bene e cosa no, nei contenuti.
Ma io non mi riferisco solo a D’Alia, ma anche al progetto Carlucci. Dove l’errore è non capire che non si parte da zero, ci sono state esperienze pregresse che dovrebbero insegnare qualcosa. Il decreto Urbani, del 2003/04, prevedeva la repressione del peer to peer, dei download, e si è rivelato del tutto irrealizzabile, inattuabile. Una legge sbagliata. Mentre nel mondo invece ci sono esempi positivi, con offerte di contenuti a prezzi controllati…

Pensa ad iTunes, successo decennale e di massa?
C’è anche altro: i produttori cinematografici americani che intervengono sulle tariffe, sulle finestre d’uscita, oppure penso a ciò che sta facendo la Bbc che mette per una settimana i propri contenuti on line. Si può essere molto creativi.

Sembrano funzionare i modelli dove lo stato non mette il becco.
Funzionano i modelli dove l’industria culturale prende l’iniziativa e capisce che per evitare che la rete le provochi danni irreparabili bisogna inventare, capisce che non bisogna chiedere l’intervento della polizia, ma bisogna adottare una tattica zen, capire la rete e avere un’offerta coerente con i suoi meccanismi distributivi

Da noi chiamano la polizia
Ma si potrebbero fare cose anche da noi e anche con la politica. Il comitato ministeriale appena istituito potrebbe pensare a misure molto serie sulla distribuzione invece che pensare ai disegni di legge “alla francese” – sa c’è chi pensa alle white list, all’elenco dei siti buoni, stilato dal governo e che è l’unico menù possibile per l’utente di internet?

Appoggerete l’emendamento Cassinelli (Pdl) per cambiare del decreto sicurezza prodotto dall’iniziativa di D’Alia?
Con tutte le fiducie che ci faranno votare nelle prossime settimane?

Pensa che l’articolo passi nel pacco della fiducia sul decreto sicurezza?
Potrebbe succedere. A questo proposito mi faccia dire che il mio decreto, quello approvato quando ero ministro delle comunicazioni, permette alla polizia postale di intervenire rapidamente contro i responsabili dei reati. Qui nessuno vuole la libertà di delinquere, ma davvero c’è una foga repressiva…

Va contro corrente la raccomandazione del parlamento europeo presentata dal greco Lambrinidis ed approvata il 26 marzo 2009, dove la rete è un diritto e i controlli non possono essere lesivi della privacy. Altro rischio di wishful thinking, direi.
Condivido la raccomandazione del Parlamento Europeo. Sulla rete bisogna investire perché si tratta di realizzare un diritto delle persone e su questo diritto è meglio far prevalere una idea di “laissez faire”. Dove lo stato regola ma non interviene direttamente: c’è un modello possibile oltre quello repressivo. La rete ha bisogno di essere lasciata in pace.

Ci siam fatti un’intervista fra blogger. Non si è ancora stancato del suo?
Ci scrivo ancora, ma sono molto preso da un’arma di distrazione di massa altrimenti detta Facebook

Quanti amici ha?
Circa cinquemila. Ma l’aspetto interessante è che dentro Facebook si realizza una buona fetta della mia comunicazione col partito: persone che mi invitano, comunicati, notizie, iniziative. C’è un pezzo della mia attività che vive là dentro. Anche se l’ultimo restyling non mi piace, mi pare fatto apposta per incoraggiare lo spam.

°°° Meno male! Questa triglia tramortita NON ha mai rotto i coglioni a Mafilo quand’era ministro, figuriamoci se potrà rompere a noi! LIBERTA’! LIBERTA’! LIBERTAAAAAAAA!!!

lib

freedom

liberta

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