“Mai più signorine”. Le francesi in rivolta: “A un uomo si chiede se è sposato?”

“Mai più signorine”
Le francesi in rivolta

"Mai più signorine" Le francesi in rivolta

Nella patria dei diritti civili vige ancora il linguaggio dell’Ancien régime dal nostro corrispondente
GIAMPIERO MARTINOTTI

PARIGI – “Mesdames, Mesdemoiselles, Messieurs”: la formula per rivolgersi al pubblico è sempre la stessa da qualche secolo. Tutti sanno che è desueta, ma continuano a usarla nei discorsi più o meno ufficiali. E quei tre termini, signora signorina signore, restano da scegliere quando si riempie un qualunque documento, pubblico o privato: Isabelle Dupont dirà insomma se è sposata o non sposata nel riempire un semplice ordine su Internet o una richiesta di certificato in comune. Nel paese che si vanta, spesso a ragione talvolta a torto, di essere la patria dei diritti dell’uomo, le donne sono ancora catalogate secondo la lingua dell’ancien régime. Certo, nel Quattrocento, Mademoiselle era la

figlia di Monsieur, fratello del re. Ma dal Seicento in poi quel termine ha voluto indicare una donna non sposata. Una discriminazione, poiché nessuno si sogna, se non scherzosamente, di chiamare un ragazzo signorino.

Eppure, nella Francia del 2011 le donne devono rispondere dappertutto all’eterna domanda: signora o signorina? E spesso, magari, aggiungere il “nome da ragazza”, come se prendere il nome del marito fosse la cosa più logica di questo mondo. Per questo due organizzazioni femministe hanno rilanciato ieri la battaglia per la soppressione del termine Mademoiselle, com’è da tempo in uso nei paesi anglosassoni (dove il prefisso Ms. ha rimpiazzato da tempo Miss o Mrs.), in Germania, dove non ci si rivolge più a una donna chiamandola Fraeulein, e anche in Italia, dove nei formulari pubblici si inseriscono nome e cognome, non un titolo.

La Francia, però, è un paese estremamente conservatore. Se nel Québec parole come autore e scrittore, tanto per far due esempi, sono state femminilizzate, Oltralpe “auteure” e “écrivaine” sono osteggiate dall’Académie Française e ancora poco utilizzate: si può essere attrice, ma non autrice. E poiché il linguaggio è tutt’altro che innocente, l’uso di Madame o Mademoiselle rimanda le donne a una loro supposta e diversa condizione sociale: quella di donne maritate (come si diceva un tempo, cioè appartenenti al marito) o no. La stessa cosa, dicono le due organizzazioni femministe all’origine della campagna (“Le chiennes de garde” e “Osez le féminisme”) si applica al nome da ragazza: “È il residuo di un’epoca in cui le donne erano considerate come minorenni e non potevano far niente senza il consenso del marito”.

In teoria, la campagna non ha motivi di esistere: parecchie circolari pubblicate tra il 1967 e il 1974, hanno già risolto la questione. Di fatto, però, signora e signorina continuano ad essere la regola. Ci vuole una legge? No, dicono le promotrici della campagna. Tanto più che diversi documenti ufficiali hanno da molti lustri precisato che i due termini non hanno una base legale. Basta una nuova circolare che metta al bando sul serio la distinzione signora/signorina nell’amministrazione pubblica. Il resto dovrebbe venire da sé. Per esempio nella banche, dove sul libretto degli assegni non si può mettere Mademoiselle se non si è sposate.

Storie di sessismo ordinario, dicono le organizzazioni femministe: “A un uomo si chiede se è sposato?”. In effetti, non lo si chiede, perlomeno non per riempire un qualunque formulario. Una battaglia indispensabile? Secondo alcune femministe, come Olivia Cattan, non proprio: meglio battersi contro le violenze e le discriminazioni piuttosto che per una rivendicazione semantica, sia pur ingiusta.

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