P4, carte anche a Milano. Sarà una bufera inarrestabile!

P4, carte anche a Milano

di Lirio Abbate ed Emiliano Fittipaldi

Dopo Roma, i pm di Napoli sono pronti a inviare la documentazione sul sistema Bisignani anche ai colleghi lombardi. Tre Procure interessate e sei filoni di indagine: dagli appalti ai reati finanziari alla fuga di notizie. E si pensa a un’altra Mani pulite

(23 giugno 2011)

La tempesta giudiziaria è solo all’inizio. Dopo i filoni scoperti a Napoli e a Roma, una parte dell’inchiesta sulla P4 e sulla rete di Luigi Bisignani sta per arrivare – come risulta all'”Espresso” – alla procura di Milano, sulla scrivania di uno dei più celebri pm del pool di Mani Pulite, Francesco Greco, proprio il magistrato che indagò sulla maxitangente Enimont e sul ruolo svolto nella vicenda dallo stesso Bisignani.

Del resto, in settecentotrenta giorni di intercettazioni non si contano le telefonate in cui si parla di affari e di aziende importanti: i pm meneghini potrebbero così aprire un fascicolo che potrebbe contribuire ad avviare una stagione simile a quella che archiviò la Prima Repubblica. Tre Procure, dunque, sugli affari su Gigi il lobbista.

Qualcuno sostiene che si tratti solo di gossip; che reati pesanti (come quelli di corruzione o di associazione segreta) non potranno mai essere dimostrati; che insomma «Bisignani faceva solo il suo lavoro di lobbista». Altri, invece, si stanno convincendo che siamo solo all’antefatto e che l’inchiesta potrebbe trasformarsi in una valanga degna della P2 e di Mani pulite, destinata a spazzare via il

sistema berlusconiano che ha governato la Seconda Repubblica e a coinvolgere una parte dei poteri forti del Paese. Si vedrà.

Di sicuro nei prossimi mesi la bufera non si placherà. A Milano Greco e i suoi uomini tra poco cominceranno a sfogliare gli incartamenti di Napoli: si ipotizzano eventuali reati finanziari. Non solo. Se a Roma il procuratore aggiunto Alberto Caperna e i colleghi che si occupano dei reati a danno della pubblica amministrazione studiano il sistema degli appalti e la posizioni di manager di Stato come Moretti (indagato per favoreggiamento personale), i carabinieri del Noe sono impegnati in una complessa indagine patrimoniale. Che servirà a capire l’entità delle ricchezze personali di Bisignani e di come le ha accumulate, i suoi prestanome e i flussi di denaro che avrebbe dirottato su conti correnti ancora segreti.

Senza dimenticare l’inchiesta parallela sulla fuga di notizie, quella grazie alla quale il capo della rete fu informato dell’indagine nei suoi confronti: un fascicolo che rischia di coinvolgere esponenti di vertice delle forze dell’ordine italiane. Gli affari di Gigi. In tutto i filoni d’indagine sono sei. Andiamo con ordine. A Milano sono in arrivo le carte sia sul rapporto tra Alfonso Papa e l’immobiliarista Vittorio Casale (arrestato per bancarotta fraudolenta pochi giorni fa) sia su eventuali affari tra Bisignani e Gianluca Di Nardo, un finanziere italiano che vive in Svizzera, cresciuto alla corte di Francesco Micheli e finito qualche mese fa in un’indagine della Sec con l’accusa di insider trading sull’Opa di Finmeccanica sull’azienda americana Drs. Come ha scritto la “Stampa”, Di Nardo ha pagato una multa da tre milioni ed è uscito dalla vicenda senza ammettere le sue eventuali responsabilità. Ora il suo nome rispunta nelle intercettazioni sulla P4: lui e Bisignani discutono dell’acquisto di una concessione petrolifera per una piattaforma al largo delle coste della Nigeria. L’affare sarebbe dunque con l’Eni, ma la trattativa è condotta da Bisignani. Che parla, notano i pm, come fosse lui – e non Paolo Scaroni – l’amministratore delegato.

Non bisogna sorprendersi: se al telefono con Italo Bocchino definisce l’Eni «l’ente più grosso amico mio», Bisignani sembra trattare di oro nero persino con l’ambasciatore libico a Roma, suo amico e referente. Soldi, appalti, eventuali atti corruttivi. I magistrati vogliono indagare a fondo sugli affari del lobbista e dei suoi (tanti) amici. «Quella persona è nostra al cento per cento»: è una frase che Bisignani ripeteva spesso all’interlocutore di turno. Quel “nostra”, in realtà, è un vezzoso plurale maiestatis: perché la rete Luigi, Gigi per gli amici, se l’è costruita praticamente da solo, sulle spalle dello Stato.

In quindici anni, con il consenso di Gianni Letta e di Silvio Berlusconi, l’ex piduista che faceva la rassegna stampa a Licio Gelli è riuscito a realizzare un’incredibile ragnatela di relazioni. Smistatore di nomine, mediatore di interessi, il Mr. Wolf andreottiano che risolve i problemi dei potenti italiani ha dato consigli a ministri e sottosegretari, ha piazzato uomini fedeli nelle aziende di Stato, ha utilizzato informazioni riservate grazie ai suoi agganci nella polizia giudiziaria e nei servizi segreti, per trarre profitti ed accrescere il proprio potere. Finora il “do ut des” tra Gigi e gli uomini che piazzava ai vertici delle aziende di Stato non è stato dimostrato. Ma la polizia giudiziaria sta analizzando tracce bancarie e appalti sospetti per capire se ci siano stati scambi di favori tra i dirigenti e il loro sponsor.

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